Huw Pill ha pronunciato questa frase in un podcast della Columbia University e immediatamente si è scatenato un putiferio. Eppure non si tratta di una gaffe
Antonello Guerrera
Inflazione ai massimi
Eppure, quella di Pill non è una gaffe o un commento scappato per caso. Da mesi la linea della Banca d’Inghilterra è una: i lavoratori devono accettare stipendi più bassi per limitare la corsa e i danni dell’inflazione, che nel Regno Unito è ancora sopra il 10% e per i prodotti alimentari sfiora addirittura il 20 (19,2%), ai massimi da 45 anni. Lo aveva detto, qualche settimana fa, il governatore di Bank of England, Andrew Bailey e lo ha ribadito ieri Pill: “Chiedere continuamente di adeguare i salari all’inflazione aumenterà soltanto l’agonia dei prezzi, bisogna accettare di guadagnare di meno ed essere più poveri”.
Il capo economista argomenta così: “Adeguare gli stipendi al costo della vita crescente, in un contesto del genere, alimenta la spirale dell’inflazione. Se continuiamo con questo gioco dello “scaribarile” tra aziende e lavoratori, torneremo molto più lentamente alla normalità e l’inflazione farà sempre più danni alle famiglie britanniche. Purtroppo”, ha continuato Pill, “dobbiamo accettare un fatto: noi importiamo il 40% di gas naturale dall’estero, la cui quotazione è schizzata negli ultimi mesi, mentre esportiamo soprattutto servizi, che invece non hanno visto incrementi cosi alti. È matematica: non possiamo ignorare tutto questo”.
Uno scenario preoccupante
Ma i prezzi, soprattutto quelli di frutta, verdura e carne, potrebbero salire ancora di più per i britannici nei prossimi mesi, in questo caso direttamente a causa della Brexit. Perché, da ottobre 2023, finalmente il governo di Rishi Sunak implementerà i pieni controlli post Brexit alla frontiera, per tutti gli alimenti che arrivano dalla Ue. Sinora, a differenza dell’Europa nei confronti della merce dal Regno Unito, Londra ha desistito e ha lasciato frontiere libere a frutta, verdura e carne come se appartenesse ancora al mercato unico Ue, principalmente per due motivi: non c’erano le risorse doganali per metterli a punto e per evitare ulteriori contraccolpi all’economia menomata dal Covid e dalla Brexit stessa.
Ora, però, la realtà chiama. Quindi il Regno Unito completerà il distacco dell’addio alla Ue anche per quanto riguarda i controlli doganali in entrata. Ma aziende e associazioni della catena di distribuzione alimentare britannica sono già fortemente preoccupate: Londra importa oltre il 30% di frutta e verdura dalla Ue. Secondo “Politico”, i costi dei nuovi controlli degli alimenti dall’Europa ammonteranno a supplementari 400 milioni di sterline (oltre 450 milioni di euro), con fino a 50 euro di tasse in più per ogni spedizione.
(ansa)
Costi che non solo contribuirebbero a gonfiare ancor di più la già alta inflazione, ma che ovviamente andrebbero a ricadere su distributori, venditori e soprattutto consumatori. Tornano alla mente le controverse parole della ministra dell’ambiente e dell’alimentazione, Thérèse Coffey, che in occasione della recente carenza di frutta e verdura nei supermercati inglesi invitò i cittadini a mangiare “più ortaggi locali, come le rape”.
Se non bastasse, oggi sono arrivati dati inquietanti sulla povertà nel Regno Unito. Tra aprile 2022 e marzo 2023, le banche del cibo hanno distribuito circa 3 milioni di pacchi di alimenti per i poveri oltremanica, per un aumento del 37% rispetto all’anno precedente: il doppio rispetto a cinque anni fa. Record negativo anche per i pacchi consegnati a bambini poveri: 1,14 milioni, rispetto agli 836mila del periodo precedente. Una situazione preoccupante come una “pentola a pressione”, secondo la ong Trussell Trust.
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