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Dopo le elezioni il «derby» di Salvini con Zaia in Veneto: «Vorrei sempre perdere prendendo il 60%…». E poi: «Lega primo partito della coalizione: ora ragioniamo su come coinvolgere forze nuove»

di Marco Cremonesi

«Padaniaaaa…». Un leghista cerca di buttarla sul ridere. Ma si ritrova da solo, con gli sguardi che lo trafiggono: nella Lega non ride proprio nessuno. Di certo non Matteo Salvini che, a dati ancora da consolidare, guarda cupamente fuori dalla finestra sul cortile di via Bellerio, il quartier generale della Lega pieno di giornalisti. Poi, si presenta in sala stampa e cerca di mettere il risultato in bella: «La Lega non è una presenza sporadica: stravinciamo in Veneto, eleggiamo in Sardegna un nuovo senatore, Carlo Doria, e a in Calabria andiamo al ballottaggio per il sindaco di Reggio».

Salvini parla di radicamento, dei consiglieri regionali che prima non c’erano in Puglia e in Campania, del raddoppio del consenso nelle Marche. E mette il cappello sulla presidenza della Conferenza Stato Regioni: «Fino a ieri, il centrodestra guidava 13 regioni contro le 7 della sinistra. Ora, siamo a 15 a 5». Ma il weekend elettorale non lo ha di certo aiutato. E se qualcuno pensa che il tema della leadership nel centrodestra tra lui e Giorgia Meloni sia pretestuoso, ieri ha avuto elementi su cui riflettere. A inizio serata, i leghisti si mostrano i telefonini. La leader di Fratelli d’Italia, in un raggiante post con il neo presidente delle Marche Francesco Acquaroli, aggiunge una riga che fa rizzare i capelli ai dirigenti leghisti: «Da Nord a Sud Fratelli d’Italia è l’unico partito che cresce in tutte le regioni». Salvini è secco: «Le leadership le decidono i cittadini, la Lega è il primo partito del centrodestra». Ma il tema gli offre l’occasione di parlare di ciò che non ha mai digerito: la scelta del candidato in Puglia. «Dovremo fare un ragionamento su come coinvolgere forze nuove. Quando si dovranno cercare gli sfidanti di Appendino, Sala, Raggi e de Magistris, dovremo fare uno sforzo per andare al di là dell’attuale bacino del centrodestra».

 

Che cosa significa? Che il segretario leghista non accetterà altri candidati come Raffaele Fitto. Il problema è che il candidato era già stato presidente della Puglia, per Forza Italia, tra il 2000 e il 2005. Non esattamente il nuovo. Per cui, Salvini chiude il discorso con un «purtroppo il passato non si può cambiare». Fitto non raccoglie: «Ringrazio Salvini per il supporto, non faccio polemiche di nessun genere». Ma Salvini, in realtà, non ce l’ha con lui: «Io non ho competitor interni alla coalizione». Il discorso è quello sui voti come sottolineato da Meloni? «Se tutti avessero preso i voti della Lega, sarebbe andata diversamente». Sul tema Salvini era stato anticipato dal suo vice, Lorenzo Fontana: «Nel Mezzogiorno dobbiamo porci delle domande e magari puntare a un rinnovamento della classe dirigente, a un linguaggio nuovo e quindi anche a persone nuove». Però, a dispetto degli sforzi di moderazione che il leader leghista si era imposto per le elezioni di settembre, i risultati delle Regionali non saranno ricordati dal partito come scintillanti. Non perché le Regionali non hanno fatto segnare quel 7-0 che il leader leghista aveva lanciato in modo più che altro motivazionale. In Val d’Aosta la Lega si è confermata primo partito della Regione.

 

Ma quasi ovunque, altrove, l’obiettivo di essere il primo partito ha dovuto essere derubricato. Meglio: primo partito del centrodestra. Un risultato che però è stato raggiunto, oltre che in Veneto, soltanto nelle Marche (22,7%). In Puglia, a risultati ancora da consolidare, non è stato raggiunto neppure l’obiettivo del 10% (9,5% con la metà delle sezioni scrutinate). Mentre in Campania, la Regione per la Lega più complicata, i voti hanno superato di poco il 5%. Per tacere del fatto che l’ottimo risultato dell’amico Giovanni Toti in Liguria non nasconde in casa Lega una discreta emorragia di voti. Anche il risultato di Luca Zaia, senza precedenti nella storia italiana, inevitabilmente rilancerà il tema della leadership, questa volta all’interno della Lega. A metà dello scrutinio, la lista del presidente era oltre al 45%. Quella della Lega superava appena il 15%.

E così, a Salvini è toccato di ribadire quel che già aveva detto nelle scorse settimane: «Entrambe le liste sono fatte da militanti e dirigenti leghisti. E spero di perdere con il 60% per tutta a vita». Zaia è lapidario: «La questione vale zero». E il referendum? Già a metà pomeriggio, due dirigenti di massimo livello come il capogruppo alla Camera Riccardo Molinari e Edoardo Rixi, avevano rilanciato il tema delle elezioni anticipate visto che i Sì avrebbero dimostrato che gli italiani vogliono un parlamento diverso. Di più: «Appare chiaro che l’attuale parlamento non può votare il nuovo presidente della Repubblica». Salvini, è apparso un po’ più cauto, promettendo nel suo primo post di lavorare «per la crescita dell’Italia».

Sorgente: Salvini e il derby con Giorgia Meloni: «Nel centrodestra non ho competitor»

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