Esattamente sessant’anni fa, a ridosso delle coste di quello che allora era il Vietnam del Nord, si consumava quello che sarebbe passato alla storia come l’incidente del Golfo del Tonchino.
Ai primi di agosto del 1964 il presidente democratico degli Stati Uniti Lyndon Johnson annunciò che delle navi da battaglia della flotta americana erano state proditoriamente attaccate da motosiluranti nordvietnamite e che avevano vittoriosamente respinto l’aggressione. Di fronte alla gravità di quanto avvenuto, che veniva amplificata da tutti i mass media occidentali in modalità che abbiamo ben imparato a conoscere, Johnson si fece dare dal Congresso i pieni poteri di guerra.
Grazie a quella decisione, nell’autunno del 1964 gli Stati Uniti iniziarono ad inviare ufficialmente le proprie truppe a combattere in Vietnam, truppe che nel giro di due anni sarebbero ammontate a più di mezzo milione di soldati.
Come oggi sappiamo dalla stessa pubblicazione ufficiale dei documenti riservati degli Stati Uniti, l’incidente del Tonchino era stato completamente inventato dal governo americano. Ciò che allora avevano affermato in pochi e non creduti – che non stesse in piedi che imbarcazioni nordvietnamite grandi poco più di un motoscafo avessero aggredito potenti corazzate – era assolutamente vero.
La realtà era che il regime filo USA del Vietnam del Sud stava perdendo la guerra contro l’esercito di liberazione, sostenuto dal Nord comunista guidato da Ho Chi Minh.
Gli Stati Uniti da anni inviavano armi e consiglieri, ma i risultati erano nulli. Tutte le previsioni degli esperti giungevano alla stessa conclusione: senza un intervento diretto e massiccio delle truppe USA il regime sudvietnamita sarebbe crollato. E gli Stati Uniti ed i loro alleati non potevano permettersi di perdere il Vietnam, perché allora in Occidente andava per la maggiore la cosiddetta teoria del “domino”. Cioè la perdita del Vietnam avrebbe comportato la caduta a cascata di tutti i regimi filo occidentali dell’Asia.
Per superare tutte le obiezioni e gli ostacoli ad una guerra vera e propria occorreva un casus belli che sconvolgesse l’opinione pubblica e che permettesse al governo americano di procedere senza freni o inibizioni.
L’incidente del Golfo del Tonchino fu una menzogna di stato voluta e gestita da Johnson per fare la guerra. Essa inaugurò una stagione di falsi che poi è proseguita per tutte le guerre che gli USA hanno effettuato nel mondo, dall’Iraq, alla ex Jugoslavia, alla Libia. Prima di inviare bombardieri e soldati, i governi USA hanno sempre diffuso clamorose fake su crimini rivoltanti compiuti dal nemico. Assange e altri hanno rischiato la vita per aver rivelato alcune di queste fake e come venivano costruite.
Oggi la situazione militare in Ucraina somiglia molto a quella del Vietnam nel 1964.
L’Ucraina di Zelensky sta chiaramente perdendo la guerra contro la Russia di Putin.
Il progetto della NATO di sconfiggere i russi con l’esercito ucraino, armato e sostenuto in tutti i modi dall’Occidente, non tiene più. E non solo per la continua ritirata degli ucraini dal Donbass, non interrotta dall’avventura a Kursk, ma soprattutto per gli evidenti segnali di cedimento di quello che in guerra viene definito il “fronte interno”.
Oltre 200.000 soldati ucraini hanno disertato, mentre migliaia di cittadini cercano di sfuggire agli arruolamenti forzati, le cui immagini imperversano nei social, ma sono comparse solo sulla BBC tra tutte le tv occidentali. Milioni di ucraini sono rifugiati all’estero e non hanno alcuna intenzione di tornare in patria per combattere, tanto è vero che è sempre più forte la pressione sui governi occidentali affinché essi vengano rispediti nel loro paese.
Insomma, come per il Vietnam del sud nel 1964, oggi gli esperti degli USA e dei principali paesi Nato, aldilà della propaganda, fanno pronostici infausti sul futuro della tenuta dell’Ucraina di fronte alla Russia. E oggi come allora imperversa in Occidente la “teoria del domino”: non si può essere sconfitti in Ucraina, altrimenti tutta l’Europa sarà compromessa.
Quindi da un lato non ci si pone il problema di come e dove trattare: l’Occidente non ha in mente alcun possibile compromesso con la Russia. Nello stesso tempo però non si può continuare a lungo la guerra così come la si è condotta sinora.
La questione dei missili a lungo raggio manifesta esplicitamente il fatto che la guerra sia entrata in una nuova fase. Nell’escalation del 1964 Johnson prima inviò le truppe di terra e poi iniziò i bombardamenti a tappeto sul Vietnam del Nord, oggi l’escalation procede al contrario: ci si propone di colpire il cuore della Russia con i missili, mentre l’invio di truppe di terra, a cui un anno fa aveva accennato Macron, è rinviato.
I missili per colpire nel profondo la Russia sono già un intervento diretto dell’Occidente nella guerra, perché per essere ben utilizzati essi richiedono tutta la tecnologia, la logistica, il sistema informativo satellitare, gli esperti militari degli Stati Uniti e dei loro più fedeli alleati. Un missile che riuscisse a colpire in maniera efficace Mosca non sarebbe un missile ucraino, ma americano. Questo lo sanno tutti, perciò diversi paesi NATO sono restii a farsi coinvolgere in questa scalata, i cui sbocchi sarebbero sempre più oscuri.
E questo sa benissimo Zelensky, che chiede i missili non per ribaltare le sorti della guerra, ma per coinvolgere sempre di più USA e NATO in un intervento diretto in essa. Bombardando la Russia con strumenti a guida USA e NATO ci sarebbe prima o poi una reazione russa, per altro già preannunciata da Putin. E dopo questa reazione, in Occidente la spinta a inviare truppe sarebbe sempre più forte. Basta guardare indietro negli ultimi due anni per vedere quante “linee rosse” dichiarate invalicabili siano state superate da Biden e alleati. La linee rosse sono mobili ed in assenza di qualsiasi ipotesi realistica di negoziato, si spostano sempre più verso la terza guerra mondiale.
Però l’opinione pubblica occidentale, compresa quella degli USA, non è pronta a un nuovo passo verso la guerra totale. La campagna bellicistica forsennata dei principali mass media occidentali è stata sinora un clamoroso fallimento. Biden ha dovuto dire ai guerrafondai europei, dal britannico Starmer a Ursula von der Leyen: fermatevi un attimo, abbiamo le elezioni.
Ecco allora che il rischio di un Tonchino 2024 si profila alla ribalta di una guerra che nessun governante sa come fermare. E che invece dobbiamo fermare prima che sia troppo tardi.
Sorgente: Un “incidente” del Tonchino anche in Ucraina nel 2024? – Contropiano
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