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Ragazzine venivano reclutate tra famiglie poverissime e inviate sui marciapiedi della Lombardia. La denuncia di una vittima (salvata dalla zia) fa scattare il processo per gli aguzzini: «Traffico di esseri umani»

Il clan slavo degli schiavisti. Donne e uomini, capi e luogotenenti, guardie, addetti alla contabilità e alla ricerca di covi in anonimi quartieri, in una geografia dalla Serbia e dalla Croazia a Milano, dagli isolati luoghi di campagna bagnati dal fiume Sava e punti del reclutamento, fino ai marciapiedi cittadini e dell’hinterland. Ma anche agli appartamenti, alle piazze della droga, ai vagoni della metropolitana. Un clan che adesso va a processo con l’accusa, che davvero pare anacronistica tant’è agghiacciante, di traffico di esseri umani. Esseri umani sempre e soltanto minorenni. Ragazzine adolescenti. Figlie di famiglie povere, poverissime, in generali contesti di degrado e ignoranza, comprate dietro la falsa promessa di matrimoni, con in ogni modo madri e padri che si sarebbero dichiarati d’accordo quantomeno con le nozze, e poi trasformate in fabbriche da soldi.

Si fatica perfino a leggerla, la circostanziata narrazione dei fatti, per quanto s’è protratta nel tempo senza mai un’esitazione, un ripensamento. Al contrario, un progressivo e implacabile incedere di giornate così: agli ordini per esempio dell’aguzzina Dragica Vrbanovic, nata in Croazia 56 anni fa, una ragazzina era stata privata dei documenti d’identità, e ogni mattina, fin quando scendeva il tramonto, veniva obbligata a chiedere l’elemosina, freddo o caldo che facesse; oppure, agli ordini stavolta dell’aguzzino 61enne Pavle Durdevic, un’altra minorenne era stata addestrata affinché riuscisse a scassinare serrature, evitare i sistemi d’allarme, procedere con rapidità all’esplorazione delle abitazioni, arraffare soldi e gioielli, telefonini e computer, infine scappare senza lasciar tracce. Il tutto in un permanente scenario di minacce, di aggressioni fisiche, di proibizione di conversazioni telefoniche con la famiglia, e di chissà cos’altro, che non è erroneo ipotizzare sia avvenuto in quei disgraziati e tragici ambienti domestici.

Il controllo del clan era sistematico, asfissiante, fuggire era impossibile a meno che, come per fortuna avvenuto in un caso, aspettare la prima occasione e saperla sfruttare. E infatti un’adolescente era riuscita a eludere le sentinelle, raggiungere una zia qui in città e da Milano tornare a casa. La svolta. Il successivo inizio dell’opera di denuncia, con le ovvie audizioni protette condotte da magistrati assistiti dal supporto di psicologi forensi – un percorso lungo, assai ostico, complicato, dovendo gli operatori vincere il terrore delle giovani vittime, dovendo essi rompere gli schemi mentali per fidarsi di stranieri, e a loro affidarsi – ha innescato il percorso della giustizia, con la creazione degli ordini di cattura e la caccia degli investigatori. Il processo si tiene nel tribunale di Torino poiché questa è stata l’ultima meta logistica del clan, nonché i posti dove sono avvenuti gli arresti, a opera dei carabinieri.

La priorità umanitaria, ovvero salvare le ragazzine, ha comunque da sé aperto un fisiologico panorama di fatti delinquenziali incluso il traffico di droga, che se vogliamo rappresenta una sorta di «evoluzione» di queste bande di schiavisti, dunque non più limitate al mero sfruttamento per l’accattonaggio, i borseggi, le rapine, i furti. Questo Durdevic risulta avere, e la cosa non stupisce affatto, una serie di alias che gli hanno consentito sovente di sfangarla, e vari precedenti soprattutto per reati contro il patrimonio, in un’esistenza aliena alle regole, itinerante, irregolare, forse priva di redenzione. Per lo Stato italiano il balordo è un disoccupato che non ha mai prodotto alcun tipo di reddito lavorando, fosse anche un reddito minimo. In Serbia, la nazione che ha spiccato quegli ordini d’arresto, le pene per il traffico di esseri umani sono alte, e solitamente implacabili; vedremo da noi il prossimo futuro nell’aula del tribunale e le successive sentenze.

Sorgente: Gli affari milanesi degli schiavisti di adolescenti: la mappa della tratta dalla Croazia tra furti, droga e prostituzione | Corriere.it

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