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A Bakhmut, città simbolo della difesa ucraina, una compagnia privata di ex galeotti ha spazzato via la trappola preparata per 9 anni dagli strateghi di Kiev e della Nato.

Bakhmut, la Wagner e la trappola di Washington e Kiev

Per coprire la caduta di Bakhmut, un passaggio fondamentale del conflitto in Ucraina, il fronte Nato ha lanciato una serie di psyop rilanciate all’unisono da media e social, ultimo caso l’attacco con droni nella regione di Mosca.

Kyrylo Budanov (capo dell’intelligence del Ministero della Difesa ucraino), dopo il bombardamento diurno di Kiev di qualche giorno fa, aveva promesso che ci sarebbe stata una rappresaglia e che i russi “presto si sarebbero pentiti“.

La rappresaglia è arrivata con un attacco di droni nella regione di Mosca: 32 droni in totale dei quali 19 abbattuti, 10 “caduti da soli” (o con l’uso di contromisure elettroniche o perché, volando molto bassi, si sono incastrati negli alberi o nelle linee elettriche), e 3 che hanno colpito abitazioni, due nella città di Mosca e uno in un sobborgo. Non si registrano vittime ne danni particolari.

Ma lo scopo di questi attacchi non è quello di infliggere danni ma quello di occupare lo spazio informativo dando l’impressione che questi attacchi siano in qualche modo equivalenti, per scopi e risultati, a quelli russi: cosa che ovviamente non è, ma è su tutti i media quindi l’obiettivo è raggiunto – e infatti Repubblica titolava “Mosca trema”.

Ma tornando al punto iniziale, con il diradarsi della cortina fumogena della propaganda, emerge sempre più nitidamente il duro colpo della città simbolo della difesa ucraina.

Bakhmut, la prima linea di difesa*

Bakhmut è stata per anni, prim’ancora che l’architrave della prima linea di difesa nazionale contro l’ingombrante vicino, la punta di diamante della repressione e del controllo di Kiev alle spinte indipendentiste del Donetsk dal 2014, snodo cruciale per il controllo strategico dell’intera regione

La piccola città, per Londra e Washington, rappresentava un tassello fondamentale, il cavallo di Troia, nel quadro di un disegno più ampio, per concretizzare quella strategia atlantista di logoramento che avrebbe dovuto portare all’implosione dell’intero sistema di potere di Vladimir Putin.

Gli sforzi del Genio Militare Nato nel creare, già dal 2015, un sistema di difesa a più livelli, all’interno di Bakhmut, fatto di trincee, fortificazioni, casematte, erano finalizzati ad intrappolare le forze russe nella madre di tutte le battaglie. Tenuto conto dell’estrema durezza dei combattimenti in contesto urbano e del ricorso alla leva nell’organizzazione della struttura dell’esercito regolare russo, l’anglosfera, contava sull’effetto mediatico dirompente che avrebbero avuto i caduti sull’opinione pubblica russa del XXI secolo.

PMC Wagner, l’asso nella manica del Cremlino

La risposta pragmatica del Cremlino, con l’invio della PMC Wagner sul fronte più pericoloso del conflitto, ha scongiurato l’effetto farfalla ed ha incastrato i vertici Kiev/Nato nella loro stessa strategia, trasformando Bakhmut in una rappresentazione plastica di quello che può essere l’abisso della guerra.

Oltre a combattere  sul campo di battaglia, la milizia privata di Prigozin, il “cuoco” fattosi “salvatore della Patria”, per sua natura, ha, di fatto, reso impermeabile il Cremlino a tutte le speculazioni interne causate dalle ingenti perdite, e lasciando proprio al leader della compagnia il ruolo del fustigatore, non per denunciare la guerra ma per rilanciarla come  esistenziale per la Russia.

Il concetto di redenzione patriottica é stato determinante a fare ingrossare le fila della Wagner e per lanciare nuove narrative come fu per l’URSS nella Seconda Guerra Mondiale.

Emarginati, carcerati con reati gravi hanno la possibilità di diventare gli eroi della patria di domani e di godere di perpetua memoria come fu per le generazioni che combatterono durante l’invasione delle truppe dell’Asse nel ’42.

Limitando l’impopolarità insita nella guerra, il Cremlino é riuscito a mettere in campo una strategia efficace e salvare se stesso. Sul campo di Bakhmut, la Wagner, composta per almeno un 30% da ex Spetsnaz, si é scontrata, oltre che con le truppe ucraine, con i contractors USA di Academy, con vari esponenti dei reparti inglesi SAS e del GROM polacco ,riuscendo ad imporsi nel confronto.

Difficile prevedere esattamente l’impatto che la sconfitta a Bakhmut avrà sull’esercito ucraino che proprio nella difesa di questa località si è dissanguato impegnandovi dall’ottobre scorso 25 brigate, 12 reggimenti/battaglioni autonomi (incluse forze speciali) e 6 reparti composti da volontari stranieri (georgiani, ceceni ed europei).

Un impegno e un sacrificio in termini di perdite che rende oggi molto arduo sostenere che la perdita di Bakhmut non abbia un valore militare o una rilevanza strategica.

Un’operazione propagandistica e mediatica già in atto comprensibilmente in Ucraina dove si teme per la tenuta del “fronte interno” e un po’ meno comprensibilmente in Europa, dove vengono impiegate le tecniche delle “cortine fumogene” per coprire il traballare dell’intera narrazione “mainstream” su questa guerra, percepita sempre più dalle opinioni pubbliche come qualcosa da fermare il prima possibile, nonostante il tam tam mediatico che rilancia l’unico messaggio dell’ autorità politiche della UE: più armi, più guerra. Basta ascoltare le ultime parole della presidente della commissione Ursula von der Leyen: “Nessun cessate il fuoco.”

* (Fonte)

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Sorgente: Bakhmut: come la Wagner ha disinnescato la trappola di Washington e Kiev – Kulturjam

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