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Siamo stati molto intelligenti ma assai poco coraggiosi di noi stessi e del nostro rapporto con l’esterno. Un Paese raramente unito, quasi sempre diviso e quasi sempre affidato al comando di popoli e di individui stranieri

di Eugenio Scalfari

Vorrei fare un esame numerico e anche di sostanza morale e politica dell’attuale situazione italiana e mi permetto di cominciare con i numeri che gli studiosi di statistiche attribuiscono attualmente ai partiti esistenti nel nostro Paese. Poi tireremo in qualche modo le somme per capire chi in realtà riuscirà a governare come si deve e quale sarà il suo atteggiamento sia verso il popolo italiano sia verso quello europeo del quale facciamo parte. O almeno, dovremmo farne parte.

Il partito più numeroso è quello della Lega di Salvini il quale oscilla tra il 30 e il 32 per cento. Vicino a lui, ma comunque distinto organizzativamente ed anche con finalità che non coincidono al cento per cento con Salvini, c’è il partito Fratelli d’Italia guidato da Meloni, che le ultime stime danno all’8 per cento. Alleata di Salvini ma a determinate condizioni: vorrebbe guidare un gruppo di elettori che abbiano incarichi particolarmente interessanti.

Il Movimento-partito Cinquestelle è decisamente disceso rispetto a un paio d’anni fa: ai tempi grillini era arrivato addirittura al 32 per cento; oggi più o meno sta vicino al 20 e lo tiene con qualche difficoltà. Il Partito democratico che aveva raggiunto ai tempi di Renzi un massimo del 40 per cento crollò dopo il referendum e con la scomparsa di Renzi da leader assoluto. Con l’arrivo relativamente recente di Nicola Zingaretti, già governatore del Lazio ed ora dopo le primarie segretario del Partito democratico ha riguadagnato una certa quota: oscilla oggi tra il 19 e il 22. È il numero due dopo la Lega e con una notevole distanza da essa ma attorno al partito vero e proprio esiste una sorta di Movimento che la pensa come il partito ed è disposto a votare nello stesso modo ma senza alcun vincolo organizzativo. Quel modo quindi può cambiare rapidamente. Comunque allo stato attuale quel movimento è guidato da varie personalità politiche che in altri tempi facevano parte del Partito ma poi per una serie di questioni in gran parte di carattere politicamente privato se ne sono distaccate. Ricordo Calenda, ricordo il gruppo Bersani-Grasso e ricordo un popolo sciolto che ha come punto di riferimento i sindaci rispettivamente di Palermo, di Napoli, di Bari, di Firenze e via dicendo. In linea di massima sono di opinioni social-liberali, ma, ripeto, sono alquanto mutevoli. Se comunque ne facciamo la somma sia pure approssimativa arriviamo intorno al 15 per cento e forse anche di più. Qualora al momento opportuno questa notevole massa di elettori affiancasse, ciascuno con le proprie motivazioni, il Partito democratico, la massa complessiva di quest’ultimo potrebbe sfiorare e perfino superare il 40 per cento. Confesso che c’è dell’ottimismo in questa valutazione sia nei numeri sia nelle considerazioni, ma rientra comunque nel possibile e in certi casi perfino nel probabile.

Bisogna mettere nel conteggio anche Renzi che finora aveva fatto finta di dormire o di leggere libri di notevole cultura filosofico-politica. Azzardo la frase “faceva finta”; in realtà Renzi coltivava il proprio corpo elettorale che è alquanto numeroso perché si formò in tempi in cui il Nostro era ancora alla testa del partito. Tutte queste cose valutate, i tecnici dei sondaggi elettoralistici stimano i renziani tra il 4 e il 6 per cento. Collocarlo politicamente è molto difficile e l’abbiamo già detto e scritto infinite volte: Renzi ha come obiettivo la conquista di una leadership del tutto assoluta. In ciò ricorda molto la psicologia politica di Salvini: due leader, uno come Renzi d’orientamento di centrosinistra e uno come Salvini, uomo di destra assoluta. Solo che Salvini la sua posizione politica ce l’ha e la mantiene dall’Alpi alle Piramidi avrebbe scritto il Manzoni parlando di Napoleone. Certo tra Napoleone e Renzi esiste qualche differenza: «Due volte nella polvere, due volte sull’altar», ma questo fa parte del gioco che figure di tipo renziano possono ispirare. È un capo e tale sempre sarà; è potuto arrivare e perfino superare il 40 per cento degli elettori; adesso oscilla intorno al 5 ma la personalità è sempre la stessa; è il Paese che cambia e in questo caso per il meglio e non per il peggio.

Una parola per Berlusconi: ce l’abbiamo sul gobbo dal 1994, gli alti e i bassi si sono susseguiti dal 1994 al 2011, ma ciò detto Berlusconi esiste ancora e non è da sottovalutare. Il suo partito-movimento può essere valutato intorno al 7 per cento e forse anche qualcosa di più ma è diviso almeno in due: gli uni appoggiano l’alleanza con Salvini e gli altri la ripudiano. Berlusconi è abituato a giocare con provata capacità e quindi si appoggia a volte agli uni e a volte agli altri. Alla fine sarà a lui a decidere ma perderà un po’ di forza. Un 6 per cento resterà probabilmente nelle sue mani. Lui è vicino a Salvini, politicamente s’intende; chi conosce la sua originalità caratteriale sa che Salvini per lui è detestabile, probabilmente vorrebbe essere al suo posto. Comunque è ancora suo alleato ma ogni volta che dice questa parola aggiunge quella di europeismo che per Berlusconi è una caratteristica propria alla quale non può e non deve rinunciare, dunque filo-leghista e profondamente europeista: fa parte dei giochi della politica, ammirevoli se ben condotti.

Per terminare questo lungo elenco debbo ricordare il para-fascismo, che si veste in vario modo ed è fatto da gente anziana e giovanottelli attratti dalla parola del fascio e dalle antiche canzoni d’un tempo, ma che del fascio sanno poco o niente. Hanno un certo peso piuttosto difficile da ipotizzare ma direi non certo al di sotto del 4 per cento. Sono al tempo stesso antichissimi e modernissimi nel pensiero. Per certi aspetti Salvini li guarda con simpatia ma per altri con ribrezzo. Quei giovanotti hanno però anche una organizzazione di notevole interesse politico, che non li guida ma li ispira.

Questo è tutto per quanto riguarda le forze politiche italiane: un Paese che ha un populismo oscillatorio: i populisti sono molti, ma con chi stanno, che cosa vorrebbero, quali sono i punti ideali ai quali si rifanno e dai quali cambiano un giorno sì e un giorno no è molto difficile da valutare. La Lega di Bossi nacque antifascista, quella di Salvini le somiglia e potrebbe addirittura ottenerne il posto. Vengono dallo stesso carrozzone ma poi non si conoscono quasi più. Molti Paesi in Europa e nel mondo somigliano all’Italia con una differenza tuttavia: l’Italia è sempre stata spezzata in cento pezzi dalla fine dell’Impero romano fino a oggi. Molti Paesi hanno questa tabe ma come l’Italia forse sono piuttosto pochi.
***
Un Paese, un territorio, una storia, una fratellanza o inimicizia nei confronti dei Paesi geograficamente e storicamente ad esso vicini: ecco che cos’è l’Italia con un aspetto in più e cioè la religione cattolica, poi cristiana con molti protestanti ed infine predicata dal Pontefice attuale come sorretta, insieme all’intero Universo dal Dio Unico. Esistono in molti altri Paesi religioni totalmente diverse, a parte quelle protestanti cristiane che bene o male possono affratellarsi. I cristiani, più o meno difformi tra loro, hanno una radice e un vertice al tempo stesso comuni, ma tutto il resto dell’Universo pensa ad un aldilà difficilmente avvicinabile. Ogni Paese, ogni razza, ha il proprio e in comune c’è assai poco. E tuttavia la divinità ha qualche cosa che la rende comune: il Creatore, l’Onnipotente, l’Entità che non conosce spazio, velocità, castighi e premi: tutto appare diverso almeno nelle forme ma la vera e propria diversità è la molteplicità delle divinità che del resto conosciamo benissimo perché tale fu quella dell’ebraismo iniziale e poi quella del periodo greco e dell’Europa orientale.
Parlo della religione per comodità di linguaggio ma dovrei parlare dei Valori che guidano la vita di ciascuno di noi, che ne sia consapevole oppure no ma qui la guida fa parte della nostra natura di umani e quindi non soltanto del genere animale ma della nostra specie. Noi siamo animati dall’istinto, come tutte le razze animali, ma oltre all’istinto che anche in noi permane c’è una correzione estremamente importante che rende la nostra specie così diversa dalle altre: il sentimento che va oltre l’istinto. Lo possiamo chiamare in molti modi: sentimento letteralmente significa qualche cosa che noi sentiamo e quindi una conoscenza o un desiderio di conoscenza. Ho già scritto che si può anche chiamare Valore o Ideale, distinzione tra il bene ed il male, consapevolezza della morte e quindi importanza della vita e destinazione finale quanto dubbia: dopo la morte c’è un altro tipo di vita per la nostra singolare personalità, oppure non c’è nulla, la morte riporta a zero e lascia soltanto il ciarpame delle ossa e della carne imputridita.

Ebbene noi abbiamo come specie animalesca una storia che gli altri animali non hanno. Noi abbiamo un passato il più remoto possibile; abbiamo un presente che può durare secondo i nostri intendimenti, un anno, un mese, un giorno, un attimo. Infine abbiamo un futuro che immagina quello che può accaderci, influenzato dal passato e mutevole secondo ciò che faremo nel presente. Il futuro è in genere più importante perché condiziona la vita minuto per minuto, a presente trascorso e a passato che ci ha lasciato un’eredità di avvenimenti, belli o brutti, ricchi o poveri di memoria, di morale, di destino, di odio o di amore, di amicizia, di fratellanza, di antipatia, di solitudine. Questi sono almeno alcuni dei sentimenti che animano la nostra vita e il nostro voler bene a noi medesimi e agli altri che ci sono più vicini.

Pensavo nei giorni scorsi leggendo un mio libro da poco ristampato con il titolo “Alla ricerca della morale perduta”: un colloquio immaginario tra me giornalista di questi tempi e Voltaire da me resuscitato con quella parte della mente che è capace di interpretazione, di conoscenza della storia e di confronto tra passato e presente, in vista di quel futuro di cui abbiamo già detto. Quanto è moderno Voltaire e certo non è il solo. La modernità non copre il passato per immaginare a vuoto il futuro. La storia è uno studio che va fatto con estrema attenzione e documentazione, credo che nelle scuole moderne la storia dovrebbe avere la massima attenzione e non dovrebbe essere inventata come spesso capita, ma documentata e far parte della storia personale di ciascuno di noi. La nostra specie conosce quasi sempre i propri genitori e spesso i nonni e talvolta, ma assai di rado e sulla documentazione familiare, i trisnonni. Normalmente si ferma lì salvo le cosiddette famiglie nobili che della biografia della propria stirpe traggono una conoscenza di grande importanza. Queste sono le storie individuali ma la grande storia è quella di un passato collettivo che determina in qualche modo il carattere d’una nazione nata con la storia e dotata d’un proprio linguaggio che cambia dizione nel corso di secoli ma ne conserva la radice e la comprensione.

La storia è tanto più valida quanto più è moderna. Questo aggettivo può significare per quanto ci riguarda la storia dell’Impero romano e quella greca che lo precedette e lo condizionò, ma la storia cosiddetta moderna comincia da cinquecento anni fino ad oggi: mezzo millennio ha ancora effetti diretti sul nostro modo di essere e incide soprattutto sulla morale, sulla memoria, sui maestri che influenzarono il pensiero collettivo per la durata di almeno quattro o cinque secoli. Questo è il nostro moderno dal quale ricaviamo, per quanto riguarda in particolare l’Italia, un Paese quasi sempre diviso politicamente, militarmente, filosoficamente. Noi siamo stati un Paese collettivamente molto furbo ma molto debole nell’utilizzare quella furbizia e trasformarla in un valore. I furbi sono mezze calze, il pensiero non è furbizia ma è consapevolezza di quanto accadde, quanto sta accadendo e probabilmente quanto accadrà.

Ebbene c’è un punto che unifica questi tre tempi grammaticali: noi siamo stati molto intelligenti ma assai poco coraggiosi di noi stessi e del nostro rapporto con l’esterno. Un Paese raramente unito, quasi sempre diviso e quasi sempre affidato al comando di popoli e di individui stranieri. L’Italia viene dichiarata unita da Cavour nel 1861. Era disunita e in mani altrui pezzo contro pezzo dalla caduta dell’Impero romano a cominciare dal 400 dopo Cristo, quando i goti, gli ostrogoti, i vandali, i longobardi, e una quantità di altre razze definibili come barbariche avevano ridotto in pezzi l’Impero romano in genere e l’Italia in particolare.

Da allora non abbiamo più ritrovato l’unità e perfino nel 1861, e cioè a quasi 1400 anni dall’effettivo crollo dell’Impero, Cavour proclamò un’unità a parole ma l’unità non c’era. Abbiamo già visto all’inizio di questo articolo la natura della politica italiana attuale: Cavour sembra un antenato di migliaia di secoli lontano dal presente. Dovremmo rimodernarlo, almeno lui. Questo dovrebbe essere il valore di una forza politica attuale. Voglio ricordare per l’ennesima volta Cavour, Mazzini, Garibaldi e potrei fare molti altri nomi simili a questi e della stessa epoca risorgimentale. Ma ce li siamo scordati. Abbiamo già esaminato le forze politiche attuali. Voglio ricordare che il presidente della Repubblica italiana e non soltanto l’attuale Sergio Mattarella adempie anche lui al compito di rammentarci la storia che ci riguarda e che dovrebbe ridiventare il presente e non il pessimo futuro che la distingue. Furono molti i predecessori di Mattarella ad assumersi questo compito a cominciare da Giorgio Napolitano e da Oscar Luigi Scalfaro. Ma il loro tentativo in un Paese come il nostro ha dato ben pochi frutti. Questo comunque è il compito che riguarda una vera classe dirigente. Non possiamo che augurarcene la ricomparsa e facciamo il possibile, ciascuno di noi, affinché questo avvenga.

Sorgente: La Babele d’Italia ritrovi presto la ragione e una vera unità | Rep

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