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La Bce di Christin Lagarde sta “regalando” alle banche commerciali europee – che stanno registrando profitti record – circa 152 miliardi di euro, un importo pari al bilancio annuale dell’Unione Europea: si tratta di un enorme trasferimento di ricchezza dalle tasche dei contribuenti dell’eurozona a favore del sistema bancario. È per questo motivo che per la prima volta la Bce registra una perdita di 1,3 miliardi.

Il “regalo” clamoroso alle banche non è denunciato dai giovani contestatori di Ultima Generazione ma da Paul De Grauwe della London School of Economics, uno dei più noti e autorevoli economisti europei, insieme a Yuemei Ji dell’University College London in uno studio scientifico intitolato “Towards monetary policies that do not subsidise banks”[1] (Per delle politiche monetarie che non sovvenzionino le banche) preparato per il Center for European Policy Studies e apparso già nel luglio 2023. Il documento però finora stranamente non è stato diffuso dai mass media e non è stato neppure riportato dagli economisti italiani. I due autori dello studio, con un tono abbastanza indignato, spiegano il meccanismo per cui grazie alla BCE le maggiori banche in Europa e in Italia possono registrare enormi profitti senza “fare nulla”, ovvero solo per il fatto di avere delle enormi riserve di moneta, pari a 4,3 migliaia di miliardi, o 4,3 trilioni, nei loro conti presso la BCE. “Grazie alla remunerazione delle riserve bancarie, gli istituti centrali hanno creato il Paese del Bengodi per le banche commerciali”.
Come è possibile che la BCE offra alle banche 152 miliardi di euro, pari al 1,13% del PIL dell’eurozona? E che poi nel bilancio 2023 registri anche delle perdite che colpiscono i bilanci degli Stati dell’euro ? La spiegazione non è semplicissima ma non è neanche troppo complessa. Occorre partire dal fatto che solo le banche commerciali possono avere dei conti presso le banche centrali nazionali che, insieme alla BCE formano l’Eurosistema, e che la BCE nel 2022 ha alzato i tassi di interesse per contrastare l’inflazione. Oggi il tasso di interesse centrale fissato dalla BCE è pari al 4,5%, mentre la BCE remunera al 4% i depositi delle banche (quando invece i normali clienti bancari ottengono interessi che, se va bene raggiungono l’1%). Nel loro documento De Grauwe e Ji si riferiscono invece ai valori vigenti a metà 2023, quando il tasso di deposito era ancora del 3,5%, valori ai quali continuerò a fare riferimento nel seguito di questo articolo. I conti di deposito della BCE sono quelli in cui le banche commerciali possono collocare le loro riserve di liquidità. Siccome le riserve bancarie in BCE erano pari a circa 4,3 trilioni (migliaia di miliardi) e il tasso di remunerazione sui depositi che la BCE aveva deciso di applicare a metà 2023 era del 3,.5%, annualizzando il tasso risulta che le banche possono guadagnare la bellezza di circa 153 miliardi di euro di interesse solo grazie al denaro collocato presso la BCE. Tuttavia, i due economisti affermano che “non c’è alcun motivo valido per cui le riserve debbano essere remunerate”, né del 3,5% né con qualsiasi altro tasso di interesse. La situazione è tanto più grave se si considera che, secondo le stime dei due autori, procedendo così – anche tenendo conto che l’inflazione e i tassi prevedibilmente scenderanno – entro una decina di anni i soldi trasferiti alle banche potrebbero essere pari alla cifra astronomica di un trilione, 1000 miliardi.
Ma da dove vengono le riserve bancarie in eccesso, pari a 4,3 trilioni? Anche questi soldi sono stati “stampati” praticamente gratis dalla BCE di Mario Draghi prima e di Christine Lagarde poi per salvare le banche. Infatti la BCE – a seguito della crisi finanziaria dei subprime del 2009, e poi di quella cosiddetta del “debito sovrano”, 2010-2012, e poi della crisi del Covid del 2020-2021 – ha creato dal nulla trilioni per le banche: l’obiettivo era di riempirle di liquidità e di fare uscire loro e i paesi cosiddetti “Porci”, cioè PIIGS (acronimo inglese che sta per Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia, Spagna) dalle crisi finanziarie. Il gioco era questo: la BCE – che formalmente non può finanziare direttamente gli Stati a causa del Trattato di Maastricht, ma può solo finanziare le banche – stampava miliardi di nuova moneta da offrire alle banche a tasso zero o quasi, e le banche in cambio offrivano alla BCE i titoli di debito pubblico che a loro volta acquistavano dagli Stati (come appunto i PIIGS), e altri titoli pericolosi che avevano in bilancio (leggi: derivati). In questa maniera le banche potevano sbarazzarsi dei titoli più rischiosi, ottenere preziosi soldi liquidi e risanare i bilanci; da parte sua la BCE – che non può mai fallire perché può stampare tutta la moneta che vuole – si assumeva i debiti degli Stati e i rischi dei derivati, cioè i rischi delle banche. In tale modo la BCE riuscì a “salvare l’euro” facendo apparentemente contenti tutti: le banche sull’orlo del fallimento e gli Stati più indebitati, i PIIGS.
Ma tutto è cambiato con la guerra in Ucraina: l’inflazione è salita fino al 9% nel 2022 e la BCE ha deciso di domare il caro-prezzi alzando i tassi di interesse, cioè frenando o congelando il credito (e l’economia). Una mossa illogica, perché l’inflazione derivava e deriva essenzialmente dalla guerra e dalle sanzioni, e l’incremento dei tassi di interesse deciso dalla BCE non può certamente aprire i rubinetti del gas e del petrolio in Russia o altrove. In effetti la BCE ha alzato i tassi soprattutto con l’obiettivo di frenare le rivendicazioni salariali di recupero dell’inflazione da parte dei lavoratori europei. Così, grazie all’aumento dei tassi sulla montagna di soldi, 4,3 trilioni, che la BCE ha offerto a tassi zero alle banche europee, oggi queste possono guadagnare altri 152 miliardi di interesse. Nel frattempo l’economia paradossalmente è frenata proprio dagli alti tassi di interesse. Le banche guadagnano, l’economia reale è in recessione e i contribuenti pagano i profitti delle banche.
Come è possibile che la BCE possa regalare questa montagna di soldi?  La BCE e le banche centrali dell’Eurosistema stanno operando in maniera illegittima? Ovviamente no. È possibile grazie agli strumenti di mercato che le banche centrali utilizzano normalmente da qualche decennio per orientare i tassi di mercato dell’economia. Il problema non deriva dunque da particolari patologie ma è strutturale e fisiologico. E quindi è ancora più grave.
I due autori dello studio spiegano che la BCE fissa sul mercato i tassi centrali di riferimento che valgono per tutto il sistema bancario (e anche per il sistema valutario e finanziario) proprio grazie alla remunerazione dei conti di deposito. Il meccanismo è questo: se la BCE, per esempio, vuole che il tasso ufficiale di interesse per tutta l’economia sia intorno al 4%, per fissarlo remunera al 3,5% i conti di deposito delle banche, presta il denaro al 4% e pretende il 4,5% sui prestiti di emergenza che eventualmente le banche le chiedono. In gergo si dice che la BCE fissa il tasso centrale di interesse servendosi del “corridoio dei tassi”. Se infatti le banche possono guadagnare il 3,5% sui loro conti di deposito presso la BCE non correndo alcun rischio – perché la BCE è ovviamente la banca più sicura che esista -, presteranno sicuramente i loro soldi ai clienti a un tasso superiore al 3,5%, perché qualsiasi cliente presenta un rischio maggiore della BCE, e perché ovviamente le banche quando prestano soldi vogliono essere remunerate per il rischio che corrono. Così, con un tasso di deposito del 3,5% le banche applicheranno ai clienti un tasso di interesse intorno al 4%, che è proprio il tasso di mercato desiderato dalla BCE. Questo meccanismo si chiama “trasmissione monetaria” e è quello usato abitualmente dalle banche centrali per fissare il tasso centrale di interesse valido per tutta l’economia. Tutto normale dunque? Ci dobbiamo rassegnare agli extra-profitti delle banche? Non proprio, affermano De Grauwe e Ji.  Il problema è che tutto questo rappresenta un danno per gli Stati e per i contribuenti. Infatti le banche centrali che partecipano all’Eurosistema normalmente riversano i loro profitti agli Stati d’appartenenza. Ma, a causa dei 152 miliardi trasferiti alle banche private, le banche centrali nazionali dell’Eurosistema devono ridurre per un importo praticamente pari i trasferimenti dei profitti ai loro governi, e alcune devono addirittura, come nel caso della Bundesbank e della banca centrale olandese e, per la prima volta, della stessa BCE, registrare delle perdite. Gli Stati, e quindi i contribuenti, devono dunque rinunciare a decine di miliardi di entrate, fare ancora sacrifici in nome dell’austerità, e addirittura, se continuasse così, dovrebbero ripianare con i loro soldi le perdite della banca centrale del loro paese. Al contrario le banche private registrano profitti record che in buona parte vanno a gonfiare i mercati finanziari, e che quindi possono provocare boom e poi crolli! I due autori sottolineano che: “Questa situazione porta a chiedersi se tali trasferimenti cumulativi così consistenti verso le banche commerciali saranno sostenibili, non solo finanziariamente per le banche centrali, ma anche politicamente, quando gli elettori si renderanno conto della vastità di questi trasferimenti che effettivamente appartengono ai contribuenti, e quando si renderanno conto che le banche ricevono questi grandi pagamenti di interessi su attività prive di rischio”.
Si può uscire da questa situazione? La BCE può ricorrere a altri meccanismi – diversi dal “corridoio dei tassi” – per fissare il tasso centrale di interesse? Sì, certamente, rispondono De Grauwe e Ji. La BCE potrebbe imporre alle banche di innalzare i livelli minimi di riserva non remunerata che queste attualmente per prudenza sono obbligate a avere in proporzione però solamente dell’1% rispetto ai depositi dei clienti: oggi la riserva minima obbligatoria ha dunque livelli ridicoli. I due studiosi affermano che i 4,3 trilioni di riserva sono remunerati per il 99% e solo l’1% riguarda la riserva obbligatoria non remunerata. Ma non è sempre stato così. Prima dell’inizio dell’Eurozona nel 1999 la maggior parte delle banche centrali europee non remunerava i saldi di riserva in eccesso delle banche. Negli anni ’70 e ’80 per esempio, la Bundesbank utilizzava requisiti di riserva minima molto elevati e non retribuiti per trasferire i grandi afflussi di denaro nel paese.
Dunque la BCE potrebbe anche, se lo volesse, non ricorrere a operazioni di mercato, non utilizzare il “corridoio dei tassi” per fissare il tasso centrale desiderato per l’economia. Per aumentare i tassi di interesse basterebbe non remunerare, in tutto o in parte, le riserve. Nel nuovo contesto le banche avrebbero in bilancio una quota maggiore di attività senza rendimento. Per ripristinare il loro spread complessivo (la differenza tra gli interessi maturati sulle attività e gli interessi pagati sulle passività) dovrebbero aumentare il tasso di interesse che applicano al portafoglio dei prestiti. Ciò porterebbe a un aumento generalizzato dei tassi di interesse, e questo è esattamente ciò che le banche centrali oggi perseguono nella loro strategia per combattere l’inflazione”.
Le banche centrali potrebbero dunque smettere di sovvenzionare le banche per decine e centinaia di miliardi semplicemente innalzando il livello delle riserve obbligatorie non remunerate. E potrebbero invece finanziare gli Stati. Ma non lo fanno perché, come dicono i due economisti “l’uso degli obblighi di riserva come strumento di politica monetaria è passato di moda dagli anni ’80. Ciò è stato determinato principalmente dal cambiamento di paradigma che da allora esalta l’efficienza resa possibile dalla liberalizzazione dei mercati finanziari”.
È dunque l’ideologia liberista dell’efficienza dei mercati finanziari che spinge le banche centrali a continuare a remunerare le banche per le loro riserve: ma l’efficienza dei mercati è stata clamorosamente smentita dalle violente crisi che si sono susseguite dal 2008 in poi (e per la verità anche da prima). I due autori sanno perfettamente che questa ideologia liberista è funzionale alle potenti lobby bancarie, che ovviamente non desiderano assolutamente perdere ricche rendite miliardarie. I due economisti concludono amaramente: “L’attuale situazione sembra essere un esempio di “cattura dei regolatori da parte dei regolati”: le banche vorrebbero avere la botte piena e la moglie ubriaca, cioè vogliono avere liquidità sicura e priva di rischio (cioè non remunerativa, NdA) presso la banca centrale e fare anche profitti”.
Questi fatti dovrebbero fare riflettere sul dogma dell’assoluta indipendenza della BCE. Chi controlla la BCE? La BCE è davvero indipendente o dipende dal settore bancario privato? La democrazia non dovrebbe entrare anche nell’autocratica BCE? Speriamo che l’ardua sentenza non venga emessa da posteri troppo lontani dal nostro tempo.

 

Sorgente: La Bce e i 152 miliardi di extra-profitti per le banche dell’eurozona

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