0 7 minuti 2 anni

Le interruzioni di gravidanza sono in calo costante. Ma resta il problema dell’altissima percentuale dei medici obiettori di coscienza. Così per le donne questa scelta sofferta significa spesso cambiare regione. O, addirittura, espatriare. La fotografia in chiaroscuro di una conquista sofferta da parte della società civile 44 anni dopo l’approvazione della 194

Quando parliamo di diritto all’aborto in Italia, parliamo della legge 194, entrata in vigore il 22 maggio del 1978 per consentire alle donne di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg, in sigla) in una struttura pubblica nei primi 90 giorni di gestazione (oltre questo termine vi si può ricorrere, ma solo per ragioni terapeutiche).

 

 

Gli ostacoli alla legge

Ma 44 anni dopo la sua adozione, il pieno accesso all’interruzione volontaria di gravidanza come prevista dalla legge resta ancora da garantire. Perché spesso abortire vuol dire trovarsi davanti a medici o a strutture che respingono le donne che non vogliono portare a termine una gravidanza indesiderata, vuol dire essere sottoposte a una pressione psicologica non da tutte sostenibile, vuol dire dover migrare da una regione all’altra o, addirittura, espatriare.

 

 

Il numero di aborti in Italia

L’ultima fotografia sul diritto all’Ivg in Italia l’ha scatta il ministero della Salute, nella relazione presentata al Parlamento a inizio giugno che si riferisce al 2020: in tutto sono state 66.413 le Ivg, il 9,3% in meno rispetto al 2019. Tra le ragioni del calo costante degli ultimi anni la relazione ministeriale ipotizza anche in parte “l’aumento delle vendite dei contraccettivi di emergenza a seguito delle tre determine Aifa che hanno eliminato l’obbligo di prescrizione medica per l’Ulipristal acetato, noto come ‘pillola dei 5 giorni dopo’ e per il Levonorgestrel, noto come ‘pillola del giorno dopo’ per le donne maggiorenni. La terza determina Aifa ha eliminato l’obbligo di prescrizione per l’Ulipristal acetato anche per le minorenni”.

 

 

Gli obiettori di coscienza

I numeri del ministero parlano anche di un calo degi obiettori di coscienza che sono stati nel 2020 il 64,6% contro il 67% del 2019 solo tra i medici. Percentuali comunque altissime – 2 ginecologi su 3 e quasi 1 anestesista su 2 -, come affermato dallo stesso ministro Roberto Speranza e su cui è battaglia. Un mese fa Chiara Lalli e Sonia Montegiove hanno presentato per l’Associazione Luca Coscioni una indagine dal titolo “Mai dati” che analizza, sul territorio, lo stato di salute della 194 a oggi e trae dati ben più allarmanti, struttura per struttura, rispetto a quelli chiusi e aggregati per Regione del ministero.

Secondo Lalli e Montegiove, tra le oltre 180 strutture che hanno fornito informazioni, ci sono 22 ospedali e 4 consultori in cui tutto il personale – tra ginoìecologici, anestesisti, infermieri e Oss – è obiettore. In altri 18 ospedali c’è il 100% di medici obiettori. Altri 72 ospedali hanno un percentuale di obiettori di coscienza tra l’80 e il 100%. E 46 strutture che hanno una percentuale di obiettori superiore all’80%.

Una delle ragioni per cui i numeri non combaciano con quelli del ministero per Lalli e Montegiove sta nel fatto che “ci sono non-obiettori che lavorano in ospedali in cui non esiste il servizio Ivg e quindi è sì vero che potrebbero eseguire aborti ma non ne eseguono affatto per carenze del servizio”. Dunque “la percentuale nazionale di ginecologi non-obiettori di coscienza deve essere, nella pratica, ulteriormente ridotta”.

 

 

Le Regioni con più obiettori

Sempre secondo l’indagine di Lalli e Montegiove, sono 11 le regioni in cui c’è almeno un ospedale con il 100% di obiettori e sono Abruzzo, Basilicata, Campania, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Umbria, Veneto. In Molise più del 94% dei ginecologi sarebbe obiettore. Le Regioni più inadempienti sono la Sardegna e la Sicilia, con più dell’80% di mancata risposta all’accesso civico generalizzato. Ad Andria (Puglia) sono obiettori al 100% sia i ginecologi sia il personale non medico. Nel Polo ospedaliero di Francavilla Fontana (Puglia), più del 90% di medici ginecologi, gli anestesisti e gli infermieri sono obiettori. Eppure, l’organizzazione dei servizi Ivg dovrebbe essere tale “che vi sia un numero di figure professionali sufficiente da garantire alle donne la possibilità di accedere all’interruzione volontaria di gravidanza, come indicato nell’articolo 9 della legge n. 194/78. E questo dovrebbe essere garantito dalle Regioni”, ha scritto nelle conclusioni alla Relazione il ministro Speranza.

 

 

Il boom della pillola Ru486

Ora in Italia oltre un terzo delle interruzioni volontarie di gravidanza avvengono con la pillola abortiva, il cui utilizzo ha avuto una crescita mai registrata nel nostro Paese. La Ru486 è stata introdotta nel lontano 2005 ma inizialmente il suo utilizzo è stato molto travagliato. I detrattori sostenevano che rendesse l’interruzione di gravidanza tropo “semplice” e che avrebbe dunque portato a un aumento incontrollato degli aborti. La realtà ha dimostrato che l’uso sempre più crescente della pillola è in realtà andato di pari passo con una diminuzione delle interruzioni di gravidanza.

Adesso il 36,5% di tutti gli aborti è farmacologico, fatto associando il mifepristone (cioè la Ru486) e le prostaglandine. In Piemonte, Emilia, Liguria e Basilicata l’interruzione con i due farmaci assieme è prevalente, oltre la soglia del 50%. Probabilmente l’impennata nell’uso della pillola è anche conseguenza della pandemia in cui gli interventi chirurgici sono diminuiti. I numeri più bassi sono invece in Veneto e in Sicilia.

(guarda il video ” Giorgia Soleri: “I diritti non sono concessioni, il mio aborto a 21 anni un’umiliazione” cliccando il link sotto riportato)

Sorgente: Aborto in Italia: a che punto siamo dopo la legge 194 – la Repubblica

Please follow and like us:
0
fb-share-icon0
Tweet 20
Pin Share20