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Mentre continua lo sgombero del Centro d’accoglienza, sindaco e parroco cercano soluzioni alternative per i diciannove che non avranno più diritto alla protezione umanitaria. Da Cissè, l’attaccante della squadra del paese, che se ne è andato in lacrime, al ragazzo che ora dorme in stazione Termini fino alla 25enne con il bimbo di 7 mesi che era stata salvata dalla tratta delle prostituzione

Le lacrime di Ansur Cissè, l’attaccante della Castelnuovese costretto a lasciare la squadra, mentre si chiede “se mai potrò continuare a giocare a calcio”. L’emozione del sindaco Riccardo Travaglini alla vista delle decine di email arrivate alla casella delComune di Castelnuovo di Porto. La determinazione di Padre José Manuel Torres, il parroco della cittadina, che s’inventa 10 posti letto nella canonica della chiesa Santa Lucia in favore di chi, nelle prossime ore, un tetto non ce l’avrà più. La disperazione di Attari, che con il bimbo di 7 mesi in fasce dice ai cronisti: “Se va così dovrò tornare a prostituirmi”. Ci sono storie di uomini, donne, persone dietro i freddi numeri dei trasferimenti in corso in questi giorni dal Cara (Centro Accoglienza Richiedenti Asilo) situato a 20 km a nord della Capitale, il più grande d’Italia dopo quello di Mineo in Sicilia con le sue 540 persone ospitate. Il centro non chiude per l’effetto del decreto Salvini, ma per una scelta di “razionalizzazione” del ministero dell’Interno. Dei 540 migranti ospiti, infatti, in 19 non avranno più diritto alla protezione umanitaria. Loro, in base alla nuova legge, avrebbero dovuto lasciare il Cara anche se questo avesse continuato ad esistere. Secondo fonti vicine ai migranti che stavano nel centro, circa 100 persone sono già scappate.

MAMMA ATTARI E KANTE’ “IL FUGGITIVO” – Tra chi ora non sa dove andare c’è Attari Blessing, una ragazza di 25 anni che da 7 mesi ha dato alla luce un bambino. “Dovrò tornare a battere il marciapiede, non so cos’altro fare”. Attari, infatti, è una delle ragazze sottratte al giro della prostituzione e per le quali i volontari del centro avevano avviato un programma di reinserimento graduale. E sul marciapiede in realtà ci è finito da qualche giornoKantè, che appena ricevuto l’avviso della Prefettura si è subito dileguato. A Ilfattoquotidiano.it il suo amico Traorè, nella stessa situazione, rivela: “Ha dormito alla stazione Termini. Dice che per il momento si appoggia lì, poi si vede. Se lo raggiungerò anch’io? Non lo so, potrei. Aspetto qualche giorno e poi vediamo”. Tutti loro sono assistiti da Antonello Crongia, un avvocato dell’associazione “A Buon Diritto”, che si è offerto di dare assistenza legale: “Forse abbiamo trovato una soluzione per Attari. Per gli altri è molto difficile”.

DAL PRETE AL SINDACO: ECCO CHI LI OSPITA – Questi 19, come detto, sarebbero usciti a prescindere dalla chiusura del Cara. Evento che non fa altro che amplificare le loro storie. Ma che, paradossalmente, ha anche aiutato a mettere in moto la macchina della solidarietà. Padre José Manuel, messicano parroco del Paese, è stato il primo a farsi avanti. “Non voglio concludere qui quello che avevamo iniziato. Posso ospitare fino a 10 ragazzi, possono venire nella mia canonica”. Nel suo piccolo anche il sindaco Riccardo Travaglini, ha dato l’esempio. “Muna Hadidstarà da me per un po’, il tempo di trovarle una sistemazione”, dice il primo cittadino, eletto in una lista civica sostenuta dal Pd. Di cui è esponente il presidente del Consiglio Comunale, Emanuele Baldelli: “Questa città ha dato e sta dando il buon esempio”, dice. E i riscontri ci sono. Sotto la pioggia battente, Travaglini arriva con una cartellina piena di e-mail stampate. Sono le lettere con cui cittadini da tutta la provincia di Roma e dal resto d’Italia danno disponibilità per ospitare un migrante. Calcata, Ladispoli e Guidonia sono le più vicine, ma poi ci sono località in Abruzzo, nelle Marche e in Toscana. “Questa è l’Italia vera, solidale”, dice emozionato.

GLI “ATLETI DI DIO” – Ma è lo sport, come spesso avviene, a consegnare le storie più emozionanti. Quella del senegalese Anszur Cissè, centravanti della Castelnuovese, che il 23 gennaio ha pianto durante il suo ultimo allenamento, dopo aver segnato valanghe di gol con la prima squadra, che milita in 1° Categoria laziale, e con la Juniores Regionale, con la quale dicono che si sia messo in mostra davanti a qualche osservatore importante. In squadra con lui un connazionali, il difensore centrale Lamin Sana, magari meno talentuoso ma ugualmente amato dalla squadra. Fra l’altro Cissè (omonimo del calciatore ivoriano passato anche fra le file della Lazio) dovrà rinunciare non solo ai gialloverdi della via Tibertina, ma anche all’Atletica Vaticana, dove insieme al suo amico Buba Iellow disputava gare agonistiche di fondo. “Una squadra cristiana pur essendo entrambi musulmani”, raccontano gli allenatori. Loro sono richiedenti asilo, dunque se non vogliono lasciare in sospeso le loro pratiche, devono seguire le indicazioni della Prefettura. E dunque andare via.

LA CASTELNUOVO SOLIDALE… E QUELLA INSOFFERENTE – Castelnuovo di Porto in questi anni ha lavorato tanto sull’integrazione. Anche grazie a tanti residenti che si sono dati da fare per trasformare i numeri in volti e le carte d’identità in sentimenti. Così, se i ragazzi della Castelnuovese oggi piangono per l’addio dell’amico Anszur, restano gli sforzi di cittadini comuni, come Bibi Portoghese, donna carismatica che ha messo in piedi dal nulla corsi e mostre fotografiche per i migranti – con esposizioni arrivate anche al Macro di Roma – organizzato percorsi professionalizzanti di ogni tipo; o quelli del professor Moussa Aziz Abdayem, che ha insegnato loro le “arti e mestieri” di una volta. Sforzi che a volte restano vani. Perché basta girare l’angolo, parlare con il fornaio e il barista e scoprire altre opinioni: “Questi se ne devono andare. Ha fatto bene Salvini. Guarda che schifo che c’è per le strade”. “Ma perché l’immondizia a terra la buttano i migranti?”. “Al 70% gli italiani, ma un buon 30% è roba loro. Ci bastano i nostri”.

Sorgente: Castelnuovo di Porto, dalla fuga di Kantè a Blessing che teme di dover tornare a prostituirsi: le storie di chi lascia il Cara – Il Fatto Quotidiano

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