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La Guerra del Vietnam era ormai agli sgoccioli, gli Stati Uniti e i suoi alleati l’avevano persa. E già lo sapevano. Il 16 marzo 1968 i soldati americani si resero protagonisti di uno dei massacri ai danni della popolazione civile inerme più sanguinosi della loro storia recente. A My Lai, una frazione del villaggio di Son My, nel Vietnam centro-meridionale, i militari di Washington, in seguito a uno scontro a fuoco con truppe di Viet Cong, si scagliarono contro la popolazione rendendosi protagonisti di torture e uccisioni di massa indiscriminate nei confronti di uomini, donne, anziani e bambini. Nessuno venne risparmiato, fino a quando a intervenire fu proprio l’equipaggio di un elicottero americano in ricognizione che si mise tra i carnefici e le loro vittime, puntando i mitra contro i compagni in armi e minacciandoli di aprire il fuoco se non avessero messo fine al massacro. Secondo quanto ricostruito, con questo intervento i membri dell’esercito Usa riuscirono a salvare la vita a 11 persone, ma sul terreno rimasero 504 vittime innocenti.
Le indagini sull’eccidio di My Lai vennero condotte da un giovane Colin Powell, poi diventato noto al mondo da Segretario di Stato americano quando mostrò all’Onu le false prove del possesso di armi chimiche da parte di Saddam Hussein, ma non portarono a nessun risultato concreto. Anzi, tornando in patria sostenne che non esisteva alcun problema nelle relazioni tra i militari americani e i civili vietnamiti. Una versione che sarà poi sconfessata da una successiva inchiesta del giornalista premio Pulitzer, Seymour Hersh, che svelò al mondo la verità su quel genocidio.

Sorgente:  Manuela Sorrenti | da ricerca Facebook

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