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Ok, va bene tutto, per carità, ma in quei 16 minuti e 40 secondi con cui Luigi Di Maio si è dimesso dal Movimento 5 Stelle (ma non da parlamentare) ha inanellato una quantità tale di giravolte, capriole, tripli carpiati ideologici da rendere quel discorso – per chi lo conosce bene – semplicemente lunare.
Ha rivendicato “l’appartenenza alla famiglia euro-atlantica”, lui che considerava la Nato superata e voleva uscire dall’Euro.
Ha invocato “un’Europa più solidale”, lui che ha definito le ong che salvano la vita ai migranti “taxi del mare”.
Ha attaccato “i partiti che strizzavano l’occhio ai no-va*”, lui che nel 2018 è andato al governo promettendo di abolire l’obbligo vaccinale.
Ha criticato “chi osannava la democrazia e la Costituzione e poi era fan di Putin”, lui che, da ministro degli Esteri, ha assegnato la bellezza di 22 onorificenze a esponenti del regime di Putin, come riporta Radicali.it
Ha stroncato “chi propone soluzioni semplici a problemi complessi”, lui che è salito su un terrazzo ad urlare di aver abolito la povertà.
Ha citato il Presidente Sergio Mattarella, quello per cui aveva chiesto l’impeachment.
In piena trance casinian-mastelliana, è arrivato persino a giurare che, nel suo nuovo progetto, “non ci sarà spazio per odio, sovranismi, populismi ed estremismi”. Lui che, insieme a Dibba, da vicepremier è andato a baciare la pantofola dei gilet gialli.
“È finita l’epoca dell’ipocrisia” ha infine tuonato, fondando un gruppo parlamentare, lui che minacciava multe da 150.000 euro per chi “tradiva” il Movimento.
Ognuno è libero di cambiare idea, e in certi casi è anche apprezzabile, ma esiste un tempo, un percorso, una coscienza dei propri errori, un’ammissione di responsabilità.
Altrimenti corri il rischio di sembrare tu, l’ipocrita.
(Lorenzo Tosa )

Sorgente: da ricerca Facebook

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