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Balcani di nostra scarsa memoria e attenzioni solo interessate. Bombardamento del ponte ottomano di Mostar il 9 novembre 1993, diventato uno degli eventi simbolici della guerra nella ex Jugoslavia. Mentre non si placano polemiche politiche e i dubbi di sostanza sulla invenzione ad effetto sui due centri di prima accoglienza naufraghi costruiti dall’Italia in Albania.

‘Stari Most’, il Ponte Vecchio del 1557

Il 9 novembre del 1993 un bombardamento mirato delle forze croato-bosniache riuscì ad abbattere il ponte di Mostar, la città nel sud della Bosnia ed Erzegovina condivisa tra la popolazione slava musulmana e quella croato cattolica. Il suo crollo divenne uno dei simboli, tra i più feroci, della guerra di spartizione della vecchia Jugoslavia combattuta in Bosnia ed Erzegovina. Prima fu Vukovar, e dopo Mostar e Sarajevo, le bombe Nato sulla piccola Jugoslavia di Milosevic, ‘guerra umanitaria’ per il Kosovo serbo di popolazione albanese.

Le sponde fronti della Neretva

Nel 1993 la città di Mostar era divisa tra le forze croato-bosniache militarizzate nella ‘Herceg-Bosna’, un frammento di Stato auto proclamato, che occupavano la parte occidentale della città, e l’esercito della Repubblica di Bosnia ed Erzegovina, a est, dove abitavano i musulmani bosniaci, poi diventati ‘bosgnacchi’, nel nome delle antiche popolazioni originarie dell’area, quando non esistevano né cristiani né musulmani. Le due metà della città, pulizia etnicha e bombardamenti mirati a sventrare le case abitate dalla comunità sbagliata, divise dal fiume Neretva che scorre in una gola profonda, ma unite fin dal 1557 dal Most, diventato ‘Stari Most’ il ponte vecchio costruito con 456 blocchi di pietra bianca dall’architetto ottomano Hajrudin Mimar. I combattimenti proseguivano da settimane e sei ponti su sette nell’area di Mostar erano già stati distrutti.

Le bombe cristiane

Quella fine 1993, le forze croate provavano a spingere la popolazione musulmana verso la parte orientale della città, dove volevano confinarla. E alla 10:15 della mattina del 9 novembre, dopo due giorni di bombardamenti, anche lo Stari Most fu distrutto. L’artiglieria croato-bosniaca che distrusse il ponte era comandata da Slobodan Praljak, un croato che non era riuscito a intraprendere l’agognata carriera di regista teatrale per la guerra, ed era diventato un comandante delle milizie. Truce colpo di teatro la distruzione del ponte, di scarsa utilità utilità dal punto di vista strategico e militare, dato che le due aree connesse dal ponte erano abitate da musulmani e che il ponte era solo pedonale, ma l’effetto psicologico sulla popolazione bosgnacca di Mostar fu enorme. E lo sdegno nel mondo.

Criminali di guerra

Nell’aprile del 2004 Praljak e altri cinque comandanti croati a Mostar vennero estradati al tribunale per l’ex Jugoslavia dell’Aja, dove vennero accusati di crimini di guerra, e poi condannati. Nello stesso anno un nuovo ponte costruito con la stessa pietra e lo stesso disegno fu inaugurato ed è oggi un patrimonio dell’umanità dell’UNESCO. La città, che ha circa 100 mila abitanti, resta però profondamente divisa dal punto di vista etnico e religioso.

 

Balcani più a sud, Albania e migranti

Alle critiche delle opposizioni per il discusso accordo sui migranti con l’Albania si aggiungono le osservazioni del presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi. «Ci si chiede perché non venga sistemata meglio l’accoglienza qui – ha aggiunto l’arcivescovo di Bologna a margine della presentazione Rapporto Italiani nel Mondo 2023 della Fondazione Migrantes -. Ciò che sicuramente è importante è avere un sistema di accoglienza che dia sicurezze a tutti, sia a chi accoglie che a chi è accolto».

Maggioranza a schiera

Ma la maggioranza fa quadrato attorno alla premier, col ministro degli esteri Tajani a Tichio per l’inutile G7 sulla crisi mediorientale che sostiene sia «Un accordo scritto nel pieno rispetto delle norme comunitarie e credo che sia una scelta positiva, anche perché l’Albania è un paese candidato» all’ingresso nell’Unione», ha concluso. L’Albania assieme al Kosvo, alla Macedonia del Nord, alla Serbia, alla Moldavia, ma di lontane probabilità di ammissione.

Picca e ripicca, il socialista Rama

Il Pd, decisamente contrario all’operazione definita sbagliata e comunque di pura immagine, è pronto a chiedere l’espulsione dal Partito socialista europeo del creativo premier albanese e del suo Pssh, il partito socialista schipetaro, d’Albania. Secondo il Pd, «l’accordo viola il diritto internazionale ed anche i valori della famiglia socialista».

Intanto l’inossidabile leader dell’opposizione di destra albanese, l’ormai ultra ottantenne Sali Barisha minaccia di far scendere la popolazione in piazza per protestare contro quella che definisce una nuova occupazione italiana dell’Albania. E chi ha memoria lunga pensa a quanto facilmente infiammabili siano gli animi in quelle terre.

Sorgente: Balcani dei Poca memoria, ponte di Mostar 30 anni fa, Albania e naufraghi export –

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