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della redazione

Roma, 14 luglio 2021, Nena News – In sciopero della fame in solidarietà con i prigionieri politici egiziani: è l’iniziativa presa da diverse personalità pubbliche in Egitto, annunciata ieri, dopo che la scorsa settimana un altro detenuto, Hisham Fouad, aveva iniziato a rifiutare il cibo come estrema forma di protesta.

Ad annunciarlo su Facebook sono stati gli stessi protagonisti: il giornalista Karim Yehia (“Lo faccio per la libertà di Hisham e di decine di miei colleghi, detenuti e prigionieri di coscienza di ogni tipo”), la cofondatrice del noto al-Nadeem Center per la riabilitazione delle vittime di torture Aida Seif al-Dawla, il direttore del Cairo Institute for Human Rights Studies Mohammed Zaree, che ha citato nel suo messaggio anche Ahmed Samir Santawy, studente a Vienna arrestato poche settimane dopo il suo ritorno in Egitto, modalità simili a quelle di Patrick Zaki.

Santawy è in sciopero della fame da tre settimane, dopo essere stato arrestato il primo febbraio scorso ed essere stato condannato a fine giugno a quattro anni per diffusione di notizie false. Fouad ha iniziato la sua protesta lo scorso sabato per il proseguimento della detenzione cautelare oltre i due anni previsti dalla legge (la sua incarcerazione è stata rinnovata 25 volte dall’estate del 2019).

Negli anni passati si erano verificate proteste simili, collettive, nelle carceri egiziane in risposta alle terribili condizioni di prigionia denunciate da tempo da numerose organizzazioni per i diritti umani, sia egiziane che internazionali. Celle piccole, pressoché prive di aerazione, sporche, affollate, una vita quotidiana di privazioni che si unisce alle violenze delle autorità carcerarie, torture, abusi e isolamento. Un girone infernale per molti senza soluzione di continuità: ai processi arbitrari conclusi con pene altissime per ragioni politiche (e in molti casi con la pena di morte, il cui uso è triplicato nel 2020 rispetto agli anni precedenti), si affiancano detenzioni preventive di anni, con rinnovi di 15 giorni in 15 giorni o di 45 in 45, senza alcuna possibilità di immaginare una liberazione.

La scorsa settimana 200 tra associazioni per i diritti umani e medici avevano fatto appello all’amministrazione statunitense di Joe Biden perché intervenisse sull’Egitto per migliorare le condizioni di vita in prigione, dopo le ennesime morti in custodia (centinaia durante la presidenza al-Sisi, per malattia, per scarse condizioni igieniche, per pestaggi e per suicidi). Nella denuncia si parla di “torture e abusi, mancato accesso alle medicine e ai trattamenti sanitari, strutture inadeguate che non permettono il circolo dell’aria e della luce e affollamento estremo”. E di cento decessi nel 2020.

Numeri terribili che raccontano di una repressione diffusa e capillare, palesemente volta a zittire ogni forma di opposizione politica, dissenso e voce critica, vera o presunta. Con 60mila prigionieri politici stimati (anche se c’è chi parla di 100mila), cinque volte tanti quelli del regime di Hosni Mubarak, il regime di Abdel Fattah al-Sisi ha tramutato l’Egitto in una prigione a cielo aperto gestita da una macchina statale di oppressione senza precedenti.

Nel mirino giornalisti, attivisti, sindacalisti, politici, ex presidenti (l’islamista Morsi morì in custodia, durante un’udienza in tribunale), influencer, semplici cittadini, grazie a leggi ad hoc che puntano a impedire la rinascita di una società civile sana e democratica. Nena News

Sorgente: EGITTO. Sciopero della fame a sostegno dei prigionieri politici

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