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Il nostro silenzio sulla guerra del mareNel Mediterraneo si continua a morire per cercare di sbarcare sulle coste europee. Nell’indifferenza dell’opinione pubblica che prima si indignava Pinterest0EmailStampaQuello che accade oggi nel Mediterraneo è preoccupante e le cose non sono cambiate di molto rispetto a quando al Viminale c’era Salvini. Quando il suo umore dettava l’umore del Paese eravamo tutti cani da guardia. Osservavamo attenti, nulla ci sfuggiva, pronti a difendere persone, principi, diritti. Ma quando tutto si normalizza, o quando tutto pare normalizzarsi è proprio lì, in quel momento – in questo momento – che dobbiamo alzare la guardia. È proprio lì, in quel momento – in questo momento – che, pur se ci sembrerà di lottare contro i mulini a vento, dobbiamo prestare maggiore attenzione a ciò che accade.Mi rendo anche conto che dopo anni passati a schivare e incassare i colpi di una comunicazione schizofrenica e continua, lesiva della dignità di persone la cui unica “colpa” sarebbe stata quella di cercare un luogo dove vivere lontano da persecuzioni e fame, oggi ci sentiamo come graziati, tornati a una sorta di normalità. Salvini ha ostentato un tale cinismo nell’affrontare male e senza costrutto il dramma dell’immigrazione che non poteva mancare una reazione uguale e contraria, che provasse a portare equilibrio e buonsenso. Ma ora? Come vanno le cose ora? Vanno male, malissimo. Gli sbarchi di migranti provenienti dalla Libia e più in generale dall’Africa continuano ininterrotti. Spesso non ne abbiamo notizia, come non ci arrivano le cifre che riguardano i naufragi e le morti in mare. Ma esiste un modo per capire quando le cose non funzionano: il silenzio. Meno si parla di un argomento, più questioni irrisolte ci sono. E non c’è spazio per giustificazioni, non è possibile pensare che durante la pandemia i morti in mare siano tollerabili perché non c’è alternativa: una alternativa c’è sempre, solo che non viene mai prospettata.Nel Mediterraneo non ci sono più le imbarcazioni delle Ong che salvavano vite, che testimoniavano e davano informazioni. Oggi tutto accade nel silenzio generale. E mentre in Libia la situazione è sempre più instabile, sulle coste italiane gli sbarchi continuano, a testimoniare che le imbarcazioni delle Ong non fungevano affatto da pull factor, da fattore di attrazione, ma al contrario esiste un unico fattore di attrazione che è geografico ed economico.Sergio Scandura, giornalista di Radio Radicale, continua a informarci ogni giorno su ciò che accade a sud del Sud. Scandura lo considero il corrispondente di Radio Radicale dal Mediterraneo e considero il Mediterraneo zona di guerra perché nel Mediterraneo si muore. Ma è una strana guerra quella che si combatte nel Mediterraneo, è una guerra che viene usata per fare campagna elettorale (fermiamo l’invasione!) o che viene ignorata (con la pandemia in corso, l’Italia ha smesso di essere un Place of Safety) e in mezzo, tra una fazione e l’altra c’è chi prova a fare informazione e si accorge che sulla pelle delle persone, che sulla pelle di persone che non hanno niente, che non hanno mezzi ma solo un pesante carico di disperazione, accade di tutto.

Sorgente: Il nostro silenzio sulla guerra del mare – l’Espresso

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