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Le parole che seguono non le leggerete mai su Repubblica né su alcun altro quotidiano. Perché incredibilmente accettiamo, non ci indigna, non ci scandalizza, l’ipotesi di concludere il turno di lavoro in un obitorio

di Stefano Massini

L’intera Italia stavolta si è fermata. A scioperare contro le morti sul lavoro c’erano veramente tutti, dagli operai ai rider, dal terziario agli edili, i portuali, i metalmeccanici, gli autotrasportatori, i pensionati e i giovanissimi. Con un tasso di partecipazione del 99,9%, si può dire che la macchina produttiva del Paese si sia realmente bloccata per pretendere all’unisono il diritto alla sicurezza e alla dignità, acclamato finalmente come una premessa necessaria e innegabile.

Non solo: le piazze di ogni città, da Bolzano a Trapani, si sono riempite di lavoratori di ogni parte politica, consapevoli che le esplosioni in fabbrica e i crolli nei cantieri uccidono senza prima chiedere l’exit poll, per cui tutti siamo egualmente coinvolti, e quella per tornare vivi a casa è un’autentica battaglia collettiva. Da oggi, dopo una tale mobilitazione, la giungla dei subappalti e la roulette russa delle mancate manutenzioni non avranno vita lunga, e soprattutto la politica non potrà più negare un immediato seguito alla proposta di riconoscere l’omicidio sul lavoro.

Ecco, queste parole non le leggerete mai su Repubblica né su alcun altro quotidiano. Non le leggerete perché incredibilmente accettiamo l’ipotesi di concludere il turno di lavoro in un obitorio, non solo non ci spaventa ma non ci scandalizza, non ci indigna, non ci turba investendoci di quell’umana emozione primaria che è la rabbia, fonte benedetta di ogni insurrezione.

Senza rabbia, saremmo tutti rassegnati e schiavi. E senza rabbia la mattanza continua pressoché indisturbata, salvo clamorosi episodi come il crollo della trave nel cantiere Esselunga o la strage di Suviana, che fanno notizia solo perché il cadavere declinato al singolare è deplorevole ma plausibile, mentre i cadaveri al plurale innestano sulla pietà una spolverata di riprovazione, comunque rapida a sfarsi in vapore.

Eppure basterebbero i numeri per far sobbalzare. Dal 1975 a oggi, con una media di oltre 1.000 morti l’anno, abbiamo sfondato quota 50.000, come dire l’intera popolazione di città come Avellino, Teramo e assortite altre. Provando allora a partire da questo dato per scuotere l’apatia delle masse, potremmo suggerire a qualche videomaker di mostrarci strade, piazze, case e condomini di Siena o di Pordenone svuotati come nel Day After, zero presenza umana, desolazione completa e totale, saracinesche abbassate e automobili abbandonate, piante rampicanti fuori controllo e branchi di cani randagi, una vera città fantasma in cui tutti, dal primo all’ultimo, sono deceduti mentre lavoravano. Un’esagerazione? No, solo matematica.

Altra possibilità per imprimere il concetto? Il calcolo del rischio. Anche in questo caso, parliamo dunque di dati numerici, inoppugnabili, da cui si desume che nell’ultimo anno in Italia, ogni milione di abitanti, ce ne sono stati 31 morti sul lavoro (se però sei un lavoratore immigrato, la percentuale cambia un bel po’, anzi raddoppia a 65 ogni milione). Diciamo che potrebbe giovare un’altra campagna pubblicitaria choc, del tipo di quella sui tabacchi, e quindi sulle porte dei luoghi di lavoro andrebbe scritto “un morto ogni 6 ore”. Chissà se servirebbe a smuovere meningi e viscere per reclamare sicurezza, parola peraltro stupenda che in latino prendeva forma da “sine + cura”, cioè “senza preoccupazione”.

Quale miglior modo per esprimerne il valore, se non ricordarci che il lavoro sicuro è quello “sine cura”, in cui non devi appunto preoccuparti che il macchinario sia in buono stato, che l’impianto antincendio funzioni, che i sensori siano attivi, che le esalazioni non siano tossiche, che il turno sia sostenibile, che i materiali non siano scadenti, che tu stesso abbia ricevuto la formazione e le dotazioni per svolgere le mansioni che ti sono richieste. Sì, esatto: sine + cura, senza doversi preoccupare. Aggiungerei anche di non doversi preoccupare che la ditta ti abbia arruolato sul Titanic, senza scialuppe e senza salvagenti, magari barando perché come al Mercante in Fiera l’appalto lo vince chi tira giù il prezzo, poi si stappa lo spumante e in qualche modo faremo, risparmiando sulla pelle della truppa umana che è l’anello debole della catena, e nulla conta che parliamo di uno specializzato all’altoforno o di un sotto-sotto-sotto-pagato nei magazzini dell’e-commerce o su un motorino a far consegne col cronometro.

Primo comandamento insomma è fare cassa, ed è una sinistra coincidenza lessicale quella che sovrappone la cassa commerciale alla cassa intesa come bara, cosicché in effetti la perifrasi “fare cassa” assomma il metodo e l’esito in un mirabile connubio.

Chi si risentisse di questo inquietante mio scritto sul cimitero dei lavoratori, forse potrà riflettere sulla differenza fra una celebrazione e una commemorazione: il Primo Maggio è celebrazione del lavoro vivifico o commemorazione del lavoro mortifero? Fino a quando non avremo riposizionato il lavoro fra gli attributi della dignità umana, assoggettandogli il profitto come conseguenza anziché presupposto, temo che continueremo a infoltire la Spoon River dei caduti, vittime sacrificali di un mantra agghiacciante che accetta quei 31 morti ogni milione come dazio inevitabile per il progresso e il benessere della tribù. Costernati e talora commossi, ringraziamo chi ha dato la vita purché non si interrompesse il nastro trasportatore della grande catena di montaggio. Cantava Freddy Mercury “The show must go on”, io per parte mia correggerei: non solo lo show, anche il business. Ad ogni costo, compreso il sangue.

Sorgente: Un morto sul lavoro ogni sei ore. Ma nessuno si indigna – la Repubblica

2 commenti su “Un morto sul lavoro ogni sei ore. Ma nessuno si indigna

  1. Il governo fascista al potere smantella gli ispettorati del lavoro e delle Asl e orienta le polizie a IGNORARE LE INSICUREZZE DEI LAVORATORI E DELLA POPOLAZIONE. SI MUORE DI INCIDENTI E DI MALATTIE DOVUTE A CONTAMINAZIONI TOSSICHE! NON C’È PREVENZIONE E CONTROLLI NON C’È PROTEZIONE CONTRO I RISCHI DI INCIDENTI È MALATTIE DA CONTAMINAZIONI TOSSICHE È LE ECONOMIE SOMMERSE -KAVIRO NERO È EVASIONI FISCALI E CONTRIBUTIVE- Aumentano …