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Domani si celebrano le elezioni municipali volute dal premier e annullate dal presidente della repubblica. In piazza monta la protesta. Nell’Albania spaccata tra voto e violenze “Vogliamo fuggire, ma l’Italia sta come noi”

I palazzi in stile fascista del Capo dello Stato e del primo ministro stanno uno di fronte all’altro su Boulevard Dëshmorët e Kombit, una delle arterie principali di Tirana. Poche centinaia di metri li separano, ma i due inquilini non si parlano più. Nell’Albania paralizzata, premier e presidente si rivolgono a un Paese diviso solo con post su Facebook, e a mezzo stampa. È una sfida totale, a colpi di decreti incrociati per decidere la data delle elezioni. Presidente della repubblica contro governo, Illir Meta versus Edi Rama, antichi alleati, oggi nemici in nome della Costituzione. Domani l’Albania andrà al voto per eleggere i sindaci di 61 municipalità, ma si tratta di «elezioni illegali», «elezioni socialiste», dice il presidente Meta. Dopo due settimane di proteste, l’opposizione del Pd (Partito Democratico, centro-destra) diserterà le urne. Sulla scheda elettorale, tra i simboli dei partiti forti, ci sarà soltanto quello del premier, il Partito socialista. E si annunciano scontri in piazza.

Un voto, quello di domani, invalidato dalla massima carica dello Stato, che vuole invece urne ad ottobre. Ma il premier Rama tira dritto e allestisce i seggi. Corte Costituzionale e Corte Suprema sono sospese nelle loro funzioni.

La situazione è molto tesa, dal febbraio scorso la mobilitazione contro Rama è quasi permanente: i manifestanti lo accusano di corruzione e di aver leso lo stato di diritto, il tutto in un contesto economico difficile. Alla vigilia del giorno più caldo per il Paese, che dal 2014 è candidato per entrare in Europa, in piazza Scanderberg sventola la bandiera rossa con l’aquila nera a due teste e il 18enne Alex Bardhashi emette la sua sentenza: «Forse per la prima volta la gente inizierà a fare la rivoluzione». Lui a votare non ci andrà. Sogna solo di fuggire all’estero per fare l’avvocato. Non certo nel nostro Paese: «L’Italia sta messa come noi. Va bene per esportare la droga – dice -. Il desiderio di molti teenager qui è avere un barcone e fare soldi con quel business, verso le coste italiane. Ma se ce ne andiamo tutti, che fine farà l’Albania?».

Mentre lui parla, il socialista Rama conclude la campagna elettorale a Valona. «Non possiamo fermare il cammino europeo del Paese – dice – la punizione sarà esemplare per chi si opporrà al voto». Da febbraio, si susseguono manifestazioni di piazza che ne chiedono le dimissioni. È accusato di frodi elettorali e di legami col crimine organizzato, dopo la pubblicazione di un’inchiesta del giornale tedesco Bild. Gli Usa sono dalla sua parte: il vice assistente segretario di Stato, Mattew Palmer, commentando le minacce dell’opposizione di centro-destra guidata da Lulzim Basha di boicottare le urne, ha messo in guardia chiunque provi a scatenare la violenza nel Paese.

Il caso albanese preoccupa anche l’Italia, il vicepremier Matteo Salvini cerca una mediazione tra Rama e il Capo dello Stato Meta, il quale invita la calma e allo stesso tempo evoca i fantasmi del passato, con un video sui social del 1982, che riproduce immagini del dittatore Enver Hoxha. Come dire, quelle di Rama non sono elezioni democratiche.

Quel che succederà tra oggi e domani, nessuno lo sa. I sindaci dei municipi governati dall’opposizione hanno assicurato che non permetteranno l’apertura delle urne. La comunità internazionale condanna le violenze degli ultimi giorni, come quelle nella notte di giovedì, quando un palazzo che avrebbe ospitato i seggi a Scutari, nel Nord, è andato a fuoco e tre poliziotti sono rimasti feriti. «I miei genitori non andranno a votare, e io neanche – dice Neka Jaferai, 19 anni -, è pericoloso». Come lei, delusa dalla politica, il 71% dei giovani in Albania, in un sondaggio Gallup di dicembre scorso, ha dichiarato di voler emigrare. Ma non è più l’Italia la meta per una vita migliore. «Io vorrei lavorare in Germania», spiega Nina Nuhu, che lavora in un call center a Tirana per un operatore italiano. Se negli Anni 90 il nostro Paese era un miraggio abbordabile, oggi i giovani guardano al Nord Europa. A differenza dei loro genitori, cresciuti a pane e tv nostrana, di italiano i ragazzi non sanno nemmeno una parola. L’economia albanese cresce del 3,8%. Gli investitori, tra cui aziende italiane, pullulano, e il business fiorisce. Eppure, spiega Lorella Kuka, venditrice di cosmetici, se non hai la raccomandazione giusta, e fa intendere in denaro, non lavori. Intanto, Tirana spera nell’estate, nel turismo. Sempre se la situazione di scontro politico-istituzionale non degenererà.

Sorgente: Nell’Albania spaccata tra voto e violenze: “Vogliamo fuggire, ma l’Italia sta come noi” – La Stampa

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