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La vittoria di Imamoglu è un colpo durissimo per Erdogan

di PAOLO GARIMBERTI

Un colpo durissimo per Recep Erdogan questa doppia sconfitta a Istanbul, un rovescio che non ha precedenti nei suoi sedici anni di totale dominio e controllo del Paese. Non avrà conseguenze politiche, sicuramente non a breve o anche medio termine, anche se qualche esperto prevede «una reazione a catena, che potrebbe portare a elezioni anticipate alla fine dell’anno o nel 2020». Ma scalfisce quell’aura di invincibilità che lo circondava, quell’arroganza del potere che ancora ostentava nei giorni scorsi, quando di fronte alla minaccia di sanzioni americane per l’accordo missilistico con la Russia (le cui forniture cominceranno molto presto e che sta mandando in tilt la Nato) il Sultano aveva risposto: «La Turchia non è un Paese qualunque, è un partner chiave per gli Stati Uniti, e non credo che oseranno mettere delle sanzioni. Semmai risponderemo con sanzioni anche noi».

È la stessa arroganza che ha spinto Erdogan a volere a tutti i costi, grazie a una giustizia a lui asservita (come ormai tutte le altre istituzioni, militari compresi dopo il fallito golpe), la ripetizione di elezioni che Ekrem Imamoglu, il giovane e intelligente sfidante del candidato presidenziale Binali Yildirim, aveva vinto di poco alla precedente tornata. Salvo rendersi conto, ma troppo tardi, che anche chi non aveva votato per Imamoglu la prima volta lo avrebbe scelto questo seconda volta: proprio perché la mossa di imporre un secondo test era troppo perfino per una popolazione ormai impaurita e assoggettata, ma che soprattutto tra i giovani ha ancora sussulti di orgoglio politico e di laicismo.

Imamoglu è stato bravo a non cercare lo scontro frontale, ma il confronto, come ha detto nell’intervista a Marco Ansaldo, pubblicata da Repubblica. E, rispetto ad avversari più ideologici, ha avuto il merito di confronti con Erdogan su temi concreti, da “collega”, forte della sua esperienza di sindaco distrettuale di fronte a quella del Sultano, che di Istanbul è stato sindaco.

Ma forse proprio per questo a Erdogan la sconfitta brucia ancora di più. Perchè il suo partito ha governato la città simbolo della Turchia per ben venticinque anni. E quindi Istanbul non è “una città qualunque” (per parafrasare proprio il presidente sul ruolo della Turchia verso gli Usa e la Nato). Non solo perché è la casa di Erdogan, è la base della sua carriera e della sua forza politica. Ma non lo è anche nel senso economico perchè Istanbul, attraverso appalti e contratti di stampo mafioso, è la “cassa” dell’Akp, il carburante della macchina del partito dominante, e anche dei media filo-governativi, soprattutto quelli televisivi, che costano una barca di soldi e sono totalmente nelle mani di fedelissimi di Erdogan. Ora con un giovane come Imamoglu (non ha ancora 50 anni), duro e puro, ma non spericolato kamikaze, quindi ancora più difficile da contrastare, queste mafie di regime rischiano di essere ridimensionate, se non cancellate. Erdogan è intelligente e pragmatico. Ha già dimostrato in passato, soprattutto sul piano internazionale (ad esempio in occasione del braccio di ferro con Mosca in seguito all’abbattimento di un cacciambobardiere russo al confine siriano) di saper modulare la durezza con il realismo. Lo farà probabilmente anche a Istanbul, con la nuova star politica premiata da una schiacciante maggioranza e diventata sindaco.

C’è già chi ipotizza che dopo la bruciante sconfitta di ieri, qualche politico di lungo corso come l’ex presidente Abdullah Gul o l’ex premier Ahmet Davutoglu, possa essere tentato di fondare un nuovo partito conservatore e sfidare Erdogan da destra. Ma scalzare il Sultano sul piano nazionale appare oggi un’impresa titanica. Come il suo “modello” ispiratore Vladimir Putin, Erdogan ha un controllo capillare della Turchia profonda: con le buone e con le cattive, proprio come in Russia. Però è forse più che una coincidenza che sia lui che Putin stiano perdendo consensi nelle classi più colte, nelle città più aperte e tra i “millenials” che sanno usare Internet.

Sorgente: Il Rais di Ankara non è più invincibile ma guai a ritenerlo in caduta libera | Rep

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