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Armistizio fragile in vista degli stati generali. Resta centrale l’ex capo politico. Fibrillazioni Pd: Gori apre il dibattito su Zingaretti. Stop di Franceschini

di Manuela Perrone

Caos M5s, accuse dalla Spagna: “Finanziati da Maduro…”

Chi decide nel M5S? La domanda sorge spontanea davanti al caos e alle lotte intestine. L’armistizio fragile raggiunto in questi giorni si regge sulla promessa di svolgere gli “Stati generali” del Movimento tra fine settembre e inizio ottobre per poi far decollare la nuova governance. Sicuramente più collegiale, con un direttorio-segreteria e con un segretario primus inter pares. Ma la fisionomia e le strade per comporla sono ancora tutte da definire. Rinviate a dopo l’estate, appunto, ma soprattutto a dopo l’election day del 20 settembre. Quando saranno più chiari anche il quadro economico del Paese e la prospettiva del Governo.

Di certo c’è che fino ad allora a traghettare il M5S, balcanizzato e sorvegliato speciale sia dal premier Giuseppe Conte sia dagli alleati Pd, Iv e Leu, sarà capo politico reggente Vito Crimi, cui è probabile toccherà un ruolo da agnello sacrificale. Perché, per dirla con le parole di un parlamentare della vecchia guardia, «prima di lasciare dovrà sbrigare tutte le rogne»: mettere in sicurezza il Governo senza creare intralci a Conte nel voto di luglio sul pacchetto di aiuti Ue, Mes compreso, e rispondere alla richiesta di abolire il divieto dei due mandati, ormai inviso a tutti gli eletti. Sempre Crimi dovrà sopportare l’esito delle regionali del 20 settembre, per le quali tutti nel M5S profetizzano l’ennesimo tracollo.

Dalla diarchia ai “ragazzi”

Ma non è Crimi, oggi, a decidere la linea Cinque Stelle. È chiaro invece il peso specifico di Beppe Grillo: cofondatore del Movimento nel 2009 con Gianroberto Casaleggio, è stato il primo a usare l’espressione «capo politico» per autodefinirsi. Per anni a guidare i pentastellati, nonostante i proclami di orizzontalità e democrazia diretta, è stata proprio la diarchia Grillo-Casaleggio: l’uno volto e megafono, l’altro cervello e strategia. Anche se, dall’ingresso in Parlamento nel 2013, alcuni «ragazzi» hanno cominciato a crescere. Da Luigi Di Maio a Roberto Fico, oggi sono tutti collocati ai vertici delle istituzioni, tranne uno: Alessandro Di Battista. Che puntella quel che resta del M5S anti-sistema ma vuole rientrare in pista: dopo lo scontro con Grillo e la tregua, ha annunciato ieri l’intenzione di ricandidarsi («tra tre anni», ha chiarito).

Dopo la morte di Gianroberto, Grillo ha avviato il passo di lato. Il 2017 è l’anno della grande freddezza, quello del divorzio del suo blog da quello delle Stelle: secondo lo statuto della nuova Associazione Movimento 5 Stelle fondata da Davide Casaleggio e Di Maio, è diventato il «garante». Ha benedetto il Governo gialloverde, con cui il M5S è approdato a Palazzo Chigi, ma è il Conte 2, nato dalle nozze col Pd, che ha promosso e continua a difendere. A differenza di Casaleggio jr, freddo verso un abbraccio con il partito più odiato da suo padre e proiettato a valorizzare la piattaforma Rousseau, ma mai come quest’anno detestato dai parlamentari (anche per l’obolo di 300 euro al mese e l’obbligo delle restituzioni).

Equilibrismo filo-dem

«Oggi è Grillo la principale assicurazione sulla vita del Governo», scherza un deputato dem. Un riconoscimento che fa il paio con quello arrivato ieri dal sindaco di Milano, Beppe Sala: «Apprezzo quello che sta cercando di fare nel M5S: cerca sempre di svolgere un ruolo di equilibrio». Ed è a Grillo che si rivolge tutta l’ala filo-Pd, da Fico alla vicepresidente del Senato Paola Taverna, che nutre ambizioni da leader. Nessuno di loro disdegnerebbe l’idea di un fronte progressista che avesse Conte come federatore (e sminasse il terreno dall’ipotesi di una lista del premier, che intimorisce tutti). Uno schema disegnato mesi fa dal segretario dem Nicola Zingaretti, anche lui però ieri messo in discussione da una fronda capitanata dal sindaco di Bergamo Giorgio Gori e dai Giovani Turchi che chiedono un cambio di leadership, stoppata da Dario Franceschini e da Base Riformista.

Di Maio capo delegazione “ombra”

Ma se la rotta M5S è disegnata da Grillo, sui singoli dossier il timone torna spesso nelle mani dell’ex capo politico: perché è a Di Maio che tutti si rivolgono quando c’è da decidere. Con la bufera sul Guardasigilli Alfonso Bonafede anche per il caso Di Matteo approdato in Antimafia, è il ministro degli Esteri il capodelegazione ombra, quello che tiene i rapporti tra i ministri e con il capodelegazione Pd, Franceschini. Di Maio non fa mostra di volersi “riprendere” il Movimento: d’altronde, era stato costretto a dimettersi da capo politico per l’ostilità dei parlamentari in ebollizione contro «l’uomo solo al comando». Ebollizione che però Crimi non raffredda.

Molti leggono gli scontri attuali come «dolori di pancia spesso legati ad ambizioni personali», che non riguardano soltanto i posti nel futuro vertice collegiale (dove si dà per scontato confluirà lo stato maggiore M5S e dove è stato già chiesto a Di Battista di entrare). Alla Camera e al Senato è infatti aperta la partita dei rinnovi delle presidenze delle commissioni: il M5S punta a mantenerne sette in ciascun ramo. E Gianluca Perilli, capogruppo a Palazzo Madama, l’Aula più preccupante per i numeri sul filo della maggioranza (come ha dimostrato il pasticcio sul decreto elezioni) potrebbe lasciare a settembre. Al suo posto si fa il nome dell’attuale presidente della commissione Politiche Ue: Ettore Licheri.

Sorgente: Da Grillo a Di Maio, chi decide nel M5S – Il Sole 24 ORE

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