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VENEZIA – «In archivio sono accessibili da pochi giorni i fondi che conservano le delazioni e le denunce contro gli ebrei, essendo trascorsi oramai i 70 anni richiesti per la consultazione dei dati riservati». L’annuncio è stato dato da Raffaele Santoro, direttore dell’Archivio di Stato di Venezia in un incontro al Museo ebraico, con la studiosa Nelli Vanzan Marchini, sulla figura di Giuseppe Jona, il presidente della Comunità ebraica di Venezia che si suicidò pur di non consegnare gli elenchi dei correligionari a fascisti e nazisti.«Adesso – ha continuato Santoro – potrà affiorare una parte importante della storia delle persecuzioni che fino ad ora si è dovuta limitare agli esempi positivi dei Giusti che hanno salvato gli ebrei». A Venezia la persecuzione nazifascista colpì gli ebrei come in tanti altri luoghi di Italia e d’Europa. In città, prima della guerra vivevano circa duemila persone. Tre i rastrellamenti in città, con 246 ebrei privati della libertà e tradotti nel carcere di Santa Maria Maggiore. Da qui al campo di Fossoli, prima di finire soprattutto ad Auschwitz. Di questi ne tornarono solo otto.Ora a distanza di tempo, come previsto dalla legge, sono scaduti i termini che proteggono i dati sensibili. Così, ora sono definitivamente consultabili all’archivio della Giudecca, 12 grandi buste con all’interno i fascicoli personali dei singoli ebrei con l’elenco di tutti i sequestri dei loro beni mobili ed immobili vidimati dalla prefettura di Venezia per gli anni 1944-1945.E, ancor più interessante, finalmente sono emerse all’interno dei fascicoli anche le lettere di delazione, con i nomi dei denuncianti, premiati dal regime con 1.500 lire, fino ad un massimo di 5.000 lire. «Dopo le leggi razziali del 1938 racconta Santoro – gli ebrei erano stati esclusi dalla vita civile. Nel gennaio del 1944 la persecuzione assunse aspetti duri e feroci, nessuno fu più esentato e si arrivò a togliere agli ebrei tutti i beni mobili, immobili e finanziari. Il decreto del prefetto comprendeva i nomi degli intestatari dei beni, detti burocraticamente ditte, gli elenchi di tutti i beni posseduti, e dei luoghi in cui tali beni erano situati. I decreti riguardavano Venezia e la sua provincia».I fascicoli contengono anche la cronaca delle confische alle famiglie ebraiche, con gli incaricati del prefetto che entrano nelle case, spesso vuote perché gli abitanti avvertiti in anticipo non si erano fatti trovare. Talora però sono evidenti resistenze, specie da parte delle persone più anziane, che sentivano venir meno tutta la loro vita. I nominativi dei nuclei familiari sono circa 500, con nome, cognome, oggetto del sequestro (denaro, titoli, attività ed immobili con specificato il sestiere di locazione), il numero del decreto di confisca e il numero di busta da utilizzare ai fini della richiesta di consultazione del fascicolo.Alcune famiglie sono scomparse dalla città, altre persistono, come i Ravà, i Foà, i Camerino, i Dina, i Fano, i Finzi, gli Jarach, i Levi, i Segre, i Sonino, i Sullam. Ecco alcuni esempi contenuti nell’elenco: Gabriella Guggenheim Luzzatti – beni immobili in San Marco – beni mobili: danaro – numeri decreti di confisca: 84 e 93; oppure Renzo Camerino: beni mobili – denaro e titoli – azienda: Ditta Salviati e C. dei F.lli Camerino. Commerciale e industriale vetrerie artistiche e specialità veneziane – fornace per la lavorazione vetrerie – mosaici – mobili – bronzi – marmi – etc. – Dorsoduro e San Marco.I beni venivano acquisiti da uno specifico Ente di gestione e liquidazione immobiliare Egeli; ma qualche delatore, oltre al premio in denaro, si impossessò di fatto degli immobili della famiglia denunciata; altri si arricchirono a scapito delle proprietà confiscate agli ebrei veneziani. Ora tutto questo potrà essere riportato alla luce offrendo un quadro a tutto tondo di una tragica vicenda.

Sorgente: Ecco chi tradì gli ebrei: dopo 70 anni escono i nomi e tutti i fascicoli

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