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Il ministro Brunetta versione 2.0 oggi presenta sul Sole 24 ore la sua riforma liberale della pubblica amministrazione. Auguri. Un Brunetta molto diverso da quello che ostentava la faccia feroce nel governo Berlusconi IV. Per una riforma illuminata sarebbe il caso di partire dalla più illiberale e retriva delle misure volute a quel tempo, la decurtazione dello stipendio del dipendente pubblico per malattia per i primi dieci giorni.

Una misura che stride come più non si potrebbe con il clima di rinnovata fiducia che si vuole creare tra Stato e cittadini e tra datori di lavoro e dipendenti. Una misura purtroppo che è ancora in vigore a causa di una imbarazzante sentenza della Corte costituzionale che la salvò da sicura incostituzionalità. L’art. 71, co. 1, del decreto legge n. 112 del 2008 (successivamente trasformato in legge n. 133 del 2008) prevede che per i periodi di assenza per malattia, per i primi dieci giorni, ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni sia corrisposto solo il trattamento economico fondamentale, con esclusione di “ogni indennità o emolumento, comunque denominati, aventi carattere fisso e continuativo, nonché di ogni altro trattamento accessorio”.

Perché? Perché chi si assenta per malattia è in odore di fannullaggine. Il decreto destinava a finalità di risparmio pubblico e di efficientamento le risorse derivanti e la Corte costituzionale nella sentenza considerava la misura una efficace forma di razionalizzazione della finanza pubblica. Sulla salute delle persone.

È il caso di ricordare che la malattia dei pubblici dipendenti è sempre accompagnata da un certificato medico. Delle due l’una: o è in atto un’azione coordinata penalmente illecita per cui la decurtazione dello stipendio è misura impropria e inadeguata, o si sta decurtando un trattamento economico a un malato.

La misura crea in fatto una presunzione di illegittimità del comportamento del dipendente che viene meno solo dopo dieci giorni di malattia, come se a questo punto la malattia fosse acclarata nella sua effettiva sussistenza. Un abominio della civiltà giuridica. Populismo giuridico, visto che le scorciatoie e le risposte semplici (e quindi improprie) a problemi complessi sono tratti tipici del populismo, che è per definizione illiberale.

Questa misura sicuramente incostituzionale (anche se mai dichiarata tale) è chiaramente irragionevole e discriminatoria a sfavore di soggetti deboli. Se non ha mai smesso di stridere con il nostro Stato costituzionale e sociale, oggi stride anche con un quadro economico espansivo e con il restyling di Brunetta, un rassicurante socialista e liberale che cerca l’accordo con le parti sociali, offre un’ottima valutazione delle potenzialità dello smart working e prefigura una valutazione del pubblico dipendente appuntata sui risultati. Miracoli di Draghi.

La decurtazione dello stipendio per causa di malattia andava peraltro a disciplinare un tema tipicamente di pertinenza della contrattazione collettiva: perché una rimeditazione avvenga nel modo più lineare e netto occorre rimuovere la disciplina di fonte legislativa. Sorprende, anzi, la presenza di norme simili anche nella contrattazione visto che la malattia non è un capriccio del lavoratore: a che servono i sindacati se non a difendere i lavoratori, e soprattutto i più deboli? È questo il loro famoso senso di responsabilità?

Considerati poi gli stipendi quasi da fame di alcune categorie di dipendenti pubblici, ecco che non meraviglia di essere stati testimoni in questi anni non poche volte di casi in cui impiegati pubblici apparentemente tutt’altro che in forma (ad esempio in preda a forti stati influenzali) hanno preferito andare a lavoro per non vedersi decurtato lo stipendio, con possibili conseguenze anche sulla salute di colleghi e utenza.

L’obiettivo di questa misura è chiarito bene dalle (per così dire…) “rationes” indicata a monte della misura nel decreto Brunetta:

a) diminuire il tasso di assenteismo dei pubblici dipendenti in modo da riportarlo in limiti analoghi a quelli del lavoro privato, in una logica di recupero dell’efficienza e della produttività delle pubbliche amministrazioni;

b) utilizzare i risparmi, derivanti dalle nuove regole, per il miglioramento dei saldi di bilancio delle pubbliche amministrazioni.

Non si vede perché il recupero di efficienza della pubblica amministrazione o la lotta al debito pubblico si debba fare con i soldi degli ammalati, creando a loro carico discriminazioni odiose. A parte il recente orientamento alla logica dei risultati, che tende a superare un intero approccio verso il mondo del lavoro, quel che resta della lotta all’assenteismo sia pubblico che privato – dopo l’opportuna rimodulazione del concetto – non può che farsi in modo proprio, con forme di controllo.

Diversamente si può agire appunto sul piano della valutazione dei risultati, ed è la via maestra (anche qui tenendo conto dei periodi di malattia, ovviamente). Ma non si può certo continuare a ricorrere a misure che in fatto sono sanzioni preventive e generalizzate a carico di persone momentaneamente malate per il solo fatto che prestando servizio per lo Stato hanno, su altri piani, garanzie maggiori rispetto al lavoro privato.

Sorgente: Riforma P.A: subito via il taglio dello stipendio per malattia | L’HuffPost

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