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Tutti ricordano l’11 settembre 2001 per le Torri Gemelle, ma altrettanto drammatico fu l’11 settembre del Cile, nel 1973, quando iniziò la dittatura di Pinochet.

L’11 settembre è un giorno che non rievoca soltanto l’attacco alle Torri gemelle di New York del 2001. È anche il giorno in cui avvenne il golpe in Cile, 28 anni prima, quando il popolo cileno si risvegliò sotto una cruenta dittatura militare di Pinochet, durata poi 17 anni. L’ultimo atto del primo governo socialista regolarmente eletto del Sudamerica si consumò in sole sette ore, dalle 6:30 del mattino dell’11 settembre 1973, momento in cui al presidente Salvador Allende (1908-1973), fu comunicata la sollevazione delle forze armate, alle 13:30, quando giunse l’annuncio ufficiale della sua morte.

Il colpo di stato di Pinochet. Tutto iniziò il mattino dell’11 settembre 1973, giorno in cui il Cile entrò nella sua stagione più buia. L’ordine partì all’alba: i cacciabombardieri dovevano colpire La Moneda, il palazzo presidenziale e sede del governo cileno, a Santiago. Quel giorno l’edificio si era ritrovato circondato dai carri armati del generale Augusto Pinochet (1915-2006), che pretendeva le dimissioni di Salvador Allende, il primo presidente socialista del Cile, democraticamente eletto. I militari golpisti ordinarono che il palazzo venisse evacuato entro le 11, altrimenti sarebbe stato attaccato.

Copertina del settimanale argentino Primera plana del 27 ottobre 1970, che annuncia la vittoria elettorale di Salvador Allende.
Copertina del settimanale argentino Primera plana del 27 ottobre 1970, che annuncia la vittoria elettorale di Salvador Allende. © WikiMedia

La risposta di Allende, fu trasmessa da Radio Magallanes: “Non mi dimetterò. Pagherò con la mia vita la lealtà della gente“, dichiarò il presidente asserragliato nel palazzo con elmetto in testa e un fucile kalashnikov a tracolla, regalo di Fidel Castro. Le forze di Allende resistettero fino alle 13:45, quando le unità speciali alla fine presero d’assalto il palazzo. Alle 14:00 si udì l’ultimo sparo: Allende si era dato la morte col fucile dell’amico cubano. Vedendo il corpo, il generale Palácios, uno dei leader golpisti, avvertì il quartier generale della Guarnigione di Santiago: “Missione compiuta. Moneda presa. Presidente morto“.

La risposta di Allende, fu trasmessa da Radio Magallanes: “Non mi dimetterò. Pagherò con la mia vita la lealtà della gente“, dichiarò il presidente asserragliato nel palazzo con elmetto in testa e un fucile kalashnikov a tracolla, regalo di Fidel Castro. Le forze di Allende resistettero fino alle 13:45, quando le unità speciali alla fine presero d’assalto il palazzo. Alle 14:00 si udì l’ultimo sparo: Allende si era suicidato. Vedendo il corpo, il generale Palácios, uno dei leader golpisti, avvertì il quartier generale della Guarnigione di Santiago: “Missione compiuta. Moneda presa. Presidente morto“.

Inizia la dittaura. Con queste funeste parole iniziarono 17 anni di feroce dittatura.

Per capirli, è necessario tornare agli Anni ’60, quando la Guerra fredda trasformò il Cile in una nazione polarizzata. Gruppi come il Mir (Movimento della Sinistra Rivoluzionaria) proclamarono la lotta armata per conquistare il potere. Mentre gruppi di destra come il Movimento Nazionalista Patria e Libertà predicarono l’uso della violenza contro i marxisti. La tensione aumentò con l’elezione del socialista Allende nel 1970 e la durissima crisi economica e politica che ne seguì, provocata anche da scelte economiche sbagliate.

La sistematica opposizione al suo governo paralizzò il Paese in poco più di due anni. Allende propose di indire un referendum per risolvere la disputa senza ricorrere alle armi, ma non ne ebbe il tempo: un gruppo di ufficiali stava già pianificando la sua fine. Inizialmente l’idea del colpo di Stato incontrò una certa resistenza nelle caserme. A differenza di altri Paesi della regione, le Forze Armate cilene erano sempre state fedeli alla Costituzione. A poco a poco, tuttavia, i generali favorevoli a un’azione di forza allontanarono i “deboli” e lasciarono il ministro della Difesa Carlos Prats davanti a un drammatico bivio: se non si fosse dimesso sarebbe scoppiata la guerra civile. Per proteggere la democrazia, Prats si dimise e come suo successore indicò un generale che gli era sempre stato fedele: Pinochet. Allende accettò l’avvicendamento, senza sapere che stava portando in seno al suo governo il futuro aguzzino del Cile.

L'altro 11 settembre - Allende
Francobollo commemorativo di Salvador Allende, stampato a Cuba (1983). © IgorGolvniov/ Shutterstock

Con la morte del presidente, salì al potere una giunta militare formata da Augusto Pinochet (esercito), Gustavo Leigh (aeronautica), Toribio Merino (marina) e César Mendoza (carabineiros). La giunta sospese la Costituzione, sciolse il Congresso, mise a tacere la Corte Suprema, eliminò i partiti, dichiarò lo stato d’assedio, censurò la stampa e bandì le manifestazioni sociali. Il tipico canovaccio di un golpe sudamericano.

anni di terrore. Dato che l’esercito era la più antica istituzione militare del Paese, Pinochet fu nominato capo della giunta e ricoprì l’incarico, che sarebbe stato a rotazione, per tutta la durata della dittatura, godendo del supporto di Merino e Mendoza (Leigh, contrario a questa personalizzazione del potere, sarebbe stato successivamente escluso dal gruppo). Pinochet concentrò su di sé il monopolio dell’amministrazione pubblica, dell’emanazione di leggi e del controllo delle Forze Armate. Ma, soprattutto, inaugurò un periodo di terrore.

L'altro 11 settembre - Colpo di Stato
Le prime pagine dei giornali in lingua spagnola nei giorni precedenti l’11 settembre 1973. © Dmitry Chulov / Shutterstock

Pinochet elaborò un modello di governo senza precedenti in America Latina.

Il suo obiettivo era eliminare fisicamente un’intera classe politica considerata colpevole di tutti i mali del Paese. In pratica, significava la morte di chiunque si opponesse ai quattro pilastri del suo regime: capitalismo, civiltà cristiana, scelta degli Stati Uniti come guida politica e la Dottrina della Sicurezza Nazionale (DSN), che considerava tutti i cittadini come potenziali minacce, importata dagli USA. In generale, tutte le dittature sudamericane adottarono la DSN e la applicarono in diverse modalità. Dai più blandi brasiliani ai più cruenti paraguaiani (che contarono anche sull’assistenza di nazisti come Klaus Barbie per le loro barbarie).

La dura repressione. Pinochet optò per una versione estrema della DSN. Il suo progetto mirava non solo alla caccia ai comunisti, ma a tutto ciò che era vagamente democratico. Giornalisti, avvocati, gruppi di difesa dei diritti civili erano tutti considerati “nemici interni”, assoggettati alle sentenze dei consigli di guerra appena creati. Spesso Pinochet interveniva personalmente per assicurare la morte dei suoi avversari. Nell’ottobre del 1973, incaricò il colonnello Arellano Stark di formare uno squadrone di uomini che viaggiasse per il Cile per uccidere dozzine di persone: la cosiddetta “Carovana della Morte”. L’obiettivo era quello di uccidere gli oppositori politici senza processo e diffondere il terrore tra gli ufficiali ancora fedeli alla Costituzione. Per rendere la repressione più sistematica Pinochet creò la polizia segreta Dina (Direzione di Intelligence Nazionale). Da un momento all’altro, caserme, municipi, scuole, ospedali e persino imbarcazioni vennero trasformati in centri di detenzione. Il rapporto della Commissione nazionale cilena sulla prigione politica e la tortura indica l’esistenza di 1.132 di questi luoghi.

Lo stadio nazionale, sede della Coppa del mondo del 1962, arrivò a imprigionare addirittura 7.000 persone, che dormivano per terra, senza coperte o strutture igieniche di base. La tortura era all’ordine del giorno, con elettroshock, percosse, simulazioni di fucilazioni, nudità forzata, roulette russa, asfissia, temperature estreme e privazione del sonno. Oltre alle violenze sessuali contro le donne. In totale, le vittime furono tra le 3.000 e le 5.000 persone. Mentre altri 200mila cileni dovettero percorrere la strada dell’esilio. Nonostante le proteste dei cattolici in tutta l’America Latina contro le atrocità commesse dal regime, l’anticomunismo indusse il Vaticano a tenere una posizione defilata. E quando, nel 1987, durante una delicata visita di Stato, papa Giovanni Paolo II (che pure affrontò la questione dei diritti umani) venne fotografato nell’atto di stringere la mano al dittatore, l’immagine fece scalpore e suscitò un coro di proteste in tutto il mondo.

 

In ricordo delle vittime della dittatura di Pinochet
Il Museo della Memoria e dei Diritti Umani a Santiago del Cile dedicato al ricordo delle vittime della dittatura di Pinochet, che terrorizzò il Paese dal 1973 al 1990. © Shutterstock

 

Liberismo economico. I piani economici del governo furono delineati da un gruppo di giovani conservatori diplomati all’Università Cattolica del Cile (UC) e sostenitori dell’idea di “democrazia protetta”. Furono loro che idearono la Costituzione del 1980, che conferiva più potere al presidente, e che venne approvata in un referendum con sospetti di brogli. Per guidare l’economia, Pinochet scelse un altro gruppo di giovani, i cosiddetti “Chicago Boys”, studenti laureati all’Università di Chicago e seguaci dell’economista liberista Milton Friedman. Tra questi, anche il fratello dell’ex presidente Sebastián Piñera, José, ideatore del sistema previdenziale nazionale. Un sistema totalmente privatizzato, che ha portato molti anziani sul lastrico.

Santiago del Cile, 2011. Manifestazione dei parenti degli scomparsi durante la dittatura di Pinochet che chiedono giustizia.
Santiago del Cile, 2011. Manifestazione dei parenti degli scomparsi durante la dittatura di Pinochet che chiedono giustizia. © Shutterstock

Nei primi Anni ’80, tuttavia, il regime di Pinochet iniziò a vacillare sotto le prime pressioni internazionali e interne, con scioperi in tutto il Paese. Finché, nel 1988, il dittatore accettò di mettere alla prova la tenuta del suo mandato indicendo un referendum. Era convinto di poter vincere facilmente, ma si sbagliava. Il clima era cambiato e il risultato fu un “no” al governo, con il 54% dei voti. Fu il segnale per indire libere elezioni l’anno successivo, quando il dittatore trasferì il potere al cristiano-democratico Patricio Alwyn. Ma il generale non era pronto per uscire di scena. Ancora molto influente, rimase comandante in capo delle Forze Armate fino al 1998, quando assunse il posto di senatore a vita.

La fine del regime. Data la riluttanza del governo cileno a metterlo sotto processo, sembrava che il vecchio generale avrebbe vissuto tranquillo per tutto il resto della sua vita. Per questo motivo non vide problemi nel compiere un viaggio nel Regno Unito, dove però lo raggiunse un mandato di arresto internazionale. Il giudice spagnolo Baltasar Garzón voleva l’estradizione in Spagna per processarlo.

I sostenitori di Pinochet sottolinearono come, in quanto ex-capo di Stato, il generale godeva di immunità (che tuttavia era stata negata dal Regno Unito). Oltretutto, si diceva, era un anziano che soffriva di demenza senile. Dopo 16 mesi di battaglie legali, il ministro dell’Interno britannico Jack Straw accettò di rimandare Pinochet in Cile.

Nel 2004, dopo un lungo processo, la Corte suprema cilena decise che l’ex dittatore era in condizioni psicofisiche compatibili con la sua presenza al banco degli imputati. A dicembre, il giudice Juan Guzmán lo pose agli arresti domiciliari per la scomparsa di nove attivisti dell’opposizione. All’età di 90 anni, l’ex senatore non mostrò alcun rimorso né ammise alcuna colpa. “Dio mi perdonerà se ho ecceduto in qualcosa. Ma io non credo di essere andato troppo oltre“, disse in quell’occasione. Ancora oggi, nonostante la sua morte nel 2006, il nome di Pinochet ricorre in centinaia di cause in Cile e all’estero per reati come violazioni dei diritti umani, traffico di armi ed esportazione illegale di valuta.

Sorgente: 11 settembre 1973, Cile: il colpo di Stato di Pinochet – Focus.it

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