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L’emergenza Covid è stata utilizzata da numerosi governi per giustificare una ulteriore restrizione dei diritti umani, sociali ed economici. La situazione si è aggravata nei Paesi del Golfo dove i lavoratori stranieri sono costretti a vivere in condizioni di estrema precarietà e ricattabilità, in alloggi insufficienti e decrepiti

Golfo

di Marco Santopadre

Roma, 1 maggio 2021, Nena News – L’emergenza sanitaria generata dalla pandemia di Covid è stata utilizzata da numerosi governi per giustificare una ulteriore contrazione dei diritti umani, sociali ed economici. Molti paesi, approfittando delle restrizioni imposte dal Covid19, hanno varato – ad esempio – misure restrittive nei confronti dei migranti. In particolare, i lavoratori stranieri sono stati oggetto, sin dall’inizio della pandemia, di una massiccia opera di discriminazione da parte dei paesi del Golfo Persico, che si somma al consueto ipersfruttamento degli immigrati adibiti alle mansioni meno qualificate.
Come è noto, nei paesi della penisola arabica ormai dal boom petrolifero degli anni ’70 del secolo scorso sono impiegati parecchi milioni di lavoratori provenienti soprattutto dall’Asia – indiani, bangladesi, filippini, pakistani, srilankesi, nepalesi – oltre che da altri paesi arabi – per lo più egiziani e libanesi – e africani.

I lavoratori immigrati costituiscono spesso una parte molto consistente della popolazione dei paesi del Golfo: in Arabia Saudita circa un terzo della popolazione è straniera; in Oman e Bahrein addirittura la metà; in Kuwait due terzi; in Qatar e negli Emirati provengono da altri paesi ben nove residenti su dieci. In alcuni settori, la manovalanza straniera rappresenta la stragrande maggioranza degli impiegati, spesso con contratti al limite della schiavitù. Moltissimi lavoratori sono costretti a vivere in condizioni di estrema precarietà e ricattabilità, in alloggi insufficienti e decrepiti.

I magri salari – inferiori anche di quattro volte rispetto a quelli riservati agli autoctoni – consentono comunque alla maggior parte dei lavoratori stranieri, soprattutto quelli asiatici, di mantenere con le loro rimesse le proprie famiglie nei paesi d’origine.
Ma la crisi economica dovuta alla pandemia, con il calo del prezzo del petrolio verificatosi lo scorso anno e la generale contrazione degli scambi commerciali in molti settori hanno provocato, nei paesi del Golfo Persico, il licenziamento o addirittura l’espulsione di molti di questi lavoratori e lavoratrici straniere.

Ad essere colpiti maggiormente sono stati i paesi del subcontinente indiano; in particolare, lo stato del Kerala, nella zona sudoccidentale dell’Unione Indiana – dove metà delle famiglie conta almeno un espatriato per lavoro – ha visto negli ultimi mesi una vera e propria ondata di rimpatri di immigrati costretti a lasciare i paesi nei quali erano impiegati dopo aver perso il lavoro.

Sorgente: GOLFO. L’attacco ai diritti dei lavoratori stranieri

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