0 4 minuti 3 anni

(Marcello Veneziani) – Questo articolo è dedicato a tutti i viaggiatori ferroviari, con speciale menzione per i poveri pendolari, e ai loro patimenti estivi. E parte da una statistica empirica, incrociando esperienze di viaggio: in quasi tutti i regionali non funziona l’aria condizionata. E nei rari vagoni in cui è attiva, funziona troppo, come un frigidaire. Col caso non infrequente di escursioni termiche nello stesso treno di venti gradi secchi. Benché locali, i treni italiani vanno dal Congo alla Siberia senza fermate intermedie. In questo periodo speciale in cui si incrociano maledicendosi le folle di pendolari ancora in servizio e le frotte di mezzi turisti in vacanze frugali e vicine, la temperatura dei treni locali viaggia infatti tra la glaciazione e la liquefazione. La prassi quotidiana è la seguente: entri in una carrozza e soffochi di caldo. Allora ti sposti in quella accanto e cambi continente: per il primo minuto godi il fresco e asciughi il tuo sudore, poi dopo cinque minuti il sudore si fa minacciosamente fresco sulla pelle, e dopo altri cinque minuti hai principi di assideramento e implori i controllori fuggitivi di abbassare l’aria (o alzare la temperatura, sono due scuole di pensiero). Loro eseguono, e ripiombi dai ghiacciai eterni all’Africa più sudata. Se implori un nuovo intervento, gli scafisti delle ferrovie ti guardano come se avessi le caldane o i capricci: ora la vuoi fredda, ora calda… No, chiedi semplicemente una via di mezzo, umana, ma ti rispondono che non c’è. Come spiegare questi opposti estremismi termici? Prima pensi che sia una norma decisa per far sentire i migranti africani a proprio agio con una carrozza che riproduce il loro habitat torrido e poi un vagone freddo per mettere a proprio agio le ucraine e le russe in generale. In realtà i migranti non c’entrano, c’è qualcosa di più sottile, di più perverso. Allora capisci il principio bipolare che ispira le ferrovie, salve le frecce (Trenitalia è l’ultima società organizzata rigidamente in classi, caste e gerarchie di meta): è il Principio Sofferenza. Tu in treno devi soffrire, ma giacché siamo in democrazia, puoi però scegliere liberamente se morire di caldo o di freddo. Ogni treno sembra temprare un’umanità dolente, sospesa tra due gironi dell’inferno, tra vagoni piombati, campagne di Russia e d’Etiopia alternate o treni adatti a pellegrini in cerca di martirio e di miracolo, destinazione Lourdes. L’importante è patire.

Qui si scatena la fantasia nazionale con le relative interpretazioni creative rispetto al treno gelido/bollente: vedi i pendolari al quadrato, che vanno da una carrozza gelida a una bollente, fanno turismo estivo ed invernale, ma con le infradito, senza dopo-sci; vedi i denudati per sopportare la calura, ridotti allo stato liquido con le ascelle in stato di avanzata putrefazione, poi vedi gli ibernati, a cui manca solo il cane san Bernardo, avvolti in asciugamani da mare o perfino in giornali (finalmente si rivedono i giornali in treno); vedi i tramortiti, i neo-malati con tosse, starnuti e muco a effetto immediato. La temperatura dei treni uccide batteri e passeggeri, senza fare odiose distinzioni. Un’intera popolazione si scopre colpita da trenoma. Così invidi chi scende alla prossima. Eppure un tempo il treno era il mezzo più sicuro…

Sorgente: I treni tra glaciazione e liquefazione – infosannio

Please follow and like us:
0
fb-share-icon0
Tweet 20
Pin Share20