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La gaffe, il governo capeggiato dal leader conservatore Boris Johnson, questa volta l’ha riservata al settore dello spettacolo dal vivo.

Si tratta di una campagna CyberFirst rimossa tardivamente dopo aver scatenato un uragano di proteste. Nel manifesto incriminato viene raffigurata una ballerina chiamata Fatima in procinto di allacciarsi la scarpetta. Il testo a fianco recita: “Il prossimo lavoro di Fatima potrebbe essere nel cyber (semplicemente non lo sa ancora)”. E accanto compare lo slogan “Rethink. Reskill. Reboot”. ” (Ripensa Reinventa Riparti).

Particolarmente cupo è l’uso dell’immagine di una giovanissima donna di colore, date le barriere strutturali che molti membri della comunità BAME (Black, Asian and Minority Ethnic) ancora oggi devono superare in questo Paese. Mentre il sotto testo qui non può non essere letto che come “Non devi nutrire aspirazioni al di sopra della realtà, puoi sempre trovare una via di uscita, per esempio lavorando in settori come l’informatica”.

La campagna ha immediatamente suscitato un vespaio di polemiche tra la comunità degli artisti che si sono sentiti discriminati. Si tratterebbe infatti di una svalutazione di competenze dei dipendenti di settori vulnerabili come la cultura e le arti in generale.

Ora, era davvero necessario dire ai giovani ballerini che qualcuno che assomiglia a Fatima o fa un mestiere del genere non è al primo posto nell’apprezzamento del governo inglese? Disprezzo per altro ingiustificato. Piuttosto che composto da sfaccendati in cerca di sussidi – tale sembra essere l’opinione di alcuni uomini di  potere ed è inutile nasconderlo anche di una parte dell’opinione pubblica – questo è un settore che contribuisce con oltre 10 miliardi di sterline all’anno all’economia nel Regno Unito e alimenta in qualsiasi altro Paese direttamente o indirettamente molti  altre attività, prima fra tutti il turismo.

Insomma l’effetto dell’affaire Fatima è stato quello di una campagna decisamente sgradevole, innescata dalla preoccupazione economicistica per quel che appare stagliarsi all’orizzonte e che ha pure le sue ragioni.

Ma il mito dell’efficienza e la paura del futuro di chi governa un Paese non può “lasciare indietro” saperi fondanti quali Arte, Teatro e Filosofia, considerati da qualche tempo come zavorre rispetto ai processi più rapidi di acquisizione di competenze immediatamente spendibili nel mondo del lavoro. Queste discipline innescano un meccanismo che ha a che fare con un fattore di cui in ci stiamo scoprendo spaventosamente carenti: quell’intelligenza emotiva che, se manca,  genera l’analfabetismo funzionale provocando a ricaduta, l’incapacità di entrare in relazione con gli altri, dando vita alla Babele reattiva, rabbiosa e incattivita a cui stiamo assistendo per le strade d’Europa.

Il segretario britannico alla Cultura Oliver Dowden – colto di sorpresa dalle reazioni apparse sui social  – ha frettolosamente twittato che si trattava di una campagna rivolta a persone “di ogni ceto sociale”, piuttosto che mirata solo a chi lavora nel modo dell’arte e della cultura. Effettivamente l’annuncio incriminato avrebbe dovuto comparire all’interno di una serie pensata per presentare lavoratori di diversi settori: un barbiere, una commessa e un barista…

Il mercato del lavoro ovunque sta subendo un cambiamento significativo come reazione alla pandemia. Più che legittima è la preoccupazione per un possibile rapido aumento della disoccupazione. “Rethink. Reskill. Reboot ” è stata avviata con lo scopo di incoraggiare coloro i cui mezzi di sussistenza sono a rischio a prendere in considerazione lavori alternativi e a rivedere le opportunità educative per riavviare la propria carriera.

Se la disoccupazione aumenta drasticamente la riqualificazione diventerà essenziale. Una crisi come questa innescata dal maledetto virus accelera ogni cambiamento in corso nel mercato del lavoro, con imprese e dipendenti che si rivolgono necessariamente a diversi modi di lavorare e pure a tipi di lavoro diversi.

A partire da un’altra crisi, quella del 2008 la trasformazione del mercato del lavoro ha visto incrementarsi in misura straordinaria il numero di lavoratori autonomi, in tutti i settori e non solo a quello delle arti e della cultura. Gli sgraditi effetti della pandemia spingeranno di certo alcuni a tentare di prendere in mano direttamente la propria attività attuale mentre altri potrebbero decidere di cambiare completamente carriera.

Appare chiaro che alla fine di questo orribile periodo una parte essenziale della ripresa sarà incentrata sulla riqualificazione e quindi sull’istruzione. Scuole e università sono dunque destinate a svolgere un ruolo importante nell’aiutare coloro che hanno perso i propri mezzi di sussistenza ad acquisire nuove competenze e apprendere nuovi modi per navigare in questi tempi complessi.

In Inghilterra come negli Usa e in gran parte dei Paesi  del nord Europa questo è un concetto acquisito. Non altrettanto nel nostro Paese dove il passaggio da un’attività all’altra è sentito ancora – per ragioni culturali e a causa della legislazione vigente – come un terrificante salto nel buio.

Sorgente: La gaffe di Boris Johnson e il futuro prossimo venturo | L’HuffPost

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