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Da Israele un gasdotto che fa paura

GAS. L’EastMed è lungo 1900 km, corre sotto il mare in zone sismiche, attraversa zone contese da Grecia e Turchia e arriva in Italia. Le proteste di Greenpeace

Luca Martinelli

Il gas è una bomba a orologeria per il clima e i conflitti» è scritto sugli adesivi che il primo marzo gli attivisti di Greenpeace Belgio hanno incollato davanti all’ingresso della Commissione europea, a Bruxelles. E ancora: «Il gas alimenta la guerra». La protesta è contro il progetto del nuovo gasdotto EastMed, un’infrastruttura lunga almeno 1.900 chilometri, oltre due terzi dei quali sottomarini anche in zone sismiche, che collegherebbe i giacimenti di gas israeliani e ciprioti con la Grecia attraversando le acque contese tra Grecia, Turchia e Cipro. In rete con il tratto offshore dell’infrastruttura gemella Poseidon, il gas arriverebbe quindi in Italia, a Otranto, in Salento.

A REALIZZARE L’INTERVENTO SAREBBE IGI Poseidon S.A., una joint venture tra la società statale greca DEPA e l’italiana Edison, che in realtà appartiene a Electricité de France (Edf), controllata dallo Stato francese. Il progetto del gasdotto dovrebbe essere completato entro cinque anni, con costi stimati tra i 5 e i 7 miliardi di euro. «Se costruito – denuncia un rapporto pubblicato dall’organizzazione ambientalista – il gasdotto EastMed potrebbe essere responsabile di emissioni di gas serra equivalenti a 27 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno, tenendo conto del consumo energetico, del trasporto e delle perdite».

DURANTE L’EVENTUALE ESERCIZIO (non entrerebbe in funzione prime del 2028), inoltre l’opera arriverebbe a consumare l’11,5% di tutto il budget di carbonio che l’Ue ha a disposizione per il periodo 2028-2050, che deve essere preservato per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C al di sopra dei livelli preindustriali. Ecco perché, secondo Greenpeace, EastMed rischia di accelerare gravemente la crisi climatica. La sede della protesta è stata quella della Commissione europea perché per facilitare la costruzione di nuove infrastrutture energetiche, l’Unione Europea ogni due anni stila una lista di progetti di interesse comune (lista PCI). Attualmente è in corso la definizione della sesta lista e il progetto EastMed, che è presente nella PCI dal 2013, è candidato a entrare anche nella nuova lista.

QUESTI INTERVENTI BENEFICIANO DI FINANZIAMENTI comunitari e di una procedura accelerata. Per questo gli attivisti hanno portato a Bruxelles un adesivo gigante raffigurante un gasdotto, per ricordare che le fonti fossili sostenute dall’Unione europea costituiscono una minaccia per la pace. Simona Abbate, campaigner energia clima di Greenpeace Italia, parla di «ostinato sostegno della Ue alle fonti fossili» e sottolinea come il gasdotto EastMed sia «una bomba a tempo in una regione fortemente militarizzata e contesa».

SECONDO ABBATE, IL PROGETTO «rischia di riaccendere un conflitto sopito solo per permettere alle compagnie del gas e del petrolio di macinare profitti per altri vent’anni, sottraendo investimenti alle energie rinnovabili e per il risparmio energetico. La doppia minaccia della crisi climatica e dei conflitti armati è un chiaro avvertimento che le infrastrutture fossili non sono la soluzione per la sicurezza energetica». Il conflitto a cui fa riferimento, descritto nel rapporto, è quello irrisolto tra la Repubblica di Cipro e la Repubblica turca di Cipro Nord per il controllo dell’isola e delle sue risorse. L’infrastruttura potrebbe anche diventare un facile obiettivo militare, come hanno dimostrato i recenti attacchi al gasdotto Nord Stream tra Russia e Germania.

LA QUESTIONE PERO’ OLTRE AGLI EQUILIBRI nel Mediterraneo riguarda direttamente anche il nostro Paese. Quello che Greenpeace Italia definisce il «piano climaticida del governo Meloni», ovvero la volontà di trasformare l’Italia in un hub del gas, apre le porte a pericolosi mega progetti fossili. Non a caso, le aziende coinvolte nel nuovo gasdotto hanno chiesto un ombrello politico per il progetto EastMed, mentre i partiti di maggioranza stanno spingendo, con diverse risoluzioni parlamentari, per un maggior sostegno dell’esecutivo all’opera.

«L’ITALIA DEVE RINUNCIARE DEFINITIVAMENTE a diventare hub del gas e smettere di sostenere il progetto EastMed, pericoloso per il clima e per la pace» sostiene Sofia Basso, research campaigner Climate for Peace di Greenpeace Italia. «Da tempo chiediamo inoltre che l’Italia interrompa le missioni militari estere, Mediterraneo orientale compreso, a protezione degli interessi delle aziende dei combustibili fossili. Se vogliamo un futuro verde e di pace, l’unica soluzione è investire nella transizione ecologica» continua.

È PER QUESTO CHE GREENPEACE HA CHIESTO alla Commissione europea di mettere al primo posto il clima e la pace, escludendo il gasdotto EastMed dalla prossima lista di Progetti di interesse comune ed effettuando un nuovo tipo di valutazione di impatto che prenda in considerazione tutti gli aspetti geopolitici per qualsiasi progetto transnazionale di infrastrutture fossili sostenute dall’Ue. Anche perché un nuovo gasdotto proprio non serve: l’Unione Europea deve ridurre il proprio consumo di gas fossili del 42% rispetto al livello attuale entro il 2030 e – secondo questo obiettivo – nuove infrastrutture per il trasporto del gas fossile verso il mercato europeo non saranno necessarie per soddisfare la domanda europea dopo il 2025.

LA CARENZA DI FORNITURE IN SEGUITO dell’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022 ha suscitato purtroppo nuove speranze tra i promotori e i sostenitori del progetto EastMed, che sostengono che il gasdotto verrà costruito per rifornire l’Europa. Ecco perché Greenpeace ha scelto di agire mentre siamo in attesa che la Commissione presenti l’elenco definitivo dei Progetti di interesse comune, il che avverrà a novembre 2023, dopo aver raccolto il parere delle autorità di regolamentazione dell’energia e dei governi coinvolti. A quel punto sarà troppo tardi per cambiare strada: i governi dell’Unione e il Parlamento europeo avranno due mesi di tempo per approvare la lista per intero o respingerla, ma – arrivati a quel punto – non potranno presentare modifiche.

Sorgente: ilmanifesto.it

 

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