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Le elezioni sono state quasi catastrofiche per il nome simbolo dell’estrema destra, Marine Le Pen, nel momento in cui ci si attendeva un netto successo di quelle liste

Il voto delle Regionali in Francia non ha conseguenze dirette in Italia, come è ovvio, eppure pone interrogativi che hanno a che fare con i nostri equilibri prossimi venturi. Il segnale d’Oltralpe indica l’estrema debolezza di Macron: il suo partito, En Marche, ha dimostrato di avere scarse radici nel Paese. Si dirà che il presidente ha sofferto più di altri l’incredibile astensionismo del 66 per cento. Vero, ma il problema è che un partito senza insediamento può affidarsi al carisma del suo leader solo se questi è sulla cresta dell’onda della popolarità. E non sembra il caso di Macron. Al tempo stesso le elezioni sono state quasi catastrofiche per il nome simbolo dell’estrema destra, Marine Le Pen, che ha perso circa 9 punti rispetto al primo turno delle precedenti Regionali. E questo nel momento in cui ci si attendeva un netto successo di quelle liste.

Chi emerge, anzi riemerge dall’oblio, è il partito gollista di Bertrand, credibile alternativa a Macron nelle presidenziali del prossimo anno. E ciò avviene mentre anche i socialisti, quasi un reperto dell’era pre-Macron, sembrano mostrare segni di vita. È presto per trarre conclusioni. Tuttavia ancora una volta il sistema francese, fondato sul doppio turno, si avvia a tagliare le ambizioni dell’estrema destra (e lo stesso farebbe con l’estrema sinistra, se avesse un peso). Peraltro l’anno venturo potrebbe non esserci più Macron all’Eliseo, bensì il gollista Bertrand. E a Berlino, in luogo di Angela Merkel, il cancelliere potrebbe essere il democristiano Lachet anziché la rappresentante dei Verdi che i media avevano portato alle stelle.

Vorrebbe dire che l’Unione entra in una fase di transizione radicale, tale da coinvolgere le due maggiori nazioni. In quel caso toccherà a Mario Draghi garantire la continuità e la coesione europea. Come dire che sulle spalle del premier italiano rischia di addensarsi un’ulteriore responsabilità, una vera e propria centralità: e proprio nel momento in cui anche Roma è chiamata a un passaggio cruciale con l’elezione del successore di Mattarella.

È facile immaginare quali pressioni saranno esercitate sul piano internazionale affinché Draghi prosegua il suo lavoro a Palazzo Chigi, lasciando cadere l’eventuale candidatura al Quirinale. A parte ogni altra considerazione, l’interrogativo riguarda l’assetto del governo: quale maggioranza è ipotizzabile nei prossimi mesi, al di là delle trappole del semestre bianco e in vista degli ultimi mesi della legislatura? Il caso francese sembra incoraggiare in Italia lo sviluppo di una destra più compatta e più in sintonia con le nuove tendenze europee. Tale potrebbe essere il patto di cui discutono Berlusconi e Salvini avendo in mente il partito repubblicano americano (che è cosa ben distinta dal Pri di Ugo La Malfa e Spadolini).

La ripresa dei gollisti a Parigi può spingere in questa direzione. Ma anche Giorgia Meloni dovrà porsi delle domande, visto che l’espansione della destra lepenista sembra esaurita e i modelli dell’Est (Orbán) non sono importabili. Quanto alla sinistra, il quadro resta confuso. Le intese tra il Pd e Conte sono tuttora farraginose e comunque prima bisogna attendere che si concluda il conflitto di potere tra l’aspirante leader dei 5S e il fondatore Beppe Grillo. Poi ci sarà da verificare nel voto amministrativo d’autunno – e non in primarie autoreferenziali – quanto vale la riscossa a cui Enrico Letta sta dedicando le sue energie.

Sorgente: Regionali in Francia, cosa dice Parigi a Salvini e Meloni – la Repubblica

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