0 13 minuti 3 anni

In Italia ogni anno lo stato risarcisce in media mille persone ai cui polsi sono scattate ingiustamente le manette. A fronte di questi svarioni, lo stato spende – sempre in media – 28 milioni e 400mila euro ogni anno.

Il fenomeno è però più ampio: oltre alle mille persone ingiustamente detenute che in media vengono risarcite ogni anno, c’è una fetta consistente di persone – circa l’80% – le quali o si vedono rifiutare un risarcimento o decidono di non chiederne uno, sature di tribunali, avvocati e udienze.

Sono numeri che vanno contestualizzati: esiste dal 1992, seppure indirettamente, una sorta di Osservatorio del fenomeno, diretto non come ci si potrebbe attendere dal ministero di Giustizia ma da quello dell’Economia e delle finanze, chiamato a staccare assegni in favore delle vittime di una giustizia sommaria.

Questo osservatorio, che è più un registro contabile, certifica che, dal 1992 fino alla fine del 2019, i casi di ingiusta detenzione sono stati 28.893 per un costo totale di 823.691.326,45 euro. Più di 800milioni di euro che tutti i contribuenti hanno pagato per correggere gli errori di pochi giudici.

Rispetto al 2018 i numeri sono in aumento, 105 arresti ingiusti in più e aumento del 33% dei risarcimenti.

Per approfondire la questione ci siamo avvalsi del parere di Benedetto Lattanzi, uno dei motori che alimenta il portale Errori Giudiziari.

Bufale e fraintendimenti

«I numeri degli errori giudiziari – dice Lattanzi – sono una costante. Una delle cause può essere la superficialità delle indagini durante la fase investigativa che può generare tante falle che poi, come una valanga, travolge tutto. Analizzando le 815 storie raccolte sul nostro sito un’altra causa è quella del non corretto uso delle intercettazioni».

Succede che le parole dell’intercettato vengano capite o interpretate male.

«In un caso l’intercettato parlava di mozzarelle di bufala che gli investigatori hanno creduto essere droga, in un altro caso dei pezzi di ricambio per le auto sono diventati simbolo di traffici illeciti».Benedetto Lattanzi, a sinistra, con Valentino Maimone, creatori del sito https://www.errorigiudiziari.com/

L’uso frequente che i criminali fanno di frasi in codice spinge gli inquirenti a credere che molte parole siano da decifrare, anche quando non ce n’è bisogno. Il pregiudizio fa cadere il principio per il quale, fino al momento di un’eventuale condanna, ogni cittadino è innocente.

Un caso su tutti per fare capire bene di cosa stiamo parlando.

Una consonante vale 20 anni di carcere

Siamo in Puglia, nel 1995. A San Giorgio Jonico è stato trovato il corpo senza vita di Lorenzo Fersurella. Fin dalle prime battute delle indagini gli inquirenti sospettano Angelo Massaro, amico della vittima. Le intercettazioni convincono gli investigatori della colpevolezza dell’uomo: durante una telefonata Massaro dice alla moglie che sarebbe rincasato tardi dal lavoro perché doveva trasportare un muers che, in dialetto tarantino, è un oggetto ingombrante. Gli inquirenti hanno capito “muert”, ossia un morto. Gli investigatori hanno ceduto al facile richiamo degli ambienti della criminalità, nei quali girava la voce che Fersurella fosse stato ucciso da Massaro per motivi legati alla droga. L’avvocato di quest’ultimo non si è avvalso di testimoni che avrebbero potuto rivelarsi utili al suo assistito.

Ci sono voluti 20 anni per ristabilire la verità e ridare la libertà a Massaro il quale, è stato appurato in sede di riesame, era da tutt’altra parte nelle ore in cui si è consumato l’omicidio Fersurella.

Il ruolo dei testimoni oculari e delle confessioni

«Un altro motivo di errore può essere la scarsa affidabilità dei testimoni oculari. Tanti studi scientifici hanno dimostrato che se viene ascoltato dopo diverso tempo, non ha più chiara la situazione che ha visto», spiega Lattanzi.

Tra questi studi spiccano delle ricerche svolte negli Usa a metà degli anni Ottanta del secolo scorso e diversi lavori italiani. Un ampio catalogo di reazioni che la memoria può avere con il passare del tempo o a seconda di quanto sono cruente le scene a cui si è assistito.

«Ci sono anche le false confessioni, quelle dovute alle pressioni psicologiche che gli investigatori possono esercitare durante le indagini ma anche quelle di collaboratori di giustizia che, pure di ottenere uno sconto di pena, a volte inventano accuse contro qualcuno». In questa sfera rientra il caso di Enzo Tortora, accusato da alcuni pentiti camorristi di essere un trafficante di droga.

Oggi sappiamo che il caso Tortora, ampiamente seguito e documentato dai media, è spettrale da ogni angolazione lo si guardi: dire che è stato accusato da malavitosi è limitante. Uno di questi, Giovanni Pandico, era in carcere per avere ucciso due impiegati pubblici che non gli hanno rilasciato un certificato in tempi (secondo lui) accettabili. La pubblica accusa lo aveva definito paranoico e schizoide. Peculiarità che hanno perso valore specifico sul fronte delle accuse mosse a Tortora.

Altra causa all’origine degli svarioni della giustizia sono gli avvocati non sufficientemente navigati per affrontare processi di una certa complessità e uno squilibrio tra accusa e difesa. Ci si può trovare confrontati, per esempio, con fascicoli processuali di migliaia di pagine a cui gli uomini che rappresentano lo stato possono dedicare più risorse di quanto non possa fare un avvocato difensore.

«Ci sono anche le indagini difensive, il cui costo è elevato», conclude Lattanzi. Non tutti se le possono permettere.

Il divario tra Nord e Sud

I dati assoluti relativi al solo 2019 mostrano che, otto delle 10 città con più errori giudiziari sono al Centro – Sud. Non abbiamo dati attuali per tracciare un parallelo tra errori giudiziari e processi celebrati in ogni singola regione ma, secondo il parere di Benedetto Lattanzi,

«negli ultimi anni c’è una tendenza ad avere più errori al Sud piuttosto che al Nord. Questo probabilmente anche perché al Sud si fanno più operazioni contro le associazioni mafiose, operazioni durante le quali si arrestano centinaia di persone».

01 città per persone risarcite

Nel napoletano il numero più grande (129) di vittime di errori giudiziari. Il meno ingente a Palermo (39). Va sottolineato che queste cifre riguardano le persone che hanno chiesto un risarcimento e non sono i numeri assoluti di chi ha subito condanne ingiuste.

Sempre relativamente al 2019, per quanto riguarda le prime 10 città per risarcimenti, Reggio Calabria (9,3 milioni di euro) e quella a cui ne vengono versati di più. In coda c’è Venezia, con poco più di 1,3 milioni di euro. Milano, tra le dieci città per numero di sentenze sbagliate non figura in questa graduatoria, al suo posto c’è Lecce (con 1,8 milioni di euro di risarcimento).

Città per importi risarciti

Anche se seguendo geometrie alterne, sono gli abitanti del meridione a essere i più penalizzati dagli svarioni della giustizia.

Errori dei magistrati

Nel 1987, in seguito alla vicenda Tortora, i radicali hanno lanciato un referendum affinché ai giudici fosse imputabile la responsabilità dei propri errori (dolosi o gravi). Alle urne i cittadini hanno accolto la consultazione con l’83% dei voti favorevoli ma il parlamento non li ha ascoltati e la “legge Vassalli”, (legge 117 del 1988) sposta sullo stato l’eventuale danno cagionato dai magistrati sui quali, nel caso in cui il torto fosse dimostrato, lo stato può rivalersi.

Ponzio Pilato di stato

Nel 2015, il governo Renzi ha rivisto la legge Vassalli aumentando, in linea teorica almeno, le possibilità di ricorso dei cittadini vittime di sentenze sbagliate e imponendo allo stato l’obbligo di rifarsi sui giudici autori di errori.

La riforma, accolta da tutti i parlamentari tranne quelli del M5s, ha aperto due fronti che non hanno dato frutti: giudici e magistrati continuano a sbagliare e lo stato continua a pagare. Si è messo un cerotto su una ferita profonda, più per adeguarsi alle normative sovranazionali che per risolvere un problema reale.

L’allora ministro di Giustizia, Andrea Orlando, ha salutato la riforma dicendo: “È un passaggio storico. La giustizia sarà meno ingiusta e i cittadini saranno più tutelati”.

L’Associazione Nazionale dei Magistrati ha ritenuto che la riforma fosse una legge contro i magistrati, così come interpretata all’epoca dal presidente Rodolfo Sabelli.

Si può dire, al di là di tecnicismi e leggi di ampia interpretazione, che in Italia la giustizia sbaglia con leggerezza e che la politica si limita al trasformismo cerchiobottista, tentando di mantenere equilibri improbabili tra la folla armata di incudini e il potere giudiziario dotato di martello.

Uno dei risultati visibili di questo scollamento dalla realtà dei fatti lo ha interpretato e diretto il ministro di Giustizia Alfonso Bonafede a gennaio di questo 2020, sostenendo che gli innocenti non finiscono in carcere.

Un anno prima, nel pieno dell’inverno 2019, il magistrato Piercamillo Davigo ha sostenuto che in Italia pochi vanno in galera e che nessuno ci va per sbagliosostenendo che chi viene liberato per ingiusta detenzione è solo un delinquente che l’ha fatta franca. Il sistema, per Davigo, non sbaglia mai ed è anche galantuomo. Davigo ha fatto parte del pool Mani pulite e per quindici anni ha ricoperto il ruolo di consigliere della Corte suprema di cassazione. Una voce autorevole.

Il risultato, a quasi quarant’anni dal caso Tortora che ha spinto il Paese a chiedersi quanto potesse costare a un uomo un errore della giustizia, è conciso ed evidente: per i giudici un errore è un errore, per chi lo subisce può coincidere con una vita vissuta a metà. C’è un forte disequilibrio.

Non c’è pillola politica che possa ridurre questo divario, occorre una soluzione tecnica: una patente per magistrati e giudici, da cui defalcare punti in caso di errore. Esaurito il credito disponibile, giudici e magistrati lasciano spazio a un avvicendamento.

Le vie del ricorso

«Oggi, spiega Benedetto Lattanzi, chi si ritiene danneggiato fa causa alla presidenza del Consiglio e poi, nel caso in cui lo stato venga condannato, deve rivalersi sul magistrato ma, negli ultimi 30 anni i magistrati condannati si contano sulle dita di una mano. Occorre dimostrare il dolo e i tempi sono lunghissimi, ci vogliono tre gradi di giudizio».

Il risarcimento è poca cosa: 235,82 euro per ogni giorno passato ingiustamente in carcere e la metà (117,91 euro) per ogni giorno passato ai domiciliari. Il limite massimo previsto dalla legge è di 516mila euro e spicci.

«Lo stato ha stretto la cinghia e ignora i danni collaterali che la persona ingiustamente detenuta ha dovuto subire».

Effetti collaterali che coinvolgono anche i famigliari delle vittime degli errori compiuti nei tribunali, una cascata di ricadute negative che possono compromettere salute fisica e psicologica, carriera e inserimento sociale.

Una giornata per le vittime degli errori giudiziari

I radicali hanno preparato una proposta di legge per una Giornata nazionale dedicata alle vittime della giustizia. Proposta accettata che verrà discussa in parlamento ma che ha subito forti opposizioni, non soltanto dal M5s. Tra i contrari spicca il parere del senatore Pd Franco Mirabelli, secondo il quale

«La proposta per una giornata per le vittime di errori giudiziari è pericolosa perché aumenta il rischio di strumentalizzazioni; alla collettività potrebbe arrivare il messaggio sbagliato per cui la magistratura si atteggia a persecutore giudiziario».

Anche questo dimostra che stato e politica appaiono ben lungi dal comprendere la reale portata di un fenomeno che può essere certamente arginato, a patto che venga affrontato.

(Giuditta Mosca – it.businessinsider.com)

Sorgente: Innocenti in manette e risarcimenti milionari. Ecco l’Italia dei 1.500 errori giudiziari all’anno – infosannio

Please follow and like us:
0
fb-share-icon0
Tweet 20
Pin Share20