Per la prima volta uno Stato membro dichiara la supremazia della propria Carta sui Trattati dell’Unione. Uno scontro che può aprire la strada all’uscita di Varsavia. La preoccupazione della Commissione e del presidente del Parlamento David Sassoli
Claudio Tito
BRUXELLES – Lo scontro è senza precedenti. La Polonia sembra compiere un passo verso l’uscita dall’Unione europea. Per la prima volta uno Stato membro dell’Ue dichiara solennemente che non esiste la supremazia dei Trattati europei sulla Costituzione polacca. Sostanzialmente mettendo in discussione l’architrave su cui poggia l’appartenenza all’Unione. Nello specifico, la Corte costituzionale di Varsavia si riferisce alle competenze dello Stato polacco che non sono state trasferite agli organi dell’Unione europea.
Una decisione attesa da Bruxelles da qualche settimana e che getta benzina sul conflitto già aperto sullo Stato di diritto. Un contenzioso che aveva già provocato i richiami e le procedure d’infrazione da parte della Commissione. “Ho ricevuto alcune informazioni durante la riunione ed è troppo presto per reagire – ha detto il Commissario europeo alla Giustizia, Didier Reynders – ma siamo preoccupati per questa situazione perché la nostra posizione è quella di difendere la supremazia del diritto europeo”. Il rappresentante di Palazzo Berlaymont poi avverte: “Continueremo a usare tutti gli strumenti a nostra disposizione per difendere tale principio”. “La sentenza di oggi in Polonia – ha protestato il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli – non può restare senza conseguenze. Il primato del diritto Ue deve essere indiscusso. Violarlo significa sfidare uno dei principi fondanti della nostra Unione. Chiediamo alla Commissione europea di intraprendere l’azione necessaria”.
Se dunque Varsavia e il suo governo sovranista non correrà ai ripari rapidamente, infatti, la situazione potrebbe degenerare. Non si tratta più solo di avviare una procedura d’infrazione. Che sarebbe persino sterile perché la Polonia a questo punto potrebbe non riconoscere la sanzione e nemmeno eventuali sentenze della Corte Ue. La conseguenza, infatti, potrebbe essere l’attivazione del famigerato articolo 7 del Trattato Ue. Una sorta “arma finale”. Quella disposizione, infatti, in presenza di una violazione dei principi fondamentali dell’Ue, consente ad esempio di “espellere” di fatto un governo dal Consiglio europeo negandogli il diritto di partecipare si vertici ministeriali.
“Il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità su proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione europea e previa approvazione del Parlamento europeo – stabilisce l’articolo 7 – può constatare l’esistenza di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2, dopo aver invitato tale Stato membro a presentare osservazioni. Qualora sia stata effettuata la constatazione di cui al paragrafo 2, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può decidere di sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall’applicazione dei trattati, compresi i diritti di voto del rappresentante del governo di tale Stato membro in seno al Consiglio”.
Naturalmente una misura di questo genere sarebbe davvero definitiva anche se molto complicata da attuare per la richiesta del voto all’unanimità. Condizione che potrebbe non verificarsi per il voto contrario di altri governi sovranisti come l’Ungheria di Viktor Orbán. Di certo, però, Bruxelles stavolta non potrà fare finta di niente. E tra gli altri provvedimenti che potrebbe adottare – e che in parte ha già adottato – figura la sospensione di tutti i finanziamenti europei, compreso il Recovery Fund. Una penalità che toccherebbe in maniera pesante le casse di Varsavia che fa sempre affidamento sugli stanziamenti dell’Unione.
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