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Riflessioni propedeutiche ad un appello della diplomazia popolare di base

(work in progress di Alfonso Navarra)

Si fanno ma non si dicono. Prende corpo adesso la possibilità di trattative diplomatiche sulla guerra in Ucraina.

Non si tratta solo di iniziative in ambito BICSI (Brasile, India, Cina, Sudafrica, Indonesia), con la Cina in prima fila per attivismo.

Non si tratta solo del Vaticano, che si sta muovendo per “creare un clima favorevole ai negoziati”.

Ma anche da parte di chi pompa, dietro le quinte, la “resistenza ucraina”, cioè degli USA, si pensa che tirare un po’ il freno a mano della guerra non faccia affatto male.

Nell’immediato sembra che lo scontro militare avrà una impennata non arrestabile.

I due contendenti sul campo di battaglia, da una parte la Russia invasora, dall’altra l’Ucraina invasa, hanno bisogno di sbandierare una vittoria militare.

Potrebbero già farlo, stando alle retoriche ufficiali adottate, ma si vede che leaders come Putin e Zelenky devono agitare qualcosa di più sostanzioso agli occhi delle rispettive opinioni pubbliche.

Quindi si aspettano gli esisti della cosiddetta controffensiva ucraina, che purtroppo farà da ago della bilancia, a prezzo di ulteriori vittime umane e distruzioni.

Il tentativo dell’esercito di Kiev, a parole, sarà quello di riprendersi, grazie ai Leopard e ai missili della NATO, oltre il Donbass, la stessa Crimea.

Nei fatti, potrebbe accontentarsi di recuperare parte del Sud con l’accesso al mare di Azov isolando la Crimea: questo servirebbe a imporre la pace “giusta”, la pace che umilia la Russia, la pace “occidentale”.

L’esercito di Mosca, invece, al momento si accontenterebbe di completare e consolidare la conquista del Donbass, come affermato da Putin nel discorso alla parata del 9 maggio, il 78esismo anniversario della conclusione della “Grande guerra patriottica” (la Seconda guerra mondiale).

La Cina, che sta dietro la Russia, e gli USA, che stanno dietro l’Ucraina (con la NATO accodata), al momento non premono sui loro “protetti” perché smettano le ostilità. Pensano ambedue che un po’ di continuazione controllata della guerra faccia il loro interesse.

Non è ancora chiaro che la Russia sta in piedi grazie all’appoggio della Cina, ma diventerà sempre più evidente. Non è un sostegno militare, ma economico, ed è un aiuto che, in un certo senso, funziona come la corda che regge l’impiccato: l’effetto finale sarà quello di rendere la Russia paese vassallo e satellite della Cina. Un segnale molto importante in questo senso è stato il vertice dei “Paesi stan” dell’Asia Centrale (ex URSS) in cui Xi ha escluso Putin.

Al Dragone una guerra che vivacchia, e comunque uno “scenario alla coreana”, lascerebbe una ferita nel cuore dell’Europa distraendo risorse ed energie al Pacifico, l’area veramente decisiva nel XXI Secolo.

La prosecuzione controllata della guerra quindi giova alla Cina, che – indebolendo USA e UE – deve però evitare di esporsi militarmente perché deve mantenere il più possibile gli scambi commerciali con l’Occidente (anche se la rivendicazione con scadenza su Taiwan le sta complicando la vita).

Giova anche agli USA, perché rilanciano la NATO (che “tiene gli americani sopra l’Europa e i tedeschi sotto”), ma devono anche stare attenti a non rompere la corda con una opinione pubblica interna non proprio entusiasta.

Per Joe Biden presentarsi alle presidenziali del 2024 contro Trump (o chi per lui tra i repubblicani: ad es. Ron De Santis) con la guerra in Ucraina impantanata sarebbe uno svantaggio notevole. Gli uomini della strada che assistono attoniti al rischio default non si capacitano del perché bisogna buttare tanti soldi per “una lontana disputa di confine”.

E questo è tanto più vero per le opinioni pubbliche europee, con la italiana più malpancista delle altre. I governi di Francia, Germania e Italia non sanno per quanto tempo potranno tenere a bada i loro elettori sul costoso impegno per Kiev. Gli USA e i loro soci subalterni non hanno risorse politiche, finanziarie e militari infinite…

Nel quadro che abbiamo tratteggiato, due macchine diplomatiche si stanno mettendo in moto. Da una parte la Cina traina il Sud globale (il BICSI) con una iniziativa che può sommarsi con quella del Vaticano.

Dall’altra, per non apparire guerrafondaio, l’Occidente cerca di rimodulare la retorica del burattino Zelensky. Al G7 di Hiroshima è stata sdoganata l’idea di convocare a luglio un “vertice di pace” in Ucraina senza la Russia. Si cercherebbe di fare pressing sui Paesi non allineati dentro l’ONU promuovendo la centralità del piano ucraino in dieci punti, ma “annacquato” in modo che possa risultare più accettabile per il “Global South”. Un piano, insomma, che esalti il principio della sovranità e integrità territoriale dell’Ucraina ma che lasci in qualche modo una porta aperta ad una Crimea che resti russa.

In parallelo, l’Occidente indorerebbe l’amaro calice di Sebastopoli offrendo “forti garanzie di sicurezza” a Kiev: non l’ingresso diretto dell’Ucraina nella NATO ma la creazione, al vertice in luglio dell’Alleanza atlantica di Vilnius, di un Consiglio NATO-Ucraina. L’idea è quella di superarmare Kiev con armi tecnologicamente all’avanguardia, ben oltre i mezzi di serie B che ora le vengono riservati (in buona parte oggi fondi di magazzino, anche se della categoria delle armi pesanti). Verrebbero poi aperte le porte della UE (una corsia preferenziale per l’adesione) come garanzia politica contro eventuali colpi di coda del Cremlino.

(Qui però si affaccerebbe il problema: che fine può fare una Europa a 35 perché l’ingresso dell’Ucraina si trascinerebbe i Balcani, cui non si potrebbe dire di no?).

Torniamo alla iniziativa principalmente della Cima. La prospettiva è quella di far tacere subito le armi ed un passaggio sarebbe l’approvazione di un documento al Palazzo di Vetro in settembre: un cessate il fuoco immediato con il congelamento delle forze militari sul terreno (è smentito il riconoscimento dell’annessione russa del Donbass).

Bisognerebbe fare in modo, come individua l’importante economista “verde” Jeffrey Sachs (consulente del Papa), che il marchio cinese sull’iniziativa non fosse troppo sottolineato: il marchio promotore dovrebbe essere quello dei grandi Paesi neutrali che già oggi catalizzano la maggioranza della popolazione e della ricchezza del Pianeta.

Una aggiunta interessante all’idea potrebbe essere la proposta, cui potrebbe aggiungersi Michele Santoro e Servizio Pubblico, ripresa dai Disarmisti esigenti alla Costituente della Terra di Ferrajoli: una sessione permanente dell’Assemblea dell’ONU, convocata dal segretario generale Guterres, sentiti i BICSI citati, per dare vita ad un confronto per la pace in cui la comunità mondiale e tutti gli Stati, grandi e piccoli, possano assumersi la loro responsabilità.

La sessione pubblica e permanente, con la parola accordata anche alla società civile internazionale, ad esempio quella premiata con il Nobel per il ruolo avuto nel Trattato di proibizione delle armi nucleari, varrebbe a segnalare la gravità dei pericoli che incombono sull’umanità e a impegnare tutti gli Stati del mondo a prendere sul serio il principio della pace stabilito dallo Statuto dell’istituzione della quale sono membri: la cultura della cooperazione deve subentrare alla cultura del nemico!

Lo abbiamo scritto nella lettera che abbiamo già indirizzato all’ONU, alla UE, e 15 Capi di Stato: “Chiediamo a tutti Voi di rispettare la preminenza del diritto alla vita – ed alla pace – delle persone e dei popoli e quindi di adoperarvi con tutte le vostre forze e possibilità per riprendere le iniziative diplomatiche volte all’apertura di un dialogo tra TUTTE le parti coinvolte, affinché vengano avviati dei negoziati che possano portare rapidamente ad un armistizio tra Russia e Ucraina e successivamente a delle costruttive trattative internazionali per arrivare ad una Pace durevole e condivisa”.

 

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