Ultras e neofascisti, ecco chi specula sulla paura | Rep

Da negazionisti a guerriglieri è stato un attimo. Un salto nel buio della protesta diventata, in cinque mesi, coacervo di violenza, un abisso pronto a clonarsidi Paolo Berizzi
IN origine furono mascherine tricolori, gilet arancioni e gruppi Telegram. Invitavano a ribellarsi e a scendere in strada quando la gente cantava dai balconi e scriveva “andrà tutto bene”. Era la fase 1. Pre-Pappalardo.
Poi sono arrivati i neri e gli ultrà, e dunque petardi, fumogeni, bombe carta, bottiglie, pietre; la carica infame ai giornalisti al Circo Massimo. Il primo tempo delle rivolte contro la “dittatura sanitaria” – un ossimoro, se usato dai neofascisti – aveva in pancia i sottotitoli del seguito, le micce vere. Dove è richiesto e indispensabile il “vigore tipico della nostra gente”, per dirla con l’ex terrorista e plurilatitante Roberto Fiore.
Da negazionisti a guerriglieri è stato un attimo. Un salto nel buio della protesta diventata, in cinque mesi, coacervo di violenza, un abisso pronto a clonarsi. I fuochi dei disordini organizzati si sono accesi nelle grandi città, Napoli, Roma, Torino, Milano, ma anche Catania e Trieste, tra lanci di molotov e assalti ai poliziotti, spranghe, cassonetti bruciati, monopattini scagliati come pietre.
“Io non conto nulla, è il popolo che comanda”, disse il 2 giugno in piazza del Popolo a Roma l’ex generale dei carabinieri Antonio Pappalardo. Sembrava, e forse era, una macchietta. Ma dietro lo spauracchio golpista iniziavano a ardere i tizzoni sparsi nelle strade dai capoccia pregiudicati, i professionisti della paura e i loro piccoli contingenti di teppisti: gli ultrà usciti dalle curve degli stadi (chiusi) per andare a fare il lavoro in piazza; i guappi di camorra e di mafia orfani delle battaglie sugli inceneritori.
La protesta per le misure anti-Covid ha aperto un campo nuovo agli hooligan disoccupati e a chi ha il potere di scatenarli per “prendere a calci nel culo politici e forze dell’ordine”. Recitava così uno dei messaggi circolati ieri nelle chat dei No-lockdown. L’evoluzione spontanea dei No Mask. “E’ iniziata la rivoluzione e nessuno la può fermare”, ringhiano i fascisti di Forza Nuova, in cabina di regia fin dalle prime, non riuscitissime manifestazioni.
L’innesco è stata la notte brutta di Napoli. E Napoli è diventata un “modello”. Il disagio dei commercianti prima cavalcato e poi cannibalizzato dai teppisti di ieri e di domani: pezzi di camorra, ultradestra e antagonisti, tutti nella stessa trincea sovversiva. “Roma come Napoli”. “Torino come Napoli”. “Trieste come Napoli”. Lo slogan mantra agita il Viminale, che questo “autunno di tensioni sociali” lo temeva e lo aspettava, è vero.
Ma i tempi dell’effetto domino sorprendono. Digos e intelligence hanno conferma di quello che, negli ambienti dove si organizzano le adunate contro lo Stato, è diventato un obiettivo: creare un unico movimento di protesta. Un secondo salto di qualità dopo la diffusione virale della rabbia e della violenza. Come i gilet gialli in Francia? Forse. Di certo i gilet arancioni, esteticamente, sono spariti. Adesso si vedono giubbini neri e passamontagna.
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