La morte di Shireen Abu Akleh potrebbe rivelarsi un evento fondamentale nella reputazione globale di Israele e, forse, anche nella sua politica interna. L’uccisione del giornalista palestinese-americano di alto profilo, che ha lavorato per Al Jazeera coprendo Israele e la Cisgiordania occupata, è stata ampiamente condannata […]
L’emergenza dell’emergenza Foto: Marco Merlini ROBERTA LISI16/05/2022 – 06:59 I pronto soccorso di tutta Italia sono in crisi perché il Servizio sanitario nazionale è in crisi. Il sistema va rilanciato, non consegnato al privato. Occorre un piano straordinario di assunzioni, lo sblocco dei tetti di […]
Sanremo. «Nel Consiglio comunale di Sanremo si discute, finalmente, della Sanità del Ponente. La convocazione del Consiglio comunale sul tema della sanità è un evento importante ma non sufficiente: occorre che in quella sede e nella Conferenza dei Sindaci si assumano indirizzi ed impegni concreti. […]
Scritto da: Laura Tussi Un fortunato connubio fra realtà toscane ha dato vita a EquAgenda, una pubblicazione che attraverso le parole di grandi autori del presente e del passato – da Fabrizio De Andrè a Francuccio Gesualdi, da Alex Langer a Erri De Luca – […]
Il Rapporto Ance-Cresme sullo stato di rischio del territorio italiano. Dal 2010 triplicate le spese leghate ai danni di Rosaria Amato ROMA – Oltre otto milioni di italiani vivono in zone a rischio medio-alto di alluvioni, il 15% del territorio nazionale. Ma a fronte di un’emergenza che richiede […]
di Laura Tussi – 20/11/2023 Siamo una piccola e importante realtà con un unico obiettivo: contribuire a cambiare il mondo per renderlo abitabile con dignità per tutte e tutti. A quasi dieci anni di distanza dal nostro primo incontro, parliamo di nuovo con Marco Bersani […]
Kenneth Darlington, ex avvocato 77 enne con precedenti penali, ha colpito durante un sit-in di protesta contro il rinnovo delle concessioni alle società minerarie per lo sfruttamento di rame di Alessio Di Sauro La scena è tutta documentata in video. Siamo a Panama e un […]
Roma, 4 mag. (askanews) – Il capo redattore della Tgr Emilia Romagna Antonio Farnè ha rimesso il mandato di Responsabile della Tgr Emilia Romagna, dopo le polemiche scoppiate a seguito del servizio sulla manifestazione di nostalgici a Predappio, andato in onda il 28 aprile neIl’edizione […]
Roma, 4 mag. (askanews) – Il capo redattore della Tgr Emilia Romagna Antonio Farnè ha rimesso il mandato di Responsabile della Tgr Emilia Romagna, dopo le polemiche scoppiate a seguito del servizio sulla manifestazione di nostalgici a Predappio, andato in onda il 28 aprile neIl’edizione delle 19.30. Il Direttore Alessandro Casarin, si legge in una nota Rai, ha accolto questa decisione e ha affidato l’Interim della Redazione Emilia Romagna a Ines Maggiolini, già capo redattore Tgr Lombardia, e che attualmente è Vice Direttrice Tgr con delega sulle redazioni Emilia Romagna e Sardegna oltre che responsabile delle Rubriche Tgr. Nei prossimi giorni l’Azienda avvierà le procedure per l’attivazione del Job Posting per individuare il nuovo Responsabile della Redazione Tgr Emilia Romagna. Antonio Farnè resta a disposizione del Direttore Alessandro Casarin per un nuovo incarico nell’ambito della Tgr.Cro/Ska MAZ
E’ un cittadino statunitense di origini coreane il 22enne fermato per l’omicidio di Norveo Fedeli, il commerciante di 74 anni ucciso ieri all’interno del suo negozio di abbigliamento nel centro di Viterbo. Il ventiduenne, che viveva in un bed&breakfast di Capodimonte, era arrivato in Italia […]
E’ un cittadino statunitense di origini coreane il 22enne fermato per l’omicidio di Norveo Fedeli, il commerciante di 74 anni ucciso ieri all’interno del suo negozio di abbigliamento nel centro di Viterbo. Il ventiduenne, che viveva in un bed&breakfast di Capodimonte, era arrivato in Italia circa due mesi fa regolarmente da un Paese dell’area Schengen. Nei suoi confronti i pm della procura di Viterbo contestano ora i reati di omicidio volontario e rapina. Secondo quanto ricostruito finora il fermato sarebbe stato altre due volte prima del giorno dell’omicidio nel negozio di Fedeli.
Il fermo del ventiduenne “è il frutto della sinergia tra le forze dell’ordine, carabinieri, polizia e guardia di finanza, che hanno collaborato insieme arrivando a questo risultato in tempi rapidi” ha detto il procuratore di Viterbo Paolo Auriemma in conferenza stampa. Le ultime vicende di cronaca “hanno creato preoccupazione e allarme nella collettività per la sicurezza pubblica che ci sembrano infondate. Queste indagini – ha sottolineato il procuratore – hanno portato a risultati rapidi”.
Lunedì a Viterbo sarà lutto cittadino. Lo ha proclamato il sindaco Giovanni Maria Arena con apposita ordinanza. “L’amministrazione comunale – si legge – raccogliendo la spontanea partecipazione e il sentire convinto della nostra comunità, intende manifestare il cordoglio della città di Viterbo per questa grave perdita che ha scioccato tutta la cittadinanza”. Bandiere a mezz’asta sugli edifici comunali e un minuto di silenzio alle 12 negli uffici comunali.
GENOVA – Alta tensione questa mattina a Genova al doppio corteo antifascista e dell’ultradestra nei giardini di Brignole. Al termine della commemorazione di Ugo Venturini, militante missino ucciso nel 1970 in piazza Verdi durante un comizio di Giorgio Almirante, alcuni antagonisti che partecipavano alla contro […]
GENOVA – Alta tensione questa mattina a Genova al doppio corteo antifascista e dell’ultradestra nei giardini di Brignole. Al termine della commemorazione di Ugo Venturini, militante missino ucciso nel 1970 in piazza Verdi durante un comizio di Giorgio Almirante, alcuni antagonisti che partecipavano alla contro manifestazione di Genova Antifascista, sono riusciti a eludere i blocchi delle forze dell’ordine. Uno di loro ha rotto con una cinghiata il lunotto posteriore di un’auto di manifestanti dell’ultradestra che stava abbandonando la zona.Dopo qualche minuto di scontri con la Polizia, la situazione e’ tornata rapidamente alla normalita’. Strade del centro chiuse, grate e blindati delle forze dell’ordine ad accogliere questa mattina le due manifestazioni.Da una parte, quasi duecento militanti dell’ultradestra, tra cui il leader nazionale di Casapound, Gianluca Iannone, il consigliere comunale delegato alla Protezione civile, Sergio Gambino, e il politico Gianni Plinio. Dall’altra, poco meno di un migliaio di genovesi che hanno risposto all’appello di “Genova antifascista”. Tra di loro, un po’ piu’ nelle retrovie, anche esponenti della Cgil, dell’Anpi e politici di centrosinistra.Cori, fumogeni e qualche spostamento alla ricerca del contatto visivo con i manifestanti dell’ultradestra, che hanno risposto con qualche gestaccio e proseguito con inquadramento e commemorazione. La mattinata sembrava scorrere in tranquillita’, fino all’incontro ravvicinato.
La tensione che si riaccende alla vigilia del ramadan, attacchi, paura e morti. Israele ha risposto alla pioggia di razzi partita da Gaza colpendo circa 30 obiettivi nella striscia di Gaza. Cinque i morti, secondo le autorità palestinesi. A Gaza è morta anche una bambina […]
La tensione che si riaccende alla vigilia del ramadan, attacchi, paura e morti. Israele ha risposto alla pioggia di razzi partita da Gaza colpendo circa 30 obiettivi nella striscia di Gaza. Cinque i morti, secondo le autorità palestinesi. A Gaza è morta anche una bambina di 14 mesi in un attacco israeliano a Beit Lahia nel nord della Striscia.Al Fatah, il partito del presidente Abu Mazen, condanna, testualmente, “Un attacco contro civili innocenti incoraggiato dal silenzio internazionale”.La minaccia dei jihadistiMa quello che più preoccupa è la minaccia dei jihadisti: “Se Israele non ferma gli attacchi colpiremo la centrale atomica di Dimona, l’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv ed i porti di Ashdod e di Haifa”, hanno detto. Secondo la radio militare i voli da e per l’aeroporto Ben Gurion sono già stati deviati verso una rotta settentrionale che sorvola la città di Natanya.Sull’altra linea del fronte, in Israele, a Kiryat Gat, nel Neghev settentrionale, una donna è rimasta gravemente ferita da un razzo e una coppia si è salvata all’ultimo minuto, ad Ashkelon, scappando nel bunker appena hanno suonato le sirene, la loro casa è andata distrutta.L’escalation di violenza arriva a ridosso della festa dell’Indipendenza d’Israele, che è il 9 maggio, e segue il ferimento di due soldati israeliani vicino al confine con Gaza, avvenuto questo venerdì.
Mamadou, senegalese, 50 anni, vive a Firenze ed è in Italia da più di 30 anni. «Mi sento italiano al 100 per cento, qui ho trovato lavoro e ho la mia vita» di Jacopo Storni «Sono Mamadou Sall, ho 50 anni e sono operaio in […]
Mamadou, senegalese, 50 anni, vive a Firenze ed è in Italia da più di 30 anni. «Mi sento italiano al 100 per cento, qui ho trovato lavoro e ho la mia vita»
«Sono Mamadou Sall, ho 50 anni e sono operaio in un’azienda che produce materie plastiche a Firenze». Si presenta così il senegalese Mamadou, uno dei rappresentanti più autorevoli della comunità senegalese di Firenze, che adesso ha deciso di scendere in campo alle elezioni europee per il Partito Democratico.
Mamadou Sall
«Sono nato a Pekine, una città sul mare nella regione di Dakar, in Senegal. Sono arrivato in Italia più di 30 anni fa, in cerca di lavoro e di un futuro migliore di quello che poteva offrirmi il mio Senegal». Ha avuto un inizio piuttosto difficile, come molti suoi connazionali. Spesso in strada a vendere fazzoletti. Per tre, quattro mesi, giorni e notti a chiedere pietà. Ma quanta vergogna: «Non ero bravo, sono molto timido e mi vergognavo ad andare dalla gente a chiedere la carità, volevo smettere il prima possibile».
Ricorda ancora quella volta che, in centro storico a Firenze, entrò con la sua borsa piena di fazzoletti nell’agenzia del lavoro per cercare un impiego. Gli addetti di quell’ufficio lo guardarono e gli dissero: «Non compriamo niente, grazie». Lui insistette: «Sono qui per cercare lavoro». Così cominciò il colloquio e fu proprio quel giorno che trovò quel lavoro da operaio che svolge ancora oggi. Dopo tanti sacrifici e un lavoro guadagnato con le unghie e con i denti, dice: «Mi sento italiano al 100 per cento, qui ho trovato lavoro e ho la mia vita». Guai a chiamarlo al telefono prima delle 17: «Sono un lavoratore serio, non poso stare al telefono in azienda prima della fine del mio turno». Ha un forte legame col suo Paese di origine: «Ho un forte attaccamento al Senegal, ci vado almeno una volta l’anno cercando, grazie a un’associazione fondata con alcuni amici, cerco di aiutare come posso le donne e i bambini locali».
È il famoso “aiutarli a casa loro”, che lui prova a mettere in campo mensilmente. «Nella mia formazione ha avuto un ruolo importante il sindacato. Mi sono avvicinato alla Cgil nel 1998 e sono delegato sindacale nella mia azienda battendomi lavorando per condizioni di lavoro migliori e più giuste assieme ai miei colleghi». E poi tanto volontariato: «Sono stato per anni volontario della Misericordia, dove prestavo servizio come soccorritore. Da sempre impegnato a favore dell’integrazione, dal 2000 sono segretario della comunità senegalese fiorentina, e oggi sono responsabile del forum immigrazione dell’area metropolitana di Firenze».
C’è sempre stato lui in prima linea quando a Firenze hanno sparato ai senegalesi. Prima la strage di piazza Dalmazia, nel 2011, quando persero la vita due ambulanti. Poi l’omicidio di Idy Diene, nel 2018. E lui sempre lì, a consolare gli amici e le famiglie, a organizzare manifestazioni di piazza contro il razzismo. Anche lui, più volte, ha avuto discriminazioni, soprattutto nei primi anni in Italia. «Mi hanno offeso dicendomi “nero di merda”». Ma con questo lavoro, adesso, sta benissimo. Ed è felice. Come hobby ha il calcetto, tutti i venerdì coi suoi amici italiani. Poi la consueta pizza post partita. Ha una moglie senegalese. Tutti i venerdì va a pregare alla moschea di Borgo Allegri, nel centro di Firenze. È molto religioso. Vive a San Piero a Ponti, nell’hinterland fiorentino. «Quando mi hanno proposto di candidarmi, sono diventato bianco di paura», scherza Mamadou. «Ma poi ho scelto di accettare, l’ho fatto per tutta la comunità di senegalesi in Toscana».
È uno dei pochissimi candidati di colore alle europee in Italia. Gli obiettivi principali in caso di elezione? «Serve un’Europa più democratica e più accogliente. Un’Europa che pensi di più al lavoro. In tanti dicono che la crisi è superata, ma conosco tanti amici e colleghi che sognano di fare la colazione al bar la mattina, che invece per loro è soltanto un lusso che non possono permettersi».
C’è vento di tempesta sul governo gialloverde, e una tensione palpabile giunta a livelli mai visti prima. Il caso Siri scuote la maggioranza e la presa di posizione netta del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, deciso a proporre la revoca del sottosegretario, provoca la dura […]
C’è vento di tempesta sul governo gialloverde, e una tensione palpabile giunta a livelli mai visti prima. Il caso Siri scuote la maggioranza e la presa di posizione netta del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, deciso a proporre la revoca del sottosegretario, provoca la dura reazione di Matteo Salvini. «È semplice: Giuseppe Conte non ha più la mia fiducia». Quelle che secondo Repubblica il leader leghista avrebbe rivolto ai suoi sono parole che suonano come una sentenza per il premier e di conseguenza per tutto il governo.
Secondo il Corriere della Sera, il vicepremier leghista sarebbe «esterrefatto» dalla presa di posizione di Conte e Siri non avrebbe alcuna intenzione di cedere. Nella giornata del 3 maggio, peraltro, dal palco di Reggio Emilia, Salvini ha lanciato una frecciata al presidente del Consiglio, affermando di essere più interessante alle sorti di un altro Conte: «Io vorrei sentire Antonio Conte, se viene al Milan». La verità è che, battute a parte, Salvini non è per nulla contento di ciò che sta accadendo, ed è pronto persino a portare la battaglia in Consiglio dei ministri, pur sapendo di trovarsi in inferiorità numerica nei confronti del Movimento 5 Stelle. A quel punto, sarebbe crisi di governo. «Aveva detto che avrebbe cercato di capire, che si sarebbe fatto un’idea… Ma che cosa è successo, che cosa gli ha fatto chiedere le dimissioni di Armando? Assolutamente nulla», ha detto Salvini ai suoi secondo il Corsera, convinto che tutto fosse già deciso da tempo e che il caso sia stato protratto oltre misura «per far rosolare la Lega». Durante il suo tour dell’Emilia, Salvini ha ribadito di non voler fare cadere il governo: «Faccio e farò tutto quello che posso perché il governo vada avanti», ha detto. Ma con rapporti così logori col socio di maggioranza e col presidente del Consiglio, la convivenza rischia di essere dura.
DI MAIO INVOCA RESPONSABILITÀ
Le ricostruzioni giornalistiche hanno richiamato l’attenzione dell’altro vicepremier, Luigi Di Maio: «Oggi non su uno, ma su quasi ogni giornale c’è scritto che la Lega vuole staccare la spina al governo e ha pianificato di far saltare tutto dopo il voto», ha scritto su Facebook il ministro del Lavoro, «e tutto questo per cosa? Per una poltrona? Per non mollare un loro indagato per corruzione? Lupi, e dico l’ex ministro Maurizio Lupi di Ncd, si dimise per molto meno… Qui si tratta semplicemente di smettere di fare le vittime e rimettersi a lavorare. Il M5S vuole che il governo vada avanti. Si chiama responsabilità».
SALVINI: «IL GOVERNO NON CADRÀ»
E ufficialmente Salvini si è affrettato a buttare ancora una volta acqua sul fuoco: «Io penso a lavorare e la mia parola vale più dei sondaggi: il governo durerà altri quattro anni e agli italiani non frega niente di quello che titolano i giornali o i telegiornali che rincorrono polemiche inutili», ha detto il leader leghista, «è per questo che vendono sempre meno e i dibattiti televisivi perdono ascolti. I giornalisti sono liberi di scrivere quello che vogliono ma poi non si devono lamentare se i giornali vendono sempre meno. Io la sera preferisco guardare Peppa Pig con mia figlia».
CONTE: «NON CI SARÀ NESSUNA CONTA»
«Non ci sarà nessuna conta», ha assicurato Conte a San Marco in Lamis per la consegna dei diplomi all’istituto superiore Pietro Giannone, «il caso Siri non è il caso all’ordine del giorno. Il caso Siri è stato all’ordine del giorno venerdì. Ci ritornerà al prossimo Consiglio dei Ministri». Il presidente del Consiglio ha chiesto di «non alimentare polemiche sterili. Stiamo lavorando, siamo tutti concentrati a lavorare. Tutti determinati a portare avanti questa esperienza di governo. Non raccogliete false notizie, false dichiarazioni». Sulle ipotesi di crisi di governo, Conte ha detto: «Noi siamo qui per lavorare per i cittadini, abbiamo un programma di lavoro che impegnerà per tutta la legislatura».
Delegazioni in arrivo da tutta Italia – Roma, Trento, Napoli, Milano, Venezia, Bologna – e da molti dei Paesi in cui la libertà di stampa è più minacciata. Dalla Siria alla Turchia, dalla Slovacchia a Malta (non a caso molti dei cartelli erano dedicati a […]
Delegazioni in arrivo da tutta Italia – Roma, Trento, Napoli, Milano, Venezia, Bologna – e da molti dei Paesi in cui la libertà di stampa è più minacciata. Dalla Siria alla Turchia, dalla Slovacchia a Malta (non a caso molti dei cartelli erano dedicati a Daphne Caruana Galizia).
La XXVI giornata mondiale della libertà di stampa è stata celebrata a Roma, in piazza Santi Apostoli, con un’iniziativa della Fnsi. Contro i tagli e i bavagli. Mentre nella sede della Federazione nazionale della stampa viene firmata la Carta di Assisi, un manifesto internazionale contro i muri mediatici e sull’uso delle parole.
L’iniziativa è stata organizzata dalla Federazione nazionale della stampa italiana insieme a Usigrai, Ordine dei giornalisti del Lazio, associazione Articolo 21, Amnesty International Italia e Rete NoBavaglio. Durante il sit-in hanno preso la parola molti giornalisti stranieri, a partire dalla giornalista e scrittrice siriana, Asmae Dachan, che ha ricordato come sia importante “dare voce ai colleghi della Siria che non hanno la possibilità di esprimersi”. “In Siria – ha detto sono 50 anni che conviviamo con un regime”. E ha ricordato “gli oltre 600 colleghi morti negli ultimi 8 anni di guerra, di cui 50 deceduti in stato di detenzione sotto tortura”.
Una rappresentante di Amnesty International Italia ha sottolineato che nel 2018, in tutto il mondo, 88 giornalisti sono stati uccisi, 250 imprigionati di cui 130 in Turchia e 61 sono stati sottoposti a sparizione forzata. “In Italia – ha chiarito – le cose non vanno meglio, ci sono oltre 20 giornalisti sotto scorta”.
Ha preso la parola anche la ricercatrice turca Fazila Mat. “Nel mio Paese – ha raccontato – ci sono delle difficoltà quotidiane per i giornalisti. Nove reti televisive su 10 sono in mano al governo e i giornali ancora indipendenti portano avanti il loro lavoro con molta difficoltà. Ogni giorno molti colleghi vengono accusati di aver violato una legge, due sono stati condannati all’ergastolo”.
Radio Radicale, staffetta di firme per la rassegna di Bordin. Salvini pro emittente: “Preferirei taglio dei mega-stipendi Rai”
Il presidente della Fnsi, Giuseppe Giulietti, ha fatto riferimento alla sospensione, ordinata dal Mise, dell’attività di Radio Padania sulla rete digitale che gli consentiva la diffusione in tutta Italia. “A Radio Padania dico di rivolgersi anche alla Lega che dovrebbe smetterla di votare i tagli delle radio, delle televisioni e dei giornali. Se la Lega non è d’accordo con i Cinque stelle e con Crimi lo dica. Oltre a manifestare solidarietà, voti l’emendamento che sarà presentato nei prossimi giorni e impedirà la morte di Radio Radicale e di centinaia di radio e di giornali. Mi attendo a questo punto un segnale”.
Per quanto riguarda l’Unione Europea, i giornalisti sono in tutto 400mila, lo 0,2% del totale degli occupati. Secondo Eurostat, che pubblica i dati relativi al 2018 in occasione della giornata mondiale della libertà di stampa, gli Stati membri con la maggior quota di giornalisti sul totale degli occupati sono Croazia e Svezia, entrambe allo 0,4%, mentre quelli in cui i giornalisti pesano meno sull’occupazione sono Italia, Polonia, Lituania, Romania e Slovacchia, tutti intorno allo 0,1%.
“Il giornalismo, quando è svolto con rigore e con coraggio, rappresenta un baluardo di democrazia, di legalità, di resistenza alle mafie, alla corruzione e, di conseguenza, al degrado sociale, politico ed economico”, è stato il messaggio della presidente del Senato, Elisabetta Casellati. “Il mio pensiero, in questa giornata, non può che andare a tutti quei cronisti che nella ricerca della verità dei fatti hanno subito e subiscono ogni giorno i soprusi e le ritorsioni fisiche e morali di chi vorrebbe limitare la libertà di stampa e il diritto di cronaca”.
Non è ancora chiusa la partita del caso Siri. Dopo la presa di posizione del premier Giuseppe Conte che ha in sostanza dimesso il sottosegretario leghista del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti accusato di corruzione, il vicepremier leghista Matteo Salvini ha fatto sapere di […]
Non è ancora chiusa la partita del caso Siri. Dopo la presa di posizione del premier Giuseppe Conte che ha in sostanza dimesso il sottosegretario leghista del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti accusato di corruzione, il vicepremier leghista Matteo Salvini ha fatto sapere di non avere tempo per beghe e di polemiche e ha detto di occuparsi di “tasse, di droga, di sicurezza, di immigrazione”. Ma soprattutto, fonti del Carroccio hanno fatto sapere che Siri non si dimetterà e che nella “Lega nessuno lo molla”. Un modo piuttosto diretto per dire che il sottosegretario resterà al suo posto fino alla riunione del consiglio dei ministri durante la quale Conte dovrebbe proporne la revoca. Revoca che comunque non dovrebbe tardare, perché il consiglio dei ministri è in programma la prossima settimana, tra mercoledì e giovedì e come ha detto l’altro vicepremier Luigi Di Maio, in consiglio dei ministri il M5s ha la maggioranza. Era stato già il titolare dei Trasporti e delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, a dichiarare che l’intenzione annunciata da Conte di revocare la nomina di Siri “non è una vittoria né un sconfitta di alcuno. Non si può gioire quando un membro del governo viene giustamente invitato a dimettersi e dico giustamente perché mi spiace per lui e la sua famiglia, ma vanno tutelate le istituzioni e l’immagine del governo del cambiamento che ha bisogno della fiducia e del consenso degli italiani che la politica aveva perso. Speriamo non serva un Consiglio dei ministri per votare, spero lui faccia un passo indietro”, ha aggiunto. Speranza, a quanto pare, destinata a essere delusa, quella di Toninelli, vista e considerata la volontà della Lega di arrivare alla conta. Ieri, prima che Conte annunciasse la decisione di rimuovere il sottosegretario leghista alla prima occasione utile, c’era stato un colloquio di oltre tre ore tra i due.Un colloquio che avrebbe rafforzato i timori del premier su un possibile allargamento dell’inchiesta e quindi sulla gravità delle accuse. Quindi la decisione. Nel corso di una conferenza stampa il premier Giuseppe Conte ha dichiarato: “Ho incontrato Siri e ho avuto con lui un lungo colloquio nel corso del quale di è detto disponibile e fornirmi dettagli dell’inchiesta. Ho sempre rivendicato un alto tasso di etica pubblica per questo governo. E’ normale ricevere suggerimenti di modifica di normativa, ma dobbiamo valutare se la norma non avrebbe offerto vantaggi retroattivi. Così ora so che non ci trovavamo di fronte a una norma generale e astratta e che disponeva non per il futuro, ma per il passato. Per questo ho valutato l’opportunità delle sue dimissioni. Credo che le dimisisoni o si danno o non si danno. Eventuali dichiarazioni spontanee di Siri non potranno rappresentare la svolta. Quindi in occasione del prossimo consiglio dei ministri presenterò un decreto di revoca della nomina del sottosegretario del ministero delle infrastrutture”. Un annuncio che ha provocato dapprima la reazione del vicepresidente del consiglio, il capo politico del M5S Luigi Di Maio, certo che la Lega non aprirà la crisi di governo sulle dimissioni di Siri. E successivamente quella del capogruppo del Carroccio alla camera, Riccardo Molinari “Il consiglio dei ministri sarà l’8 o il 9 maggio. Mi auguro non ci sia il voto su Siri. Se mai il M5s voterà a favore e il M5s ha la maggioranza assoluta in consiglio dei ministri. Conosco la Lega e Matteo Salvini, sono persone di buonsenso e intelligenti: aprire una crisi di governo per un sottosegretario accusato di corruzione non sarebbe una mossa giusta”, ha dichiarato il capo politico del M5S. “Siri voleva dimettersi 15 giorni dopo essere stato ascoltato dai magistrati. Non sappiamo quando sarebbe stato ascoltato, magari avrebbe scavallato le Europee. Sarebbe stata una strada un pò furba che non potevamo permettere.Voglio fare un appello alla Lega e a Salvini una volta superato il caso Siri: vediamoci, parliamoci e lavoriamo il più possibile per gli italiani”. Il capogruuppo della Lega alla camera, Riccardo Molinari, ha invitato poerò Conte ad assumersi le sue responsabilità.
Varese, 4 maggio 2019 – Fabrizio Maroni, figlio minore di Roberto, ex ministro dell’Interno ed ex governatore della Lombardia della Lega, è candidato nella lista civica che sostiene Giuseppe Licata, il sindaco uscente del Pd di Lozza, comune nel Varesotto, e che si è ripresentato […]
Varese, 4 maggio 2019 – Fabrizio Maroni, figlio minore di Roberto, ex ministro dell’Interno ed ex governatore della Lombardia della Lega, è candidato nella lista civica che sostiene Giuseppe Licata, il sindaco uscente del Pd di Lozza, comune nel Varesotto, e che si è ripresentato alle prossime elezioni.Il 19enne, studente di scienze politiche, con il sogno di “fare il giornalista e non il politico di professione”, ha scelto di “mettersi a disposizione della comunità” e tenterà di entrare nel consiglio comunale di Lozza non a fianco della Lega ma per l’area del centrosinistra.
“Lo Stato non ci ha trattato come esseri umani. E quindi noi non riconosciamo più lo Stato” (Gianni Sartori) Brutti tempi – ma non è certo una novità – per le donne a cui è toccato la mala-sorte di nascere e vivere […]
“Lo Stato non ci ha trattato come esseri umani. E quindi noi non riconosciamo più lo Stato”
(Gianni Sartori)
Brutti tempi – ma non è certo una novità – per le donne a cui è toccato la mala-sorte di nascere e vivere entro i confini dello Stato turco.
Solo in aprile – stando a quanto riporta l’agenzia ANF citando l’associazione “Noi fermeremo i femminicidi” – almeno 20 donne sono state assassinate in Turchia. Inoltre, sempre secondo ANF, altrettanti bambini avrebbero subito abusi.
Entrambi, i femminicidi e gli abusi su minori, risultano in preoccupante aumento. Sempre in aprile, quindici donne hanno denunciato di aver subito aggressioni sessuali e tre bambini sono stati uccisi. Contemporaneamente, i tribunali hanno concesso consistenti riduzioni di pena per “buona condotta” (!)
a una mezza dozzina di stupratori.
In marzo le donne assassinate in Turchia erano state 27 e in gennaio 43.
Ad alimentare tale situazione, oltre al clima politico promosso dal partito di Etdogan, l’AKP, contribuiscono sia la sostanziale impunità, sia il linguaggio apertamente sessista dei media.
Una conferma di questi dati viene anche da Jin News, l’agenzia di stampa fondata l’8 marzo 2012 da una trentina di giornaliste e artiste (sia turche che curde, tra cui Evrim, Beritan e Zerha Dogan).*
La loro missione: denunciare le discriminazioni e le violenze quotidiane subite dalle donne. La scritta in turco riportata sotto al logo (Kadman Kalemiyle Hakikatin Izinde) sta per “sulla scia della verità”.
In precedenza il governo turco aveva fatto chiudere una prima loro agenzia (Jihna Haber Ajans) e anche il quotidiano Gujin.
Particolarmente gravi poi le violazioni dei diritti umani nei confronti delle donne curde in Bakur (il Kurdistan sotto amministrazione – o meglio: occupazione militare – turca).
Secondo un rapporto di GOCIZDER (un’Associazione- osservatorio sulle migrazioni), durante il periodo di coprifuoco totale (24 ore su 24, senza luce e senza acqua) imposto dall’esercito turco tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016, le donne curde sono state sistematicamente minacciate di stupro e venivano impedite l’assistenza e le cure mediche (anche alle donne incinte). Con le prevedibili conseguenze psicologiche: depressione, stress post-traumatici, suicidi…
Contro le città e i villaggi che avevano dichiarato l’autonomia (in base ai principi del Confederalismo democratico) Ankara aveva scatenato i suoi reparti militari attaccando e bombardando con carri armati ed elicotteri.
Almeno mezzo milione di persone avevano dovuto abbandonare le loro case trasformandosi in rifugiati. Le vittime registrate erano state 3638 (di cui un centinaio bruciati o sepolti nelle cantine di Cizre) mentre risultava incalcolabile il numero delle violazioni dei diritti umani.
Il rapporto di GOCIZDER (“Violazioni dei diritti umani contro le donne e la loro esperienza durante il copri-fuoco e la migrazione forzata”) si basava sulle testimonianze di 480 donne e metteva in evidenza il carattere sessista della violenza di Stato. Un documento che dovrebbe allertare anche in merito ai progetti, in parte già avviati, di Erdogan nei confronti del Nord della Siria. E’ facilmente immaginabile quali rischi correrebbero le popolazioni di quei territori al momento ancora parzialmente sotto il controllo dei Curdi e dei loro alleati.
Significativa la dichiarazione di una ragazza diciottenne che aveva trascorso tre mesi nelle cantine di Cizre:
“C’erano molte persone ammalate. Ma non potevamo né andare all’ospedale, né procurarci le medicine. Non potevamo assolutamente uscire. Lo Stato non ci ha trattato come esseri umani e quindi noi non riconosciamo più lo Stato. Personalmente ho smesso anche di andare a scuola, non ne voglio più sapere”.
Altra testimonianza da Nusaybin:
“Una donna era rimasta ferita davanti a casa nostra. I soldati continuavano a sparare e noi non potevamo uscire per soccorrerla. Era incinta ed è rimasta a morire sulle scale dove l’avevano colpita”. Tra i racconti più drammatici, quello di una donna di Cizre la cui figlia era rimasta ferita non gravemente: “Lei ci aveva detto di non portarla all’ospedale perché l’avrebbero uccisa. Invece noi nonostante le difficoltà siamo riusciti a raggiungerlo, ma poi laggiù i soldati l’hanno assassinata. E’ il mio più grande rimorso”.
Gianni Sartori
*Nota 1: Una certa notorietà è toccata all’artista Zerha Dogan, arrestata nel 2017 (e rilasciata nel 2019) per un acquarello su cui aveva dipinto lo strazio della regione di Nusaybin sotto l’attacco turco.
A lei – nel 2018 – Banksy aveva dedicato un mural sul mitico Bowery Wall (un muro già utilizzato da Keith Haring nel 1982) di N.York.
Por Geraldina Colotti, Resumen Latinoamericano, 3 mayo 2019 ¿Cuáles son los parámetros por los cuales se debe juzgar el éxito o el fracaso de un modelo social? Al menos dos elementos: el nivel de justicia social y el nivel de consenso. Parámetros evidentemente ignorados por […]
Por Geraldina Colotti, Resumen Latinoamericano, 3 mayo 2019
¿Cuáles son los parámetros por los cuales se debe juzgar el éxito o el fracaso de un modelo social? Al menos dos elementos: el nivel de justicia social y el nivel de consenso. Parámetros evidentemente ignorados por aquellos que evalúan los resultados basados en las lentes de la economía burguesa, ahumados y desviados porque ocultan los intereses de clase y los conflictos que se derivan de ellos. Es con estos lentes, modulados de acuerdo con varios tonos de claroscuro, que se evalúa el proceso bolivariano: tanto desde la derecha como desde la izquierda “light” en Europa.
En este último campo, surgen diferentes tipos de «especialistas» sobre Venezuela. Desde los círculos cada vez más estrechos de aquellos que ahora pontifican hasta unos pocos «elegidos», aquellos que, incluso cuando no logran identificarse con la agresión explícita de Trump, emergen en una larga lista de críticas y dudas, encabezada por el estribillo de «Maduro no es Chávez». Para este tipo de «izquierda», el socialismo es claramente una cuestión de «estilo», de jeans de diseñador o de un traje oscuro.
¿Qué quieren estos «bárbaros» que visten conceptos «complejos» con sus camisas rojas? Pensemos y reconsideremos el modelo perfecto de socialismo, que estamos ajustando año tras año en nuestra mesa de noche, disparando flechas contra todos los trenes o viéndolos pasar. Sobre esta base, los «críticos-críticos» se encuentran con otro tipo de izquierda moderada, la que hizo tanta carrera hacia el centro hasta perder la cara, confundiéndola con la del capital.
Sobre el «estilo», en este caso el «estilo Obama», defensor de una globalización «inclusiva» tanto del capitalista como del trabajador, ambos se entienden y se cubren. Como en América del Norte, donde siempre hay un consenso «bipartidista» contra Cuba y contra el socialismo bolivariano, esta «izquierda» evita cuestionar sus responsabilidades, su propia comedia. Se abstiene de denunciar al menos la incongruencia de los diputados del Partito Democratico (centro-izquierda) que han invitado al gobierno italiano a apoyar el golpe de Estado de Guaidó en Venezuela. ¿Cómo podemos, de hecho, ser guardianes (en el sentido apropiado del carcelero por lo que es la línea política de esto partido), de la «legalidad y democracia» en nuestra propia casa, y defensores de la subversión y del golpe en las casas de otras personas? Llevando «el vestido correcto», en este caso lo del léxico: si el socialismo, en todas sus formas, se transforma en «dictadura», si el reclamo de los derechos básicos se convierte en una bandera para los trogloditas, cualquiera que se levante contra el “insoportable obrero” que dirige Venezuela resulta simpático y se tiene que apoyar.
Este tipo de «izquierda», que ha digerido con mucha fatiga a la oposición armada a las dictaduras latinoamericanas del siglo pasado, la que le permitió a Pinochet morir en su cama en nombre de «diálogo» y «conciliación», no se siente incómoda al apoyar el resbaladizo autoproclamado: retrato con un buen ángulo, tanto cuando posa como modelo para revistas de moda, como cuando aparece junto a ametralladoras apuntando a una autopista en Venezuela.
Y así, para defender y acoger a los golpistas venezolanos, desde Chile hasta España e Italia, son los exponentes de los partidos «socialistas» que han dado la bienvenida a los grupos de extrema derecha, como lo es Voluntad Popular, en su «internacional». Un partido cuyos principales exponentes, desde Leopoldo López hasta el Guaidó de hoy, han participado en numerosos episodios de subversión. Entonce, ¿dónde está la «no violencia» proclamada por esa cierta izquierda solo cuando se trata de reprimir las protestas legítimas de las clases populares?
¿Cuántos arrestos, cuántas golpizas cometió Macron en Francia contra el movimiento de los chalecos amarillos? ¿Cuántas masacres, cuántas violaciones ha hecho Israel en desafío a la legalidad internacional? Y sin embargo, siempre son ejemplos de «democracia». En cambio, cuando se trata de Venezuela, esa «izquierda» se dispara como un solo hombre para defender los «derechos humanos» de los líderes golpistas.
Que el socialismo bolivariano ya haya distribuido más de 2.600.000 viviendas sociales, que todos los servicios son gratuitos o subsidiados, no es una noticia. No debe aparecer en los titulares, de lo contrario, ¿cómo se prueba que no hay alternativas al capitalismo y que el conflicto debe ser apagado incluso ante el aumento de la xenofobia, la precariedad del trabajo, la concentración de la riqueza en pocas manos y el poder excesivo del capital financiero en las economías locales? Que un antiguo trabajador del metro levante su independencia y su bandera de soberanía junto a su pueblo no debe ser noticia. De lo contrario, ¿cómo ocultar la situación de vasallaje que, más allá de algunas quejas, muestra la Unión Europea frente al gran gendarme norteamericano?
En las próximas elecciones europeas va ser candidato el padre de Leopoldo López, ahora «huésped» de la embajada española en Venezuela y del gobierno del socialista Sánchez. Después de escapar del arresto domiciliario, Leopoldo López apareció junto con el autoproclamado y el grupo de golpistas que querían bombardear la autopista Francisco Fajardo: para provocar la reacción del gobierno bolivariano y por lo tanto la invasión «democráticamente» armada de su propio país.
Una eventualidad rechazada con firmeza por Nicolás Maduro, tanto durante la manifestación extraordinaria del 1 de mayo como durante la organizada frente a más de 4.500 efectivos de la FANB. Una manifestación de soberanía y paz con justicia social, es decir, de democracia verdadera, durante la cual se ha planteado varias veces el grito de «Leales siempre, traidores nunca». Con «calma y nervios de acero», el chavismo ha rechazado este nuevo intento de golpe de Estado, fortalecido por una unión cívico-militar.
El consenso alcanzado por el socialismo bolivariano a pesar de todos los ataques es una víctima de haber sido considerado «una amenaza inusual y extraordinaria» por el «demócrata» Obama, es evidente. Igualmente obvios son los efectos de las crecientes operaciones de piratería internacional llevadas a cabo contra el pueblo venezolano en los países europeos. Esto fue denunciado por un grupo de 19 organizaciones, que solicitaron al gobierno portugués que liberara 1.543 millones de euros incautados ilegalmente del gobierno bolivariano por parte del Banco Novo. Dinero para la compra de medicamentos que salvan vidas y para el cuidado de niños con cáncer que también se encuentran en Italia.
También es evidente el alcance global del conflicto en curso, que ve a Venezuela en el centro de una redefinición de los activos geopolíticos y la legalidad internacional.
Y mientras Estados Unidos hace que la «opción militar» se acerque cada vez más, los autoproclamados afirman que el intento de golpe «es solo el comienzo» y vuelve a anunciar una próxima «huelga general». Con la voracidad de la rata de alcantarillado, la derecha cuenta para corroer las instituciones desde dentro y para debilitar la resistencia heroica del pueblo bolivariano con sanciones y sabotaje. A través de la política de hechos cumplidos, el objetivo es imponer un sistema de guerra permanente y un «estado en el estado», desprovisto de legitimidad interna, pero bien respaldado por sus padrinos internacionales.