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La tendenza del capitale ad accentrarsi rischia di minare la tenuta sociale nell’era post-Covid. Le “eresie” di Emiliano Brancaccio in “Non sarà un pranzo di gala”

di Claudio Paudice

Un modello di sviluppo che era già alla sbarra ancor prima che irrompesse il Covid, sotto la silenziosa accusa di chi, rimasto ai margini della ricchezza, ne subiva tutti i suoi effetti inizialmente collaterali ma diventati nel tempo predominanti, fino ad attecchire nella società minacciandone le sue libertà, il suo benessere, e la sua esistenza. E ora che l’involuzione di quel modello ha subìto l’improvvisa accelerazione impressa della pandemia, il timore crescente è che possa non più soltanto deformare il sistema democratico, ma addirittura sfigurarlo. “Non sarà un pranzo di gala”, dell’economista “eretico” Emiliano Brancaccio fornisce spunti, riflessioni, appunti e un percorso per risalire dal “crollo più precipitoso della storia del capitalismo”.

Nessuno oggi può credere che nei tempi straordinari e cupi del Covid possano bastare le solite ricette economiche mainstream che fin qui hanno guidato il progressivo sviluppo industriale e digitale. D’altronde ci sono già alcuni segnali a rendere palese  quello scontro sottotraccia di idee tra l’ortodossia del passato e l’eresia del futuro. L’epoca non è di quelle semplici, non si era mai assistito prima a un infarto dell’economia a livello mondiale come quello provocato dal Covid: crollo della domanda globale, calo della produttività, rottura delle catene del valore, disorganizzazione dei mercati. Ma il virus, descrive bene Brancaccio, ha contagiato un sistema già malato: dalla crescita esponenziale delle diseguaglianze, dall’inquinamento e dal surriscaldamento globale, dalla forza ritrovata di idee xenofobe e razziste, da movimenti sovranisti, autoritari, dal parossismo capitalistico che ha accentuato la ricchezza nelle tasche di pochi, riconoscendogli un potere multinazionale a tratti persino sovranazionale, superiore a quello degli Stati. Ecco, in un ecosistema già compromesso, le asimmetrie che l’epidemia sta acuendo rischiano di generare nuovi e più grandi conflitti sociali, capaci di assestare il colpo di grazia al mondo liberaldemocratico.

Brancaccio delinea un percorso e si fa accompagnare da vari esponenti ed economisti di calibro internazionale, con cui ha in passato ha dialogato e che nel suo libro ripropone con una nuova angolazione sul mondo post-Covid, come l’ex membro del Board della Bce Lorenzo Bini Smaghi, l’ex premier Mario Monti, l’ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale Olivier Blanchard. Proprio da quest’ultimo prende in prestito la definizione di quella biforcazione esistenziale che aspetta al varco il capitalismo: catastrofe o rivoluzione.

Il processo di ammissione degli sbagli del passato – e che in passato a onor del vero Brancaccio, non da solo ma nemmeno in massa, aveva additato – già era iniziato anche da parte di chi li aveva commessi. Lo stesso Fmi con Blanchard ha fatto mea culpa sulle ricette rigoriste applicate in tante occasioni (una su tutte, in Grecia), sulla sottostima dei moltiplicatori fisali e dell’importanza di forti investimenti statali nell’economia, sulla necessità di indagare meglio il rapporto tra modello di sviluppo e le diseguaglianze. I tempi attuali ora si impongono con tutta la veemenza dell’epidemia, e non lasciano molto margini alle esitazioni. Naturale che alcuni tabù inizino a cadere. A titolo di cronaca, oggi si vedono forme embrionali di eurobond e si sente parlare di cancellazione dei debiti pubblici, di monetizzazione, di abbandono delle vecchie norme e approcci all’inflazione, di politiche fiscali espansive, di una Germania che ha abbandonato la filosofia dello zero nero, di revisioni profonde al patto di stabilità, di smantellare il Fondo Salva-Stati, e lo stesso Blanchard ha proposto di recente di buttare al macero i vecchi parametri della ‘sana’ finanza pubblica su deficit e debito a cui ogni anno i Paesi Ue (Italia in primis) sono costretti ad impiccarsi e sostituirli con più generici “standard fiscali”.

Nulla vieta che una volta passata la tempesta, si ritorni alle vecchie ricette. Ma per ora vige la formula banale ma vera: tempi straordinari richiedono misure straordinarie. L’occasione è ghiotta, secondo Brancaccio, per una revisione e superamento del vecchio approccio, quasi stantio, del mercato autoregolatore e capace, con le sue sole forze spontanee, di condurre l’economia al suo “equilibrio naturale”. Poi è arrivata la realtà a smentirne la pretesa di affermarsi come modello unico e universalmente valido.

Idee rivoluzionarie, per certi versi, ma pre-pandemiche che rischiano, paradossalmente, di essere ancora in ritardo rispetto agli eventi che mutano molto più rapidamente. E nemmeno il compromesso keynesiano può essere sufficiente a uscire da questa crisi, avverte Brancaccio. L’epidemia ha impresso una svolta che ci porterà ancora più rapidamente a quella biforcazione definitiva che conduce o alla catastrofe o alla rivoluzione. Secondo l’economista la “tendenza del capitale a crescere rispetto al reddito e a centralizzarsi erode la democrazia e la libertà” e può persino “minare le basi stesse del liberalismo democratico”. Anche una spinta keynesiana forte sebbene ben accetta e innovativa alla fine “potrebbe risultare vana”.

Nell’epoca digitale e finanziaria della libertà irrefrenabile dei capitali, “se la speculazione è alla base del meccanismo che alimenta la crescita del capitale rispetto al reddito, allora possiamo arrivare ad affermare che la libertà del capitale non è solo un propagatore di inefficienza sistemica ma costituisce essa stessa una minaccia potenziale per la democrazia liberale. Potremmo  dire che la libertà finanziaria degli agenti del capitale tende a soffocare le altre libertà, gli altri diritti. Esperimenti di fascismo liberista in effetti non sono mancati nella storia”.

Prendendo spunto, come sempre, dalle riflessioni e dalle idee di Karl Marx, Brancaccio indica una via alternativa alla “catastrofe”: una strada tortuosa che passa dalla “rivoluzione” del sistema produttivo dominante, da uno sforzo sovrumano che rimetta la collettività e il bene comune al centro, e che ridà priorità e predominanza alle libertà individuali rispetto a quelle del capitale per non soccombere al fascismo liberista. Questa via alternativa è ben spiegata in “Non sarà un pranzo di gala”, di Emiliano Brancaccio, a cura di Giacomo Russo Spena, Meltemi, Milano, 2020.

Sorgente: Idee marxiste per non soccombere alla catastrofe del capitalismo | L’HuffPost

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