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Tra i tanti che in questa provincia sempre più periferica dell’Occidente hanno sperato con tutto il cuore che il vecchio Joe Biden sfrattasse dalla Casa Bianca Donald Trump, sembrano moltiplicarsi giudizi che incrociano l’esorcismo, più che l’analisi politica, sul presidente uscente e la sua pazzesca scalata al cielo del potere americano.

Dico un esorcismo da 25 aprile, anche se il 4 novembre 2020 non c’è stata negli Usa la deposizione di un tiranno, né il lavacro per le responsabilità collettive della tirannide, ma la sconfitta di un Presidente in carica. D’altra parte, anche l’assalto a Capitol Hill è stato addirittura il contrario della Marcia su Roma, che fu una presa del potere, anzi una vera cerimonia di potere, non una rivolta contro il palazzo, contro il fantasma del deep state e contro una routine democratica secolare, che ha retto ampiamente all’urto di The Donald, dopo l’8 novembre 2016 e anche dopo il 4 novembre 2020.

Malgrado Trump, la democrazia americana non è mai stata davvero in pericolo, ma è diventata – questo sì – una democrazia pericolosa, proprio perché quello che Trump ha incarnato non è tanto un “pericolo per la democrazia”, ma “un pericolo della democrazia”, cioè la contrapposizione eversiva – non così rara storicamente, né sconosciuta sul piano teorico – del principio di maggioranza contro il principio di libertà. E questo pericolo, in altre forme, continuerà a incombere sulle democrazie demograficamente fragili ed economicamente declinanti dell’Occidente molto oltre la fine politica, speriamo rapida e ingloriosa, di questo fenomeno da baraccone, che però non è diventato Presidente degli Stati Uniti per caso o per errore, ma per la capacità “imprenditoriale” di aizzare gli spiriti animali della frustrazione popolare.

Uno come Trump sarebbe potuto diventare un despota in molti luoghi, ma non negli Stati Uniti (per lo meno: non ancora). Malgrado un Presidente che ha flirtato apertamente con suprematisti e violenti e riproposto, in chiave tutt’altro che subliminale, il paradigma razziale come chiave di scontro e di alternativa nella politica americana, negli Stati Uniti non c’è stato (semplifico) il fascismo, perché gli Usa sono troppo grandi anche per il fascismo, troppo compositi, troppo pluralistici, troppo “diffusi” nell’articolazione dei poteri politici ed economici per farsi inghiottire tutti interi da un Leviatano, per quanto assistito da un consenso di massa e insediato alla Casa Bianca. Ma in Stati meno grandi, meno potenti, meno articolati – cioè in tutte le democrazie del mondo – un trumpismo di potere avrebbe potuto diventare regime e fare danni molto più profondi e duraturi.

Quello che è successo negli Stati Uniti, nella forma esagerata propria di molte cose americane, non è stato un complotto contro la democrazia, ma una deriva della dinamica politica democratica. Trump e il trumpismo non sono una minaccia esterna, ma una possibilità interna al modo di funzionare delle democrazie alle prese coi cataclismi demografici ed economici del sistema globale.

Trump ha dimostrato che dalla lampada magica del potere democratico può uscire anche lo spirito maligno del disprezzo di tutti quei valori e principi che consideravamo consustanziali alla democrazia e al potere del popolo. La democrazia come condizione di pace e di cooperazione, di uguaglianza, di rispetto della libertà e di limite rispetto all’esercizio del potere.

Con Trump e con il trumpismo abbiamo scoperto un’antropologia politica democratica repellente, ma autentica, di milioni di americani che non sono violenti o razzisti, ma che si incolonnano disciplinatamente appresso a un Commander-in-chief inattendibile e inaffidabile, per rivoltarsi contro qualcosa, che non sanno bene che cos’è e che identificano nel bersaglio facile degli immigrati, degli stranieri, della finanza internazionale e del deep state.

Si potrebbe ironicamente ricordare che da secoli i liberali diffidano della forza taumaturgica e intrinsecamente progressiva del potere democratico.

In ogni caso, meglio non coltivare troppo la speranza che lo spirito maligno si rannicchi nella lampada, uno volta che Trump sarà accomodato con le buone o con le cattive fuori dalla Casa Bianca. Trump è morto, ma il trumpismo, e quel che ne sarà, è vivo e rimarrà ancora a lungo – non sappiamo con quante conseguenze – una malattia dell’anima occidentale.

Sorgente: Il trumpismo è la malattia dell’anima dell’Occidente – Linkiesta.it

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