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L’interrogatorio di Joanna, la giovane mamma del neonato deceduto a bordo della Open Arms in attesa del trasferimento in ospedale, è il primo atto nel fascicolo aperto dalla Procura di Agrigento

di Alessandra Ziniti

Il primo atto all’interno del fascicolo è il verbale con il drammatico racconto di Joanna, raccolto ieri pomeriggio dagli ufficiali della capitaneria di porto di Lampedusa. Adesso c’è un’inchiesta della Procura di Agrigento sul naufragio che mercoledi ha portato alla morte del piccolo Joseph, 6 mesi, e di altre cinque persone, due donne e tre uomini, vittime dell’affondamento di un gommone spezzatosi a 31 miglia dalla costa libica di Sabratha sotto gli occhi dei soccorritori della Ong spagnola Open Arms che è riuscita a trarre in salvo 110 persone.

Naufragio migranti, la disperazione della mamma del piccolo Joseph: ”Ho perso il mio bambino”

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L’inchiesta è affidata al procuratore aggiunto Salvatore Vella e alla sostituta Sara Varazi che hanno aperto un fascicolo sulla scorta dell’ articolo 12 del testo unico sull’immigrazione, un gran calderone che mira a punire il reato di immigrazione clandestina fatto salvo il dovere di soccorso in mare. Ma l’inchiesta tende soprattutto ad accertare se, dalla segnalazione del gommone in difficoltà ai soccorsi, ci sono stati eventuali ritardi e – in caso positivo- di chi per valutare se possono esserci dei responsabili nella tragica morte del piccolo Joseph o meno.

Ieri, alla capitaneria di porto di Lampedusa, insieme a Joanna, è stata ascoltata anche un’altra giovane donna che era stata evacuata nella notte insieme a lei dalla Open Arms perchè in stato di gravidanza avanzata.

Dai registri di bordo della nave e dalle comunicazioni i pm trarranno la ricostruzione dei fatti.
Eccola: alle 7.58 di mercoledi 11 novembre la Open Arms riceve un messaggio radio da un aereo di Frontex con le coordinate di un gommone in difficoltà e risponde di essere in grado di intervenire.

Alle 9.14 Open Arms trova il gommone
Alle 9.18  da bordo parte la segnalazione alle autorità libiche, italiane, maltesi e spagnole dell’evento Sar
Alle 11 nuova segnalazione alle autorità marittime. Open Arms comunica che “si tratta di un gommone nero sgonfio con un centinaio di persone tra cui 7 donne, 3 bambini e un neonato.  Il gommone è parzialmente affondato e sta entrando acqua. Le persone sono  molto stanche, disidratate e con un principio di assideramento. Stiamo distribuendo giubbotti di salvataggio per l’evacuazione”.

Subito dopo il fondo dell’imbarcazione cede e i migranti finiscono in acqua. Iniziano le concitate operazioni di recupero con le due lance di Open Arms in mare e sei soccorritori che forsennatamente tirano su le persone.

Alle 15.26 Open Arms comunica alle autorità italiane di avere tratto in salvo dalle 100 alle 150 persone tra cui 7 donne, 4 bambini due dei quali neonati, 1 donna incinta di sette mesi e 2 persone in condizioni molto critiche, una di queste è un bambino ( è Joseph).

Alle 16.02 Open Arms chiede l’evacuazione per motivi sanitari di due bambini con la madre e di una donna incinta di 7 mesi. E chiede anche l’assegnazione di un porto di sbarco.

Alle 19.43 Open Arms effettua una terza operazione di salvataggio, dopo la prima di martedi, e salva altre 64 persone.

I soccorsi per l’evacuazione medica chiesti alle 16 non arrivano e alle 20.15 dalla nave parte una mail che comunica alla Guardia costiera di Roma che il bambino, “nonostante le necessarie manovre respiratorie e di supporto” è andato in arresto respiratorio ed è morto.

Alle 21.50, dunque quasi sei ore dopo la richiesta, arrivano i soccorsi. In aereo vengono portati d’urgenza a Malta una neonata di tre mesi, la madre e un ragazzo.
Alle 1.50 con una motovedetta arrivata da Lampedusa vengono portati sull’isola il corpicino del piccolo Joseph, la mamma e un’altra ragazza di 18 anni incinta.

La Open Arms con quasi 250 persone a bordo e con i cinque corpi dei migranti morti nel naufragio è ancora in mare in attesa dell’assegnazione di un porto sicuro.

Sorgente: Migranti, aperta un’inchiesta sulla morte del piccolo Joseph. Le 4 ore in cui il bimbo forse poteva essere salvato – la Repubblica

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