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La nostra rubrica sull’Africa affronta la questione dei flussi finanziari illeciti, uno dei motivi che contribuiscono a frenare lo sviluppo del continente secondo uno studio dell’UNCTAD. Tra i temi di oggi anche l’accordo di pace tra governo e ribelli in Sudan che, si spera, metterà fine ad anni di guerra

di Federica Iezzi

Africa

Uno studio delle Nazioni Unite ha dimostrato che l’Africa ha perso quasi 89 miliardi di dollari all’anno, equivalenti al 3,7% del Pil africano, in flussi finanziari illeciti come l’evasione fiscale e il furto, che ammontano a più di quanto riceve in aiuti allo sviluppo. La stima, nella relazione di 248 pagine della Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD), è la più completa fino ad oggi per l’Africa. Mostra una tendenza all’aumento nel tempo ed è superiore alla maggior parte delle stime precedenti.

I flussi finanziari illeciti privano l’Africa e la sua gente delle loro prospettive, minando la trasparenza e la responsabilità ed erodendo la fiducia nelle istituzioni.

Quasi la metà della cifra totale annua di 88,6 miliardi di dollari è rappresentata dall’esportazione di materie prime come oro, diamanti e platino. Ad esempio, l’oro ha rappresentato il 77% delle esportazioni totali per un valore di 40 miliardi di dollari nel 2015. Affrontare i flussi illeciti è una priorità per le Nazioni Unite, la cui Assemblea Generale ha adottato una risoluzione in merito già nel 2018.

Sudan

Il governo del Sudan e i ribelli hanno firmato un accordo di pace nel tentativo di porre fine a decenni di guerra in cui hanno perso la vita migliaia di persone.

La fine dei conflitti interni in Sudan è stata una delle massime priorità del governo di transizione al potere, a partire dalla rimozione dell’ex governatore Omar al-Bashir, risalente allo scorso anno, durante una rivolta popolare.

Ma il primo passo per trasformare le promesse sulla carta in pace è anche uno dei più esplosivi: il disarmo. Avvertendo un divario di fiducia tra gli ex ribelli e Khartoum, si teme che verranno mantenuti nascosti depositi di armi come assicurazione. Lo Small Arms Survey, un’organizzazione di ricerca con sede a Ginevra, calcola che nel 2017, erano detenute illegalmente in Sudan 2,76 milioni di armi. L’aspetto della sicurezza dell’accordo è il più complesso, entro 45 giorni verrà creato un consiglio supremo per guidare il disarmo che dovrebbe essere completato entro 39 mesi, nelle aree più critiche.

Il Fronte Rivoluzionario Sudanese (SRF), un’alleanza di gruppi ribelli delle regioni del Darfur, del Nilo Azzurro e del Kordofan meridionale, a maggioranza cristiana, ha espresso la speranza di una pace duratura.

Il Sudan è stato dilaniato da molteplici conflitti tra il governo dominato dall’Islam, guidato da al-Bashir per 30 anni, e ribelli provenienti da gruppi etnici non arabi nelle sue regioni remote. Le tensioni sono state acuite dalle difficoltà economiche, soprattutto dopo la secessione del Sud Sudan del 2011 che ha privato il nord di tre quarti delle sue riserve di petrolio.

Secondo le Nazioni Unite, la devastante guerra in Darfur del 2003 ha provocato la morte di almeno 300.000 persone e l’allontanamento di 2,5 milioni di sfollati, solo nei suoi primi anni.

Tuttavia alcuni gruppi ribelli si sono rifiutati di firmare l’accordo. Tra questi: la fazione del Movimento di Liberazione del Sudan (SLM) con sede in Darfur, guidata da Abdelwahid Nour e l’ala del Sudan People’s Liberation Movement-North (SPLM-N), con sede nel Sud Kordofan, guidata da Abdelaziz al-Hilu.

L’accordo copre una serie di questioni delicate, dalla proprietà terriera, riparazioni e risarcimenti, alla ricchezza, alla condivisione del potere e al ritorno in patria di rifugiati e sfollati interni.

Repubblica Centrafricana

Il presidente della Repubblica Centrafricana Faustin-Archange Touadera ha annunciato che parteciperà alle elezioni di dicembre nel Paese devastato da più di sette anni di guerra civile.

Touadera, 63 anni, è stato eletto nel febbraio 2016 con la maggioranza dei voti, da allora ha lottato per arginare la violenza intercomunitaria nella nazione, dove gruppi armati controllano i due terzi del territorio.

La violenza rimane radicata nella Repubblica Centrafricana nonostante un accordo di pace firmato nel febbraio 2019 tra governo e 14 gruppi armati. Nel 2013, il gruppo Seleka, una coalizione ribelle proveniente in gran parte dalla minoranza musulmana, ha rovesciato l’allora presidente François Bozizé, facendo precipitare il Paese, a maggioranza cristiana, in una spirale di violenza che ha costretto quasi un quarto dei 4,7 miliardi di cittadini a lasciare le proprie abitazioni.

Bozizé sarà il principale rivale di Touadera alle prossime elezioni.

 

Sorgente: FOCUS ON AFRICA. Furti e illeciti finanziari affondano il Pil africano

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