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I partiti di massa tradizionali erano così radicati nel territorio da voler aprire una sezione per ogni campanile, I grillini invece preferiscono la disintermediazione virtuale in stile Grande Fratello. No, caro Ilvo Diamanti, Di Maio non è Forlani

di Mario Lavia

Verrebbe da dire: giù le mani dalla Democrazia Cristiana! Un conto è ironizzare su Luigi Di Maio che forlaneggia – da ultimo domenica sera da Fabio Fazio – inanellando frasi che non significano niente (con la differenza che il leader democristiano faceva intenzionalmente, lui lo fa perché quest’è); oppure evocare, sempre con ironia, gli scontri a coltello nei congressi Dc a proposito degli (imminenti?) Stati generali del Movimento. Ma non ha nulla di democristiano, il grillismo, proprio nulla. Non media, ma disintermedia. Non è popolare ma populista. Non ha cultura ma semplificazione.

Finché si scherza si scherza. Invece, Ilvo Diamanti su Repubblica fa sul serio. Il M5S – scrive – «riproduce maggiormente i modelli di partito tradizionale. Cioè i partiti di massa. In particolare la Democrazia Cristiana. Dalla quale è molto lontana, dal punto di vista dell’identità e dell’ispirazione (Deo gratias, ndr). Tuttavia, ne ripropone alcuni caratteri importanti. Come ho segnalato in altre occasioni, il M5S è ben distribuito, nella società e sul territorio».

Il M5S un partito di massa? Veramente il M5S è un partito pensato in una Srl privata, nato sui palcoscenici di un comico, cresciuto eccitando gli spiriti animali (non quelli del capitalismo ma quelli del populismo), prosperato per mano di un gruppo di personaggi al di fuori di ogni selezione democratica, nascosto agli occhi dell’opinione pubblica grazie allo schermo di una piattaforma telematica, ormai del tutto ignaro dei problemi delle comunità locali.

Per quanto possa apparire contraddittorio, quello del M5S è un populismo senza popolo nel quale la democrazia reale è stata bypassata dal direttismo gestito sul web (sul modello televisivo del Grande Fratello), indifferente a quelle persone in carne e ossa che per definizione sono l’anima della politica e della democrazia d’ogni tempo.

Con il trascorrere degli anni il Movimento è diventato invisibile (quindi a-democratico) giustificando la domanda se esista una casa dei grillini: qual è l’indirizzo di una loro sezione? Quando ci sono le loro riunioni nel quartiere, nel paese, nelle fabbriche, nelle scuole? Dice: ma oggi c’è la tv, c’è internet. Appunto: e lo chiami partito di massa? A meno che non si voglia considerare il popolo come il pubblico – come non a caso faceva Silvio Berlusconi, il primo a inventare un partito televisivo sostituendo, esattamente come i grillini, il marketing alla politica.

Oppure come massa, nel senso indicato da Alberto Asor Rosa, «quella mediocre che ha stabilito con il sistema democratico un compromesso, che consiste nell’accettare di viverci dentro, svuotandolo» (Alberto Asor Rosa, Scritture critiche e d’invenzione, Meridiani Mondadori, pag. 261): una massa manovrabile con sapienza tecnologica al fine (come d’altronde ha ribadito Beppe Grillo) di superare, cioè distruggere, la democrazia.

Quanto all’insediamento sul territorio, dopo le ormai lontane e poco significanti esperienze dei meet-up, il Movimento non sa che farsene, avendo fatto della disintermediazione il suo Vangelo comunicativo. Infatti sul territorio non esiste: e perde regolarmente le elezioni locali. Ed è questo un effetto strutturale di un partito concepito e praticato dall’alto, dunque un dato insuperabile malgrado gli sforzi riformatori di Di Maio: l’incontro con le liste civiche, i cosiddetti facilitatori, tutta fuffa.

La Democrazia cristiana, come il Partio comunistà italiano, come il Partito socialista, era popolo invece: politica democratica come rapporto fisico, mediazione di idee e interessi reali, corpo a corpo con l’elettorato altrui e in certo senso anche con il proprio, per mantenerlo, orientarlo, allargarlo. È in questa fisicità la sostanza di un partito di massa.

Ricordate i comunisti? L’aderenza a tutte le pieghe della società, dicevano, indicando la necessità di aprire «una sezione per ogni campanile», laddove appunto si organizzavano i cattolici entrati a contatto con la democrazia di massa, prima di darsi una strutturazione capillare magari inseguendo i comunisti in una gara a organizzare la democrazia dal basso: che è esattamente il contrario del modello berlusconian-casaleggiano che oggi sta entrando in crisi. E non è un caso che ne risentano contemporaneamente sia Forza Italia da una parte che i Cinque stelle dall’altra: due partiti senza popolo.

Sorgente: Il populismo senza popolo dei Cinquestelle non c’entra nulla con la Dc – Linkiesta.it

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