In “oltre sette ore di interrogatorio” nei giorni scorsi, ha fatto sapere l’avvocato Cocco, Pivetti “ha spiegato e ricostruito correttamente i fatti che le contestano” e “ovviamente dopo una vicenda del genere ci si aspettava la richiesta della Procura, che discuteremo finalmente davanti al gup”. Spetterà al giudice per l’udienza preliminare, Fabrizio Filice, decidere se rinviare o meno a processo i sei imputati.
Nell’inchiesta – condotta dagli uomini della Guardia di finanza – viene ipotizzato un ruolo di intermediazione di Only Italia, società riconducibile a Pivetti, in operazioni del 2016 del Team Racing di Isolani, che voleva nascondere al Fisco (aveva un debito di 5 milioni) alcuni beni, tra cui le tre Ferrari. Attorno alle tre auto, secondo l’accusa, venne organizzata una finta vendita verso una società cinese. Quelle macchine, però, non sono mai arrivate, si legge negli atti, “nella disponibilità” dell’acquirente ‘sulla carta’, il gruppo cinese Daohe, ma sarebbero state trasferite da Isolani in Spagna, “dove tentò di venderle”. L’unico “bene effettivamente ceduto, ovvero passato” ai cinesi è stato “il logo della Scuderia Isolani abbinato al logo Ferrari”. Se lo scopo di “Isolani e Mascoli” era quello “di dissimulare la proprietà dei beni e sottrarli” all’Erario, “l’obiettivo perseguito da Irene Pivetti” sarebbe stato quello “di acquistare il logo Isolani-Ferrari per cederlo a un prezzo dieci volte superiore al gruppo Dahoe, senza comparire in prima persona”. Attraverso la “complessa contrattazione” Isolani e la moglie, “simulando la vendita dell’intera scuderia, hanno di fatto ceduto soltanto il logo”, mentre Pivetti, per la Procura, ha comprato quel logo a 1,2 milioni di euro e lo ha rivenduto al gruppo cinese a “10 milioni”. Gli investigatori, tra l’altro, hanno seguito le tracce di un vorticoso giro di denaro, per oltre 7,5 milioni di euro, con rogatorie anche a Hong Kong.