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In tanti, “a sinistra”, non riescono più a distinguere tra “ragioni di classe” e “interessi nazionalistici”. Questa cecità, spesso autoinferta, balza agli occhi quando si parla di cos’è e come funziona l’Unione Europea.

I nazionalisti vecchio stile (Lega e Fratelli d’Italia, più il solito codazzo di nostalgici senza numeri) vedono solo le ragioni della “nazione”, che sono certamente subordinate – nel sistema dei trattati europei – a quelle della “costruzione comunitaria”.

Naturalmente questi nazionalisti non menzionano neanche le “ragioni di classe”, anche perché devono come sempre oscurare gli interessi di alcune frazioni della classe dominante – piccola e media borghesia – che escono effettivamente alquanto penalizzate dal prevalere assoluto, nella UE, del grande capitale multinazionale, sia industriale che finanziario.

Nella diatriba tra “europeisti” e “vetero-nazionalisti” che monopolizza il discorso pubblico sui media principali sono completamente assenti le “questioni di classe”. Ossia: quale natura sociale hanno le politiche europee?

Se volessimo ancora una volta analizzare la questione guardando alle vicende italiane, siamo certi che la confusione dominante si riprodurrebbe sempre identica: chi critica l’Unione Europea viene immediatamente schedato tra i “nazionalisti” (“sovranisti” è un neologismo idiota e strumentale, come abbiamo spiegato più volte), perché nel “pensiero bipolare” – in senso strettamente psichiatrico, ossia schizofrenia applicata al campo politico – non c’è altra possibilità: o “europeista” o “nazionalista”.

Potremmo scomodare i rivoluzionari di tutto il mondo – dai vietnamiti ai cinesi di Mao, da Chavez a Fidel (do you remember “Patria o muerte!”?) – che hanno sempre coniugato razionalmente indipendenza di classe e indipendenza nazionale, dando perciò vita a uno spesso straordinario internazionalismo senza se e senza ma.

Ma nel deserto teorico e ideale del presente siamo certi che le nostre parole cadrebbero nel vuoto.

Proviamo perciò un’altra strada. Vi proponiamo un articolo tradotto da El Pais, “fratello” spagnolo di Repubblica, che denuncia una delle tante pratiche quotidiane dell’”Unione Europea reale”, fuori dalla retorica insopportabile che nasconde invece di rivelare.

Cosa denuncia? Quello che la UE chiede da 30 anni anche ai “nostri” governi e che gli stessi governi hanno sempre realizzato: tagliare le pensioni, cancellare le tutele dei lavoratori dipendenti, realizzare la precarietà assoluta sul mercato del lavoro.

Roba di classe, insomma, imposta a tutti i Paesi (anche a Germania e Olanda).

Sorgente: La UE pretende pensioni più basse e precarietà totale anche in Spagna | Contropiano

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