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Prove di accordo: il socialista olandese verso la guida dell’esecutivo europeo. Ipotesi Weber all’Europarlamento e Villeroy alla Bce. Il piano B porta a Barnier

alessandro barbera marco bresolin

Le parole fatte filtrare dallo staff sono tanto educate quanto definitive: «Sono onorato dell’ipotesi, ma indisponibile». E’ già quasi sera – notte piena a Osaka – quando Mario Draghi commenta l’indiscrezione de La Stampa a proposito di una sua candidatura alla guida della Commissione europea. In queste ore i leader continentali del G20 stanno tentando di trovare un complicato compromesso per sistemare le cinque caselle chiave dell’Unione: oltre all’esecutivo comunitario, la presidenza del Consiglio, del Parlamento, della Banca centrale europea, l’alto rappresentante per la politica estera. E’ un borsino ormai impazzito, in cui ogni giorno i papabili salgono e scendono dalle poltrone. Per la casella più delicata della Commissione le ultime voci raccontano la risalita del socialista olandese Frans Timmermans. Il premier Giuseppe Conte, che aveva accarezzato l’idea di sparigliare con Draghi, ieri ne ha discusso a lungo con il presidente polacco del Consiglio Donald Tusk, e si è detto favorevole al compromesso.

Mario Draghi: “Io alla guida della Commissione Ue? Sono onorato dell’ipotesi, ma indisponibile”

Per chiudere il pacchetto i leader si incontreranno domani stesso a Bruxelles, subito dopo il G20, pochi giorni dopo il vertice in cui i capi di Stato avevano tributato una standing ovation al presidente uscente della Bce. Il tentativo italiano di imporre la sua figura è naufragato per molte ragioni, e non solo per le difficoltà a imporre una figura tecnica. Draghi non si sente tagliato per una posizione così spiccatamente politica, ma soprattutto è consapevole delle difficoltà che incontrerebbe una candidatura come la sua, in Italia e non solo. E così il sì di Matteo Salvini – «un italiano alla presidenza della Commissione sarebbe un onore» – e il ni di Conte – «stanno girando mille nomi» – sono solo serviti ad accelerare la decisione di Draghi di uscire ufficialmente dalla rosa dei nomi.

Non è un caso se le candidature ancora in corsa sono tutte politiche e frutto di un equilibrio tra i partiti che formano la maggioranza nel Parlamento europeo. E’ proprio da Strasburgo che arriva la pressione sui leader perché il prossimo presidente della Commissione sia uno dei cosiddetti «spitzenkandidaten», ovvero i candidati a quella posizione delle rispettive famiglie politiche sin dalle elezioni europee. Una questione di principio per gli eurodeputati che vogliono evitare nomi calati dall’alto e difendere il legame tra elezioni e nomine.

È su questo punto ad esempio che insiste Weber, candidato di punta dei popolari per tenere accese le sue chances di prendere il posto di Jean-Claude Juncker. Il problema è che molti capi di Stato, a partire da Emmanuel Macron, hanno detto chiaramente no al bavarese. E così nei colloqui informali a Osaka sono risalite le quotazioni di Timmermans, spitzenkandidat dei socialisti. La sua nomina consentirebbe di rispettare il principio del candidato-capolista, avrebbe il sostegno di diversi governi (fatta eccezione per il gruppo di Visegrad) e un vasto consenso in Parlamento: oltre ai socialisti, sono pronti a votarlo liberali e verdi. Con più fatica, e le adeguate contropartite, anche i popolari alla fine potrebbero cedere. Con Timmermans a Palazzo Berlaymont, Macron potrebbe rivendicare la guida della Bce per il suo governatore Villeroy de Galhau.

Resterebbe da trovare una sistemazione per Weber, candidato ad un ruolo importante ormai da mesi. Potrebbe andare al Parlamento, ma in quel caso i popolari dovrebbero lasciare il Consiglio ai liberali. C’è poi il nodo dell’equilibrio geografico e di genere: Tusk aveva chiesto almeno due donne nelle quattro posizione di vertice dell’Unione.

Questo aspetto, tutt’altro che secondario, gioca a favore dell’attuale commissario danese alla Concorrenza, Margrethe Vestager. In questo caso il problema è la scontata opposizione dei popolari, i quali non vogliono cedere lo scettro ai liberali, terzi classificati. Per accontentare i cristiano-democratici e salvaguardare il principio che premia il partito vincitore, la soluzione ha il volto di Michel Barnier, eccellente caponegoziatore per la Brexit. Un nome che va bene a Emmanuel Macron, anche se a quel punto la Francia non potrebbe più rivendicare la Bce. In quel caso a Francoforte andrebbe un finlandese (Erkki Liikanen o Olli Rehn) o il tedesco Jens Weidmann. In ogni caso la carta Barnier sarà eventualmente messa sul tavolo soltanto dopo la bocciatura formale di tutti gli altri candidati-capolista. L’appuntamento tra i ventotto leader europei è fissato precisamente per le diciotto di domani: si comincia con una cena, anche se Tusk ha dato ordine all’organizzazione di preparare la colazione di lunedì. Sarà una lunga notte e non sono da escludere sorprese. Chi entra in conclave Papa, ne esce spesso cardinale.

Sorgente: Il rebus commissione Ue, Draghi si sfila: “No grazie”. Il favorito è Timmermans – La Stampa

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