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Ex giornalista della Padania, di simpatie naziste, Savoini è considerato vicino ai Servizi di Putin. I suoi affari con Mosca e il problema di sicurezza nazionale

Carlo Bonini

Matteo Salvini ha un nuovo problema. Molto serio. Perché la faccenda che ora afferra il sovranista padano è questione di sovranità e sicurezza nazionale. Vendute, stavolta. Non rivendicate. Che coinvolge il suo ufficio di ministro dell’Interno, Palazzo Chigi, il Parlamento, gli apparati di sicurezza e Intelligence del Paese. E il problema si chiama Gianluca Savoini, ligure di Alassio di 56 anni, già giornalista nella redazione politica del quotidiano la Padania nel lontano 1997, sovranista neonazista ante litteram, quindi agente di influenza russo e plenipotenziario dei rapporti politici ed economici della Lega con il Cremlino di Vladimir Putin. È l’uomo dei conversari registrati all’hotel Metropol in cui discuteva di un finanziamento di 65 milioni di dollari di Mosca a una Lega in apnea finanziaria.

Lo stesso – per quanto Repubblica ha potuto ricostruire – che ha intrattenuto e intrattiene, nella veste di presidente dell’Associazione Lombardia-Russia, rapporti con uomini con copertura diplomatica del SVR, lo Služba Vnešnej Razvedki, il Servizio di spionaggio estero russo. È una specie di fungo anomalo cresciuto grazie alle cure di Mario Borghezio e quindi fiorito con Matteo Salvini (Savoini ne è stato portavoce dopo la sua elezione a segretario) assumendo la veste di cinghia di trasmissione dei rapporti del Partito prima e di una delle articolazioni del nostro governo poi (il ministero dell’Interno) con Putin e il governo della Federazione Russa.

Il nome di Savoini ballò nell’inchiesta della Procura di Genova sui mercenari italiani neonazisti avviati nel Donbass per affiancare le formazioni paramilitari filo russe e quindi nel documentatissimo lavoro dell’Espresso sui rapporti tra Mosca e via Bellerio e in due eccellenti libri-inchiesta: “Il libro nero della Lega” di Giovanni Tizian e Stefano Vergine e “I demoni di Salvini” di Claudio Gatti.

Accade ora che gli audio postati da BuzzFeed news di quella mattina moscovita al “Metropol” illuminino, con la forza che ha soltanto una voce ascoltata dal vivo (e dunque non smentibile come lo scorso febbraio era accaduto), quello che da mesi era sotto gli occhi di tutti. Fatti e circostanze che nessuno nel tempo ha potuto smentire, ma che nessuno ha voluto sin qui guardare. Al punto da convincere chi aveva in mano quegli audio a bussare a un’altra porta – un media statunitense e in lingua inglese – per dare alla vicenda l’eco e la dimensione internazionale che la palude e il conformismo italiani avevano soffocato.

E, del resto, la disperazione con cui in queste ore la Lega prova a circoscrivere il danno (“Savoini? Parla a nome suo, non tratta il finanziamento del partito”) e a rifugiarsi nel più banale degli argomenti – non esistono evidenze che la trattativa sia andata in porto – è la conferma di che razza di guaio sia Gianluca Savoini. Basterebbe dire che la sua Associazione Lombardia-Russia ha la sede legale al civico 18 di via Colombi a Milano, sul retro dello stesso stabile in cui la Lega ha la sua base con ingresso in via Bellerio.

O ancora che, dal 2013 ad oggi, non ci sono stati un solo viaggio, una sola missione in Russia di Matteo Salvini, da deputato europeo e segretario della Lega prima, da vicepremier e ministro dell’Interno poi, in cui Savoini non sia apparso come membro ufficiale della delegazione. Fino alla foto, ultima di innumerevoli, che lo immortala ospite della cena di gala offerta lo scorso 4 luglio dal premier Giuseppe Conte a Vladimir Putin a Roma.

Già, ne ha fatta di strada Savoini dai tempi della redazione della Padania (1997) e dei suoi rapporti con camerati come Maurizio Murelli (condannato a 17 anni per una bomba a Milano nel 1973). Un “neonazista”, come raccontano nel libro di Claudio Gatti, i suoi ex colleghi al quotidiano della Lega. “Nessun altro come lui aveva quelle pulsioni fascistoidi-naziste”, dice l’ex caporedattrice Stefania Piazzo. “Apparteneva al filone nazionalsocialista”, conferma l’ex direttore Gianluca Marchi. “La definizione esatta di Savoini è nazista”, rincara Gigi Moncalvo, altro ex direttore.

Un “nazista” che attraversa indenne il cambio traumatico di leadership della Lega per ritrovarsi pifferaio di uno sbarbato Salvini che atterra sulla piazza Rossa come un bambino alle giostre. Savoini, che ha nel frattempo sposato Irina Shcherbina, russa di san Pietroburgo (la città dove Putin si è formato come dirigente del KgB) e anche lei nell’associazione Lombardia-Russia, da agente di influenza quale è, consegna infatti a Salvini un progetto politico chiavi in mano che assume su di sé la letteralità della trimurti Putiniana: “Identità, Sovranità, Tradizione”. Di cui diventa il tesoriere ombra. E che gestisce insieme al suo spicciafaccende, l’ex deputato leghista Claudio D’Amico, con cui stende un network di società di import-export, molte con sede in Russia, che devono essere il canale attraverso cui non tanto rianimare la bilancia commerciale Italia-Russia, ma più banalmente far transitare i finanziamenti di Mosca alla Lega attraverso normali transazioni commerciali tra aziende.

Transazioni che non lascino alcuna traccia dell’originario benefattore e del finale beneficiato. Operazioni di influenza che volutamente si muovono alla luce del sole proprio perché l’evidenza diventi la migliore delle coperture. La scelta fatta da Mosca per Savoini. Fino al punto da invitarlo come “osservatore internazionale indipendente” a testimoniare della regolarità (si fa per dire) del referendum con i militari alle urne per l’indipendenza della Crimea e alle ultime elezioni presidenziali (marzo 2018) che hanno confermato Putin alla guida del Paese.

Sorgente: Così il faccendiere arruolato dai russi inguaia Salvini | Rep

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