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Il presidente del consiglio Giuseppe Conte in Parlamento per le comunicazioni sul Mes a inizio dicembre

Meccanismo europeo di stabilità. Si è fatto terrorismo a proposito di improbabili prelievi forzosi sui conti correnti degli italiani, ma non si è mai messo in discussione l’aspetto più odioso della faccenda, ovvero che in Europa il compito spettante normalmente alla banca centrale (fungere da prestatrice di ultima istanza e garantire illimitatamente i titoli dei Paesi membri) sia stato «appaltato» – ricordiamolo, dal 2012 – ad un organismo intergovernativo, di fatto a guida tecnocratica, con la previsione di pesanti condizionalità per chi dovesse aver bisogno di accedere alle sue linee di credito

Luigi Pandolfi

Il vertice notturno tra i ministri delle Finanze dell’area euro sulla riforma del Mes non ha prodotto granché. I giochi sono ormai fatti, al massimo si potrà intervenire su qualche nota a margine del Trattato. «Non vedo spazi per modifiche all’intesa», ha sentenziato il presidente dell’Eurogruppo. Ma è questo il punto?

No: nel nostro Paese non c’è stato un dibattito serio sull’argomento, ma una gazzarra orchestrata dalle destre che ha fatto finire in un angolo le ragioni di una critica puntuale al meccanismo allestito sette anni fa per sostenere finanziariamente i Paesi della zona euro in stato di potenziale insolvenza. Da un lato la demagogia leghista e di Fratelli d’Italia, dall’altro il solito convenzionalismo del Pd. Un’altra occasione persa.

Si è fatto terrorismo a proposito di improbabili prelievi forzosi sui conti correnti degli italiani, ma non si è mai messo in discussione l’aspetto più odioso della faccenda, ovvero che in Europa il compito spettante normalmente alla banca centrale (fungere da prestatrice di ultima istanza e garantire illimitatamente i titoli dei Paesi membri) sia stato «appaltato» – ricordiamolo, dal 2012 – ad un organismo intergovernativo, di fatto a guida tecnocratica, con la previsione di pesanti condizionalità per chi dovesse aver bisogno di accedere alle sue linee di credito.

Incredibile: gli Stati membri mettono i soldi in questo salvadanaio sottraendoli ai propri bilanci – alla spesa pubblica, al welfare – e possono pure indebitarsi per onorare tale impegno, ma se hanno bisogno di assistenza devono accettare il cappio al collo di rigidi programmi di aggiustamento macroeconomico, come se avessero dinanzi a sé non un’istituzione di cui fanno parte e partecipano al capitale, ma un usuraio qualsiasi. Non è un problema che nasce oggi, c’è il caso greco che ancora grida vendetta. Atene ha preso i soldi del Fondo e con essi sono state liquidate le banche tedesche e francesi, rimanendo indebitata con le istituzioni di cui fa parte. Quindi, per una parte, anche con se stessa. Magie finanziarie.

Anche la ristrutturazione del debito era già contemplata nel Trattato istitutivo. Sempre la Grecia, ha ristrutturato il suo debito nel 2012, scambiando, per ogni 1000 Euro di valore nominale di un titolo, 315 euro di nuove obbligazioni nazionali a scadenza trentennale e 150 euro di obbligazioni del Fondo Salva stati (allora Efsf). Mille euro contro 465 euro. Niente di nuovo.

Con la riforma, oltre all’introduzione di una «garanzia comune» per le banche, il cosiddetto backstop, si interverrebbe soltanto sui criteri per l’accesso ai prestiti e sulle cosiddette «clausole di azione collettiva» (CACs). Nel primo caso, rimarrebbero le due linee di credito già previste dal Mes, quella «precauzionale» e quella «rafforzata», ma più netta si farebbe la distinzione tra Paesi con una «situazione economica e finanziaria solida» e Paesi inguaiati con un alto debito, come l’Italia. Per i primi basterebbe una semplice «lettera d’intenti», per i secondi un «memorandum d’intesa (MoU)», ovvero programmi di aggiustamento lacrime e sangue. Sulla ristrutturazione del debito – rimarrebbe comunque opzionale – si andrebbe invece ad un cambiamento dell’attuale meccanismo di voto.

In pratica, ai due voti previsti oggi (dual limb CACs), quello di tutti i detentori dei titoli e quello dei possessori delle singole emissioni, si sostituirebbe un unico voto, di tutti senza distinzioni. Cosa ha chiesto l’Italia al vertice di Bruxelles? Che, ferma restando la votazione dei creditori, nel caso di una ristrutturazione del debito il governo possa avere voce in capitolo su quali titoli ristrutturare e quali no. Non si è negoziato, però. Forse la richiesta troverà spazio nella lettera che il presidente dell’Eurogruppo, Mário Centeno, trasmetterà al neopresidente del Consiglio europeo Charles Michel, in vista del vertice dei Capi di Stato e di Governo della prossima settimana.

Pochino, a ben vedere. Anche se il tema di salvaguardare i piccoli risparmiatori in un’eventuale operazione di swap (scambio dei vecchi titoli con nuovi titoli di valore diverso, con rendimenti o scadenze diverse) non è certo un tema secondario.

Morale: tutti voglio cambiare questa Europa ma quando viene il momento prevale la sudditanza ai dogmi neoliberisti di cui le sue istituzioni sono intrise.

Sorgente: ilmanifesto.it

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