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I mega progetti di Spinelli sull’area Rinfuse avuta in concessione grazie agli uffici di Toti e lo scontro con Aponte sull’ex Carbonile Enel

GENOVA — Al Circolo ricreativo del porto di Genova, presidente l’ex camallo quasi ottantasettenne Danilo Oliva, si parla molto dello scandalo. Non il caso Toti-Signorini-Spinelli. È successo questo: il Circolo ha un campo di calcetto, concesso in uso agli studenti dell’Istituto nautico di Genova. Ad alcuni ragazzi che assistevano a una partita è venuto in mente di intonare Faccetta nera. I camalli presenti non c’hanno visto più. I più anziani di loro, Oliva compreso, erano tutti in piazza per i moti del giugno 1960, quando mezza Genova si mobilitò per impedire che il Movimento sociale italiano celebrasse in città il suo congresso nazionale. «Sono ragazzi, la cosa grave è che forse non sanno nemmeno cosa significa», si rammarica Oliva, figlio di camallo, nipote di camalli, ultimo segretario cittadino del disciolto sindacato dei portuali. «Mio nonno era un carbunì, portava a spalla le ceste di carbone sbarcato dalle navi». Lo chiama al telefono un dirigente del Nautico per appianare l’incidente. Oliva gli dice: «Qui siamo antifascisti nel sangue, ce l’hanno trasmesso i nostri padri».

 

 

Assunto nel 1961, Oliva ha visto il porto di Genova trasformarsi insieme alla città e alle persone. Il passaggio dal carbone al petrolio, la crisi degli anni Novanta, la privatizzazione, l’arrivo delle grandi multinazionali. «Ma Genova è l’unico porto italiano dove grazie alle nostre lotte la Compagnia dei portuali ha mantenuto un assetto simile a quello di quando il porto era pubblico». Alla Sala chiamata del porto, a poche centinaia di metri dal Circolo, c’è appunto la sede della Compagnia. Per la precisione Compagnia Unica Lavoratori Merci Varie, fondata nel 1946 e oggi cooperativa, che mantiene un organico di circa un migliaio di lavoratori. Seduto su una panchina davanti all’edificio dove hanno lavorato quattro generazioni di portuali, con vista sulla Lanterna, c’è Luca Franza, 56 anni, coordinatore dei lavoratori della Compagnia iscritti alla Filt-Cgil: «Può essere sorpreso per quello che sta emergendo solo chi non sa niente di Genova e del porto. L’Autorità portuale dovrebbe essere l’arbitro, ma se l’arbitro lo paga una delle parti, che arbitro è?». Passa Paolo Pastorino, uno dei dirigenti della Compagnia: «Il terminal dato in concessione a Spinelli? Vale oro, come un pozzo d’acqua nel deserto». I terminal sono i piazzali dove si scaricano le merci in arrivo e Genova, in Italia, è il primo porto per traffico di container. Il terminal Rinfuse è quello che nel 2021, grazie ai buoni uffici del governatore Giovanni Toti e del sindaco Marco Bucci, Spinelli si è accaparrato in concessione per i successivi trenta anni comprandosi così il bene più prezioso: il futuro. Rinfuse indica la tipologia di merci, quelle contenute nelle stive anziché nei container.

 

 

Qui in porto ti spiegano che lo spazio è denaro, come nell’immobiliare, ma con effetti esponenziali. Ogni singolo metro quadrato conquistato può valere milioni di euro in più di affari e fatturato. Una delle contestazioni mosse a Paolo Emilio Signorini, ex presidente dell’Autorità portuale, è di aver chiuso un occhio sulle occupazioni illecite di suolo demaniale da parte di Spinelli. Ci si allarga su terreni dello Stato, provvisoriamente, confidando sul fatto che in Italia non c’è nulla di più stabile. Ci sono moli che funzionano come una Borsa: si tengono le merci ferme, per esempio i metalli, e si aspetta che salga il prezzo per vendere al momento giusto.

La legge del porto è una combinazione di regole scritte e patti taciti. Ai vecchi padroni del porto come scio’ Aldo, versione genovese di signor Aldo, così è chiamato Spinelli da queste parti, si sono affiancati negli ultimi anni i grandi gruppi multinazionali, i singaporiani di Psa, la Msc di Gianluigi Aponte che ha il cuore a Ginevra, la tedesca Hapag-Lloyd, tutti colossi che oggi gestiscono il grosso dei traffici. Il nuovo capitalismo che affianca e sostituisce il vecchio capitalismo a conduzione familiare. Ma il vecchio non sta a guardare. Dove si può, si stringono patti; dove serve, si combatte aspramente. Spinelli e Aponte sono soci nella gestione del terminal Rinfuse, ma nemici su un altro fronte del porto. Nelle carte dell’inchiesta è contenuta una telefonata di fuoco che Aponte, non coinvolto dall’inchiesta, fa all’ex presidente Signorini, detto Pes, per lamentarsi dell’intenzione dell’Autorità portuale di concedere a Spinelli l’area di 14 mila metri quadrati vicino alla Lanterna e al terminal Rinfuse, l’ex carbonile Enel, la stessa dove Spinelli si è già abusivamente allargato. «Una roba indecente, gli volete dare tutto il porto di Genova — dice Aponte, che a sua volta è interessato all’area — se gliela date, succede la fine del mondo». Spinelli ha grandi progetti. Unire i terminal di cui ha la concessione e l’ex carbonile Enel per farne un unico grande spazio di carico e scarico merci, l’attività più remunerativa. Piani per i quali contava di ottenere finanziamenti pubblici grazie alle sue relazioni con la politica, certo con Toti, presidente della Regione, e senz’altro con la Lega, entrambi finanziati con erogazioni tracciate. Starà ai giudici, se si andrà a processo, stabilire il confine, in questo caso sottilissimo, tra erogazione liberale e tangente. Un mega progetto, finanziato dal Pnrr, è già in piedi: la costruzione della nuova diga, spesa faraonica in mano al sindaco Bucci, commissario straordinario, gestita da Signorini finché è stato presidente dell’Autorità portuale. «L’hanno preso qui perché c’aveva il Mose nel curriculum», ironizzano alla Compagnia, dove non sono convinti che l’opera gioverà ad aumentare il traffico merci in porto, come sostengono i fautori.

Leggenda vuole che gli storici terminalisti, cioè i gestori dei terminal, non abbiano mai smesso di girare per il porto come usava mezzo secolo fa, con il rotolone di banconote in tasca perché, raccontano in porto, assoldare in nero un lavoratore è un affare che sul momento può convenire a entrambi. Lo fa ancora anche scio’ Aldo? Sorrisi. Non risponde nessuno. Certo è che di contante ne hanno trovato molto a casa dell’ex presidente del Genoa: più di 200 mila euro. I camalli stanno battagliando sulla rinegoziazione del contratto nazionale: chiedono un aumento del 18%, la controfferta è intorno all’8%. Ballano poche decine di euro di differenza. A naso, meno di una puntata singola di Signorini alla roulette del casinò di Montecarlo, con le fiches offerte da scio’ Aldo.

Sorgente: Porto Genova, camalli, scio’ Aldo e la guerra dei moli. “Quel terminal vale più dell’oro” – la Repubblica

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