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Questo é l’articolo pubblicato in data 2 marzo 2000 da Repubblica dal titolo:

 

“PINOCHET, NO ALL’ESTRADIZIONE, É GIÁ IN VOLO PER IL CILE”

LONDRA – La vicenda giudiziaria di Augusto Pinochet si è conclusa: Jack Straw, il ministro degli Interni britannico, ha deciso per il no all’estradizione. E il dittatore è decollato sull’aereo che lo riporterà in Cile. No, dunque, alle richieste della Spagna che lo voleva giudicare, ma anche a quelle di Svizzera, Francia e Belgio che ne avevano sollecitato l’estradizione.

Il giudice spagnolo Baltasar Garzon aveva inviato questa mattina un fax alla Procura di Londra per un ricorso contro la decisione di Straw ma senza l’appoggio del governo spagnolo che si è dichiarato rispettoso del verdetto di Londra.

Un nuovo ricorso comunque sarebbe servito solo a rallentare i tempi del rimpatrio. Perché la triplice perizia medica effettuata su Pinochet il 5 gennaio scorso ha rivelato che il senatore a vita soffre di affezioni pisco-fisiche molto gravi (dal diabete al morbo di Parkinson, dalla gotta a lesioni cerebrali e vascolari). Ed era impensabile che venisse messo in carcere.

Intanto l’aereo cileno che dal 29 gennaio aspettava Pinochet nella base militare di Brize Norton per riportarlo a casa si era spostato in una base più vicina a Londra, decollando questa mattina, tre ore prima che il ministro dell’Interno si pronunciasse. I sostenitori di Pinochet poi hanno fatto in modo di portarlo fuori dal paese il prima possibile. Prima delle reazioni degli oppositori, che da stamattina circondavano la casa di Wentworth dove l’anziano ex dittatore era agli arresti domiciliari. E prima che aprisse la Corte che doveva ricevere il ricorso di Garzon.

Intanto in Cile i sostenitori dell’ex dittatore, riuniti in una veglia a Santiago, hanno salutato con un’esplosione di gioia la decisione del ministro dell’Interno britannico. “Giustizia è fatta”, ha detto il generale Luis Cortes Villa, presidente della fondazione Pinochet. Quando la televisione ha trasmesso la decisione di Londra, bottiglie di champagne sono state stappate e bandiere sventolate.

(2 marzo 2000)

Questo é l’articolo pubblicato stamane da Il Manifesto dal titolo:

UN VERGOGNOSO FINALE DI PARTITA

Stati Uniti. Quando è arrivata la temuta notizia della firma per mano dell’ultraconservatrice ministra degli interni britannica Priti Patel in calce all’atto di estradizione di Julian Assange negli Stati uniti la rabbia si è unita subito all’angoscia

Ne va della vita di una persona, in ballo dal 2009 con la giustizia per accuse che – se mai- dovrebbero essere la base di un premio Pulitzer, avendo rotto il muro di silenzio che aveva sotterrato i crimini di guerra in Iraq e in Afghanistan. Sì, proprio quelli perpetrati dalla parte del mondo che suppone di esportare la democrazia, violandola spesso e volentieri.

Assange è a rischio suicidario, come ha sottolineato la competente perizia medica che ne ha evidenziato la pericolosa sintomatologia. Del resto, il trattamento riservato al fondatore di WikiLeaks dall’11 aprile del 2019 ospite del carcere speciale di Belmarsh di Londra è stato chiaramente definito dal relatore generale dell’Onu come una vera e propria tortura. Non a caso la prigione è soprannominata la Guantanamo inglese e lì vengono reclusi coloro che passano per essere i peggiori criminali. Dopo il lungo faticoso soggiorno iniziato nel 2012 nell’ambasciata dell’Ecuador nel regno unito, si dischiusero le porte dell’orribile penitenziario. Lì, poi, nelle annesse aule del tribunale, si sono consumati i gradi di giudizio che hanno avuto il suggello della ministra nota per la crudele idea di mandare i migranti in Ruanda.

Curiosa la giurisdizione d’oltre Manica, che pure passa per una delle fonti storiche del pensiero liberale: la conclusione del procedimento è a cura del governo.
L’estradizione americana significa una probabile condanna del giornalista australiano, in un tribunale della Virginia – non insensibile alla ben nota Central Intelligence Agency (Cia) – dove pende l’accusa di spionaggio. Per non dover fare i conti con il primo emendamento della costituzione di Washington con la sacralità da esso attribuita al diritto di cronaca, e a differenza del caso omologo dei Pentagon Papers (le 7.000 pagine fatte arrivare da Daniel Ellsberg allora analista militar, al New York Times e al Washington Post), oggi l’accusa si basa sull’Espionage Act del 1917. Peccato che le notizie raccolte da WikiLeaks siano state utilizzate da molti importanti quotidiani, che ora si voltano dall’altra parte.

Julian Assange è il perfetto capro espiatorio, utile a buttare benzina sul fuoco bellicista e aggressivo in atto, a siglare ulteriormente la subalternità britannica verso l’imperialismo maggiore, a dare un pesante ammonimento al giornalismo. Colpirne uno per educarne cento, diceva il motto. Infatti, l’eventuale condanna farà giurisprudenza e coloro che eludono, rimuovono o non vogliono vedere magari saranno le prossime vittime.

Lo strisciante autoritarismo, fondato sulla riduzione della rappresentanza e sul ridimensionamento dell’indipendenza di chi svela gli arcani del potere, sta facendo le prove generali. Il linguaggio della guerra pare entrato nella comune sintassi e la verità esiste a corrente alternata. Se, poi, si ficca il naso sui retroscena dei conflitti, arriva la punizione.

Il padre di Assange ha invitato alla mobilitazione mondiale. Come ha ragione. Il nuovo primo ministro australiano Anthony Albanese aveva annunciato fuochi d’artificio quando era all’opposizione. Si è già rimangiato tutto? E Jean-Luc Mélenchon, in corsa per i ballottaggi francesi, ha sottolineato un impegno fortissimo se vincerà. La commissaria per i dritti umani del consiglio d’Europa si era pronunciata nettamente.

Dunque, la lotta continua. Come ha reso noto il collegio di difesa guidato dalla consorte di Assange Stella Morris verrà inoltrato ricorso contro la decisione della ministra inglese e vi sarà certamente un’iniziativa rivolta alla corte per i diritti dell’uomo di Strasburgo.
Ma è fondamentale che i mezzi di informazione parlino finalmente del pericolo che corrono essi stessi. A questo punto, se non si racconta ciò che sta accadendo, si finisce con l’essere complici di un misfatto.

Sono giornate, queste, che verranno ricordate. Un altro caso Dreyfus è alle viste. Ma a poco servirà se la storia darà ragione tra qualche anno a un coraggioso giornalista adesso vicino alla condanna a morte.
La questione si pone con drammatica urgenza. Piovono appelli e si stanno organizzando sit in e manifestazioni. Ha fatto sentire la sua voce anche l’organizzazione internazionale dei giornalisti, recentemente a congresso in Oman.

Presso la federazione nazionale della stampa si terrà una conferenza il prossimo martedì 21 giugno in collegamento con il premio Nobel per la pace Pérez Esquivel, autore di uno dei più prestigiosi tra i documenti contro l’estradizione.
Qualche fermento si coglie davanti all’enormità della slavina che scende veloce verso l’incosciente cittadella dell’ovest.

 

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Questa é la giustizia, la giustizia dei due pesi e delle due misure: purtroppo, a parte le molte manifestazioni spontanee di cittadini orrorizzati dai fatti, non abbiamo visto alcuna presa di posizione politica da parte di alcun governo occidentale,  nessuna opinione a favore di Assange da parte delle testate giornalistiche allineate, solo parole, tantissime parole, ma nella piú. Probabilmente ci meritiamo un Pinochet e non Julian Assange.

Sorgente: NuovaResistenza.org

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