Colpita da otto proiettili, la cronista e fondatrice del sito d’informazione Quinto Poder de Veracruz è morta in ospedale. Il coronavirus e le misure restrittive applicate dal presidente Obrador non sono un ostacolo all’attività dei Cartelli. Dal 2006 nel Paese messicano sono morti 100 giornalisti
di DANIELE MASTROGIACOMO
I NARCOS uccidono più del Covid-19. Lo confermano i dati che indicano il mese di marzo come il più letale in Messico da quando è stato creato il registro sulle vittime della violenza. Sono 2.585, un record. L’ennesimo. L’ultima assassinata è una giornalista di Veracruz, Stato che si affaccia sul Golfo. Si chiamava María Elena Ferral. Due sicari a bordo di una moto l’hanno sorpresa mentre usciva da un ufficio notarile a Papantla, cittadina afflitta dalla guerra che i narcos combattono per il controllo dei territori. Colpita da otto proiettili, la cronista è stata portata in ospedale dove tuttavia è morta.
La Ferral era una giornalista nota nella regione. Aveva fondato e dirigeva un web di notizie, Quinto Poder de Veracruz, oltre a coprire le notizie per il Diario de Xalapa, e si occupava di crimine organizzato, corruzione tra la polizia, connivenze tra queste e il potere politico locale. Temi dominanti nella realtà messicana ma anche pericolosi per gli interessi che vai a toccare. Premiata con numerosi riconoscimenti, María Helena aveva avuto molte minacce in passato. Le autorità di Veracruz le avevano assegnato una scorta che era stata tolta nei giorni scorsi. I capi delle gang locali ne hanno approfittato e l’hanno freddata nel suo momento più debole. Classica vigliaccheria di chi si sente padrone del campo. Dal 2006 sono morti 100 giornalisti in Messico.
Ma sono le cifre della mattanza a sorprendere. Il coronavirus e le misure restrittive applicate alla fine anche dal presidente Obrador non sono un ostacolo all’attività dei Cartelli. Anzi. Il primato raggiunto a marzo si spiega con lo scontro tuttora in atto tra il Jalisco Nueva Generación, gruppo nato dalle ceneri di quello di Sinaloa, un tempo retto dal Chapo Guzmán, e il Santa Rosa da Lima, Madonna venerata in Perú che in questo caso prende il nome da una località della zona.
La violenza si è spostata nelle ultime settimane a Guanajuato, uno Stato che confina con altri da anni al centro dello scontro per il controllo del territorio e quindi delle rotte per il traffico di cocaina, metanfetamina e fentanyl verso gli Usa. Nella sola giornata di sabato 28 marzo sono state assassinate 98 persone in questa regione.
Due i livelli di attività delle bande. Il primo, micro, vede attivi gruppi che combattono per conquistare pugni di cittadine, grandi e piccole e altre zone rurali. Sono essenziali per i mercati della droga locale, le rotte internazionali del traffico, campi coltivati a oppio e marijuana, laboratori clandestini per produrre meta e fentanyl, furti di combustibile, estorsioni, sequestri, furti. Il secondo, macro economico, fa leva sulla perenne povertà di milioni di persone e la loro frustrazione a non emergere e superare le ataviche difficoltà. Guanajuato è un terreno fertile. Ancora tutto da conquistare e da sfruttare. Da sempre centro agricolo e tranquillo ha visto nel mese di marzo assassinare 315 persone.