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Un altro grido d’allarme dal mondo della cultura, il nostro Michele Marsonet, docente universitario a Genova, allarmato anche lui «di fronte un clima di grande follia, dove molti non si vergognano di identificare la grande cultura russa, che tanto ha dato all’Europa e all’intero mondo occidentale, con la tragica invasione dell’Ucraina».

La cancellazione della cultura russa

Com’è noto, la stupidità umana non conosce confini. La guerra in Ucraina è riuscita a produrre, anche sul suolo italico, episodi di quella “cancel culture” che sta diventando dominante negli Usa e nel mondo anglosassone in generale.
In Italia, finora, non era ancora arrivata. La crisi ucraina ha però indotto alcune personalità del mondo accademico a invocare una sorta di censura preventiva non solo nei confronti della Federazione Russa intesa come Paese, ma anche di alcuni grandi esponenti della cultura russa. Come se fossero in qualche modo corresponsabili delle azioni di Putin.
Il caso più emblematico si è avuto all’Università di Milano Bicocca. Lo scrittore e traduttore Paolo Nori, esperto per l’appunto di Lingua e Letteratura russa, era stato invitato a tenere un corso su Fedor Dostoevskij.

Dostoevskij vietato

Per quanto possa suonare incredibile, è intervenuto il prorettore alla didattica del suddetto ateneo che, in accordo con la rettrice, ha bloccato l’iniziativa con motivazioni risibili. Temevano, i responsabili di Milano Bicocca, che un corso sul grande scrittore (tra l’altro perseguitato a suo tempo dalle autorità zariste), “potrebbe generare forme di polemica, soprattutto interna, in questo momento di grande tensione”.
Che cosa possano mai significare simili frasi scritte in tradizionale burocratese, e cosa c’entri Dostoevskij con l’invasione dell’Ucraina, lo sa soltanto il buon Dio. Forse non lo sanno neppure i summenzionati prorettore e rettrice. Tant’è vero che l’ateneo, sull’onda delle proteste, ha fatto marcia indietro annunciando che il corso si terrà.
Dal canto suo Nori, allibito per motivi più che comprensibili, ha deciso di rinunciare affermando che chiederà di tenere le sue lezioni altrove. C’è in questa vicenda una dose notevole di stupidità.

Significa forse che, dopo l’attacco all’Ucraina, dovremmo rinunciare a parlare di tutti i giganti della letteratura russa, a cominciare da Lev Tolstoj per giungere ad autori più vicini nel tempo quali Vladimir Majakovskij e Boris Pasternak?

La cultura perseguitata

Molti di loro, lo si rammenti, subirono persecuzioni da parte delle autorità sovietiche, proprio come Dostoevskij le subì da quelle zariste. E sarà pure proibito parlare di Aleksandr Solzenicyn, autore del celeberrimo “Arcipelago Gulag”? Lui pure, com’è noto, perseguitato dai vertici sovietici.
La speranza, ovviamente, è che siano soltanto fuochi di paglia, e che la ragione torni a farsi valere in ambito accademico e altrove. I segnali, però, non sono affatto incoraggianti. A Milano il direttore russo dell’orchestra del Teatro alla Scala, Valery Gergiev, è stato invitato a dimettersi. Di conseguenza Anna Netrebko – che pure ha condannato l’invasione – ha detto di non voler più calcare il palco della Scala.

Meschinità e isterie

A Genova un teatro ha annullato il “Festival internazionale di musica e letteratura russa”, che doveva tenersi per commemorare i 200 anni dalla nascita di Dostoevskij, ed episodi simili stanno spuntando come funghi ovunque nel nostro Paese. Al sindaco di Firenze hanno addirittura chiesto di abbattere una statua di Dostoevskij, richiesta per fortuna respinta al mittente.
Sta prevalendo, insomma, un clima di grande follia, dove molti non si vergognano di identificare la grande cultura russa, che tanto ha dato all’Europa e all’intero mondo occidentale, con la tragica invasione dell’Ucraina.

Si può solo sperare che l’Italia, a differenza degli Stati Uniti dove la “cancel culture” non incontra più limiti, trovi in sé gli anticorpi per bloccare gli atteggiamenti isterici.

Sorgente: Guerra e pace, Tolstoy e tutta la cultura russa –

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