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Il partito Fratelli d’Italia si è opposto in blocco all’iniziativa per combattere il gender gap. Ma la proposta ha ottenuto l’ok dell’Aula

L’Ue chiede alle aziende dei Paesi membri trasparenza e standard comuni in materia di equità salariale per permettere ai lavoratori, o meglio, alle lavoratrici, di far valere il proprio diritto alla parità di stipendio. L’Eurocamera ha dato via, con 403 voti favorevoli, 166 contrari e 58 astensioni, ai negoziati con i governi Ue sulla direttiva sulla trasparenza delle retribuzioni che potranno cominciare presto, dato che il Consiglio ha già approvato la sua posizione comune nel dicembre scorso.

Fratelli d’Italia, la cui delegazione al Parlamento europeo è composta interamente da uomini, ha votato in blocco contro la direttiva. In una nota Daniela Rondinelli, europarlamentare del Movimento 5 Stelle ha definito la posizione del partito di Giorgia Meloni “grave e vergognosa“ ritenendo che “per Fratelli d’Italia i diritti delle donne sono carta straccia”.

I critici della proposta la ritengono “pericolosa” per le aziende e un “inutile peso per la burocrazia”. Le ragioni della parte dell’’Aula contraria emerge chiaramente dalle parole di Sara Skyttedal, eurodeputata svedese del Ppe (gruppo che in questa votazione si è spaccato) che ha accusato i colleghi di non “conoscere i dettagli della questione” perché se “avessero letto la proposta” non avrebbero mai votato a favore. La parlamentare ha affermato parlando ai colleghi, riuniti a Strasburgo per la settimana della plenaria, che nel momento in cui la regolamentazione entrerà in vigore ci saranno “imprenditori che verranno denunciati per discriminazione retributiva anche se la donna che denuncia non ha neanche colleghi uomini nello stesso settore”, e che le aziende saranno costrette a “pagare sanzioni” e “verranno marchiate come discriminanti perché c’erano uomini in altri settori con altre posizioni che ricevevano stipendi più alti”.

I parlamentari chiedono che le aziende dell’Ue con almeno 50 dipendenti (invece di 250 come inizialmente proposto dalla Commissione) siano completamente trasparenti riguardo ai loro salari e divulghino regolarmente (con cadenze che variano sulla base della grandezza della società) informazioni che rendano più facile per chi lavora per lo stesso datore di lavoro confrontare gli stipendi ed esporre qualsiasi divario retributivo di genere esistente all’interno dell’organizzazione. Se la relazione sulla retribuzione mostra un divario salariale di genere di almeno il 2,5 per cento (contro il 5 per cento della proposta iniziale), gli Stati membri dovrebbero garantire che i datori di lavoro, in collaborazione con i loro rappresentanti dei lavoratori, conducano una valutazione salariale comune e sviluppino un piano d’azione di genere.

Gli strumenti per valutare e confrontare i livelli salariali dovrebbero essere basati su criteri neutrali rispetto al genere quali competenze, sforzo, responsabilità e condizioni di lavoro. La fissazione di questi criteri, che dovrà avvenire a livello nazionale, servirà da base di confronto ai lavoratori per comprendere se sono trattati o meno in modo equo. Inoltre, i deputati chiedono alla Commissione di creare una denominazione ufficiale per le aziende che non presentano un divario retributivo di genere.

Il principio della parità di retribuzione è sancito dall’articolo 157 del Trattato sul Funzionamento dell’Ue. Tuttavia, in tutta l’Unione europea, le donne continuano a guadagnare in media il 14 per cento in meno rispetto agli uomini, con variazioni significative tra gli Stati membri. L’Italia è uno dei Paesi in cui la situazione è migliore, con uno distacco tra i due sessi del 4 per cento mentre la situazione peggiore si osserva in Estonia e Lettonia dove il divario supera il 20 per cento.

Sorgente: Gli uomini della Meloni contro il bollino Ue per la parità salariale

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