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Intervista al direttore del Dipartimento di Medicina Molecolare della Università di Padova: “L’aumento dei test di questi giorni è un pannicello caldo. Volevo triplicarli, nessuno si è fatto vivo”

di Viola Giannoli

ROMA – Lo chiamano “l’uomo dei tamponi”. Andrea Crisanti, 66 anni, romano, dirige il Dipartimento di Medicina Molecolare della Università di Padova ed è il padre del “modello Veneto” che grazie a uno screening a tappeto ha salvato la Regione dalla prima ondata di Covid.

Professore, ieri c’è stato un numero record di tamponi: oltre 125mila, 25mila in più rispetto al giorno prima. Sono sufficienti per intercettare e contenere il virus?
«Venticinquemila in più? Sono acqua fresca. O una pezza calda, se preferisce. Io ne suggerivo 3-400 mila al giorno».

Era fine agosto quando lei presentò al governo un piano per quadruplicarli. Che fine ha fatto quello studio?
«L’ho consegnato al ministro Federico D’Incà e al viceministro Pierpaolo Sileri che lo hanno sottoposto al Cts. Poi non ne ho saputo più nulla…».

E cosa diceva?
«Avevo semplicemente previsto che la ripresa delle scuole e delle attività produttive avrebbe generato un notevole aumento delle richieste di tamponi. Suggerivo quindi la necessità di un investimento logistico importante che avremmo potuto realizzare in 2-3 mesi, la creazione di aree mobili di supporto sul territorio e tamponi low cost da 2 euro come quelli usati a Padova. Lo dico contro me stesso: forse ad agosto eravamo già in ritardo e ora ne paghiamo le conseguenze».

Cos’è accaduto invece?
«Abbiamo perso 4 mesi preziosi. L’aver pensato che era tutto finito perché avevamo 100 casi al giorno è stata un’illusione e nel frattempo non s’è fatto nulla. Abbiamo speso miliardi per il bonus bici e i banchi, invece di investirli per creare un sistema sanitario di sorveglianza che ci avrebbe messo in sicurezza».

Cosa si può fare ora?
«Dipende dall’obiettivo. Possiamo usare i tamponi per tre attività: screening di comunità, prevenzione o sorveglianza attiva. Nel primo caso si tratta di impedire a chi è potenzialmente infetto di entrare in comunità e dunque serve un test affidabile e sensibile come il tampone Pcr. Nel caso dello screening, l’obiettivo è capire se c’è trasmissione nella comunità e, in prima battuta, va bene anche il tampone rapido. Nella sorveglianza attiva di un positivo, l’obiettivo è isolare dalla comunità le persone che può aver infettato o che l’hanno contagiato: amici, parenti, colleghi».

Stiamo sbagliando sistema di monitoraggio?
«Ci siamo concentrati sul contact tracing che è un’attività di investigazione. Con la ripartenza di scuola e lavoro, abbiamo dato più opportunità al virus di trasmettersi, sono aumentati i casi e siamo saturi di richieste di tracciamento. Il sistema italiano è chiaramente in affanno. Ma non c’è sistema sanitario in Europa in grado di reggere 4-5 mila richieste al giorno di contact tracing».

Intanto ogni Regione va per sé. In Campania, ad esempio, i contagi sono in forte aumento ma i tamponi molto pochi. Nel Lazio si sta ore in fila ai drive in e i privati chiedono di poter eseguire i test. Cosa ne pensa?
«C’è una disorganizzazione totale. Il piano di sorveglianza non può essere lasciato a iniziative locali perché se sbagliano, l’impatto è disastroso su tutto il Paese. I test devono essere certificati e coordinati dallo Stato. Altrimenti aggiungiamo altro Far West alla babele di norme».

Nelle scuole i dati del contagio diffusi dal Ministero sono bassi ma non si conosce il numero di tamponi. Come si può proteggere la comunità scolastica?
«Quello che conta non sono i contagi. Ma l’incremento dei casi giorno per giorno. Questo è il solo monitoraggio che va fatto. Per me andavano messi i termoscanner agli ingressi, abbassata la soglia della temperatura per l’entrata in aula, obbligati tutti all’uso della mascherina in classe, lasciati a casa insegnanti e studenti provenienti da comunità in cui c’è un’alta trasmissione del virus».

Qual è la sua previsione per i prossimi mesi?
«Quel che preoccupa è il rapido aumento dei casi. Via via il governo introdurrà inasprimenti che impatteranno sulla qualità della vita. Ma queste misure devono essere accompagnate da un investimento in sanità: non si può scaricare tutto sulle spalle degli italiani. I fondi del Mes sono disponibili da ora: li usassero. Il virus si batte solo così, sul campo, con lo screening sui territori e la ricerca».

Sorgente: Il microbiologo Crisanti: “Il mio piano sui tamponi ignorato. Mesi buttati e ora piangiamo” | Rep

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