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Trump ha abbandonato i curdi. Putin non va oltre la diplomazia e l’Europa è inconsistente: ecco perché la Turchia ha mano libera

di Bernardo Valli

Per Erdogan, il presidente turco, i principali obiettivi dell’offensiva in Siria sono uno politico e l’altro militare. Quello politico riguarda la Turchia dove la sua popolarità era in netto ribasso, come si è visto alle ultime elezioni amministrative, quando l’opposizione ha ottenuto un notevole successo. Da lui subìto come un’umiliazione. Le azioni a sfondo nazionalista consentono di recuperare larga parte dell’opinione pubblica ed è quello che sta accadendo con la spedizione contro i curdi di Siria. Le minoranze sono spesso
le vittime. In Turchia uno pensa agli armeni. Il carattere politico dell’operazione ha un’ampia dimensione internazionale.

Il ritiro americano e quindi l’abbandono degli alleati curdi decisi da Donald Trump hanno lasciato a Erdogan la libertà di agire. La fedeltà agli impegni del presidente della superpotenza non si è dimostrata salda. Ancor meno autentica. Non ha tenuto conto che i curdi sono stati la sua fanteria nella lotta contro il “califfato”.

Trump ha superato i suoi predecessori, Bush padre e Bush figlio, nel provocare danni in Medio Oriente. Si è detto di un silenzioso consenso russo alla spedizione turca in Siria, senza che ci siano state conferme in merito. Né penso ci saranno. Vladimir Putin è alleato del regime di Damasco, che negli ultimi giorni si è schierato con i curdi e ha mandato l’esercito sul confine turco. Ma il presidente russo si è limitato a favorire l’accordo tra curdi e Bashar el Assad. Ha svolto un’azione diplomatica e ha lasciato intendere che non andrà oltre. È quel che pensa lo stesso Erdogan. L’ha affermato, senza entrare nei dettagli. È come se Putin avesse affidato al regime di Damasco il compito di aiutare i suoi amici curdi. Lui non si impegnerà direttamente.

In quanto agli europei che hanno sbattuto la porta in faccia per anni alla Turchia ansiosa di entrare nell’Unione, in questa occasione dimostrano tutta la loro debolezza. La loro vergognosa inconsistenza è evidente di fronte alla grave crisi, che rischia di traboccare in un conflitto più ampio. Non lo esclude quel che sta accadendo tra Turchia da un lato e dall’altro il regime di Damasco e i curdi.

Già il numero dei morti e l’importante movimento di truppe consentono di parlare della “guerra di Erdogan”. Il quale restituisce adesso lo schiaffo, quello subito con l’umiliante rifiuto all’ingresso nell’Unione. La sua offensiva mette in risalto l’incapacità degli europei a concordare un’azione comune e riduce a frantumati balbettii le dichiarazioni sull’embargo delle armi ai suoi danni. Visto che la Turchia è uno dei principali membri è lecito parlare di un forte scollamento tra alleati nella Nato. Conclusione: il ritiro americano precipitoso e l’impotenza europea non aumentano il prestigio dell’Occidente difensore della democrazia.

Il secondo obiettivo, quello militare, non manca di incognite. Non era previsto un accordo tanto rapido tra i curdi di Siria e il regime di Damasco. Abbandonati da Trump i curdi si sono rivolti a Bashar el Assad, il quale in poche ore ha schierato l’esercito al confine, a ridosso e all’interno della zona amministrata dai curdi e aggredita dai turchi.

Erano anni che i militari di Damasco non mettevano piede in quella regione autonoma. Nelle due zone di confine, quella turca e quella siriana, vivono forti comunità curde. Quella di Kobane si è difesa con coraggio dai jihadisti del “califfato” quando quest’ultimo disponeva di notevoli forze.

Ho assistito a una di quelle battaglie, che si concluse con una strage e tra le macerie. L’offensiva turca ha indirettamente favorito in queste ore la fuga di molti prigionieri dai luoghi di detenzione organizzati allora, dopo quello scontro armato. Gli evasi si sono dati alla macchia con la probabile intenzione di rianimare la battaglia perduta. Erdogan gliene ha offerto l’occasione.

L’intenzione dei turchi è di spezzare i rapporti tra i due versanti della frontiera, dove vivono comunità curde. Quella installata in Siria ha conquistato una forte autonomia e ha creato un apparato dirigente di qualità. Ma i turchi denunciano i suoi rapporti, la sua complicità, con il Partito dei lavoratori curdi (PKK), operante in territorio turco che Ankara considera un movimento terrorista.

Il progetto di Erdogan sarebbe di installare nelle zone abitate dai curdi la massa di siriani profughi che si trovano in Turchia. Servirebbe da muro di separazione tra le due comunità a ridosso del confine. Il popolo curdo merita l’attenzione dell’Occidente. Esso conta trenta-quaranta milioni di persone, distribuite tra Iran, Turchia, Siria e Iraq. Il Kurdistan iracheno, ricco di petrolio, ha conquistato una forte autonomia rispetto allo Stato iracheno, e ha creato istituzioni assai più liberali di quelle esistenti tra i vicini. È curioso che, almeno fino a qualche tempo fa, la Turchia avesse buoni rapporti con il Kurdistan iracheno. E al tempo stesso perseguitasse le minoranze curde di casa. Adesso anche quelle siriane. La spiegazione è forse che i curdi dell’Iraq hanno il petrolio.

Sorgente: Attacco ai curdi, perché nessuno ferma Erdogan | Rep