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Ex giornalista, da poco consulente della Camera Bassa, aveva già denunciato su Facebook le minacce di morte che riceveva. Nel 2018 uccisi nel Paese 15 giornalisti

«Mi hanno insultato, ricoperto di fango. E ora vogliono uccidermi. Ma io non mi fermo». Scriveva così su Facebook Mina Mangal agli inizi di maggio, spiegando di aver ricevuto minacce di morte da «fonti sconosciute». Sospetti e paure, con i post preoccupati degli amici, cui lei rispondeva con gli emoticon e le faccine sorridenti. Fino a ieri mattina alle 7.20, quando le hanno sparato sulla porta di casa.

Mangal, proveniente dalla regione di Paktia e da una famiglia potente, aveva ottenuto un nuovo impiego come consulente per la commissione culturale della Camera bassa del Parlamento. Ma non solo. La donna era nota anche per la carriera giornalistica in diverse tv private tra cui Tolo e Ariana, nelle quali aveva mosso i primi passi. «Con il suo approccio aveva contribuito a cambiare il modo di vedere di molte giovani», commentano le ex colleghe. Poi, l’impegno per la Wolesi Jirga, la Camera bassa del Parlamento, in un Paese considerato uno dei peggiori al mondo in cui essere donna. «Amava il suo lavoro perché sperava di migliorare l’accesso delle giovani all’educazione. Ma si batteva anche contro i matrimoni precoci e forzati», hanno raccontato i colleghi alla stampa locale. Doversi sposare, dormire e vivere tutti i giorni con una persona che non ha scelto: per Mina non era solo una battaglia politica, lei stessa era stata data in sposa nel 2017 ad un uomo che non amava. Un destino comune a tante afghane, anche a quelle istruite o che vivono nella capitale. Mina aveva deciso di battersi per i propri diritti e, all’inizio di maggio, aveva finalmente ottenuto il divorzio.

«È stato il suo ex marito ad ammazzarla», accusano i familiari. A far pensare, invece, ad un agguato organizzato sono i racconti dei testimoni che parlano di uno o più uomini a volto coperto. Una volta arrivati a Rehman Baba — zona occidentale di Kabul dove la donna viveva — i killer prima hanno esploso dei colpi in aria per disperdere i passanti e poi hanno mirato al petto e alla testa di Mina.
«Investigheremo», hanno promesso le autorità, sottolineando di non aver chiaro se il movente sia personale o se si tratti di un attacco di matrice terroristica, dato l’impegno della giornalista per i diritti femminili e le critiche al fondamentalismo religioso e alla corruzione. Se infatti di recente i talebani, coinvolti nei colloqui di pace con il governo statunitense, hanno preso l’impegno di porre fine al bando contro l’educazione femminile, gran parte della comunità internazionale resta scettica, dato che il gruppo controlla oltre il 60 per cento del Paese. «Le donne in Afghanistan dovrebbero poter esprimere la loro opinione, lavorare e vivere senza paura di ritorsioni», ha scritto su Twitter l’artista visuale e regista Fereshta Kazemi. Ma, al di fuori dei social, sono poche le reazioni sulla morte di Mina. E le stesse testate per cui lei aveva lavorato si sono limitate a dare la notizia senza troppa enfasi pubblicando però, in alcuni casi, la foto del cadavere. In attesa di una rivendicazione o di un arresto, il pensiero torna a Nadia Anjuman, poetessa uccisa nel 2005 dal marito per aver declamato le sue poesie in pubblico. E ai 15 giornalisti uccisi nel 2018 in Afghanistan. Un altro triste record per un Paese in cui — come scrivevano Nadia e Mina — anche il diritto di cantare e di amare resta un sogno.

Sorgente: Kabul, uccisa sulla soglia di casa l’attivista per il divorzio Mina Mangal

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