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Traduzione di  Vittorio Cangemi

 

Nessuno in Israele sapeva che stavano commettendo un massacro e non gliene importava
di Gideon Levy – 17.11.2019

Il pilota del bombardiere non sapeva. Anche i suoi comandanti che gli avevano dato gli ordini non sapevano. Il ministro della difesa e il comandante in capo non sapevano. Né il comandante dell’aeronautica. Gli ufficiali dell’intelligence che miravano all’obiettivo non sapevano. Anche il portavoce dell’esercito che ha mentito senza scrupoli non sapeva.

Nessuno dei nostri eroi sapeva. Coloro che sanno sempre tutto all’improvviso non sapevano. Quelli che possono rintracciare il figlio di un ricercato in un sobborgo di Damasco non sapevano che a dormire nella loro misera baracca a Dir al-Balah era una famiglia povera.

Loro, che prestano servizio nell’esercito più morale e nei servizi di intelligence più avanzati al mondo, non sapevano che la fragile baracca di lamiera aveva smesso da tempo di far parte della “infrastruttura della Jihad islamica”, ed è dubbio che lo sia mai stata. Non lo sapevano e non si sono preoccupati di controllare – dopo tutto, qual è il peggio che sarebbe potuto accadere?

Il reporter Yaniv Kubovich ha rivelato la scioccante verità venerdì sul sito web di Haaretz: l’obiettivo non era stato riesaminato da almeno un anno prima dell’attacco, l’individuo che presumibilmente ne era l’obiettivo non era mai esistito e l’intelligence si basava su voci. La bomba è stata sganciata comunque. Il risultato: otto corpi in sudari colorati, alcuni orribilmente minuscoli, tutti in fila; membri di una sola famiglia allargata, gli Asoarkas, cinque dei quali minori, inclusi due bambini piccoli.

Fossero stati cittadini israeliani, lo stato avrebbe smosso il cielo e la terra per vendicare il sangue del suo famoso ragazzino, e il mondo sarebbe stato sconvolto dalla crudeltà del terrorismo palestinese. Ma Moad Mohamed Asoarka era solo un ragazzino palestinese di 7 anni che ha vissuto ed è morto in una baracca di lamiera, senza presente né futuro, la cui vita è stata scadente e breve come quella di una farfalla; il suo assassino è stato un famoso pilota.

È stato un massacro. Nessuno sarà punito per questo. “La banca dati dei bersagli non era stata aggiornata”, hanno detto i funzionari dell’esercito. (Dopo che le indagini di Yaniv Kubovich sono state pubblicate, il portavoce dell’IDF ha rilasciato un’altra dichiarazione, “L’edificio è stato confermato come bersaglio diversi giorni prima dell’attacco”.) Ma questo massacro è stato peggiore dell’uccisione mirata di Salah Shehada, ed è stato accolto in israele da un indifferenza più disgustosa.

Il 22 luglio del 2002, un pilota dell’aeronautica israeliana ha sganciato su un quartiere residenziale una bomba da una tonnellata che ha ucciso 16 persone, incluso un uomo effettivamente ricercato. Prima dell’alba di giovedì, un pilota ha sganciato una bomba molto più intelligente, una JDAM, su una baracca di lamiera in cui non si nascondeva nessun ricercato.

È emerso che anche il ricercato menzionato da un portavoce dell’esercito era frutto della sua immaginazione. Le uniche persone lì erano donne, bambini e uomini innocenti che dormivano nel terrore della notte di Gaza. In entrambi i casi, l’esercito israeliano ha usato la stessa menzogna: pensavamo che l’edificio fosse vuoto. “L’IDF sta ancora cercando di capire cosa stesse facendo la famiglia sul luogo” è stata la sfacciata, gelidamente laconica risposta, che ha insinuato che la colpa fosse della famiglia. In effetti, cosa stavano facendo lì, Wasim, 13 anni; Mohand, 12 anni e i due bambini i cui nomi non sono stati resi noti.

Il giorno dopo le uccisioni di Shehada e di 15 dei suoi vicini, e dopo che l’IDF ha continuato ad affermare che le loro case erano “baracche non occupate”, sono andato sul luogo del bombardamento, il quartiere Daraj a Gaza City. Non baracche ma condomini, alti pochi piani, tutti densamente popolati, come ogni casa di Gaza. Mohammed Matar, che aveva lavorato in Israele per 30 anni, giaceva prostrato sul pavimento, con il braccio e gli occhi bendati, tra le rovine, accanto all’enorme cratere creato dall’esplosione. Sua figlia, sua nuora e quattro dei suoi nipoti erano morti nell’esplosione; tre dei suoi figli erano rimasti feriti. “Perché ci hanno fatto questo?” Mi chiese scioccato. All’epoca, 27 dei piloti più coraggiosi della IAF firmarono la cosiddetta lettera dei piloti, rifiutandosi di prendere parte alle operazioni in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Questa volta, non un singolo pilota ha rifiutato di partecipare, ed è dubbio che in futuro lo faranno.

“Esseri umani. Sono esseri umani. Qui c’è stata una battaglia – infermieri e medici contro la morte”, scrisse il coraggioso medico norvegese Dr. Mads Gilbert, che si precipita in aiuto degli abitanti della Striscia di Gaza ogni volta che viene bombardata, curando i feriti con infinita dedizione. Gilbert ha allegato una fotografia della sala operatoria dell’ospedale Shifa di Gaza City: sangue sul tavolo, sangue sul pavimento, biancheria da letto imbevuta di sangue ovunque. Giovedì si è aggiunto il sangue della famiglia Asoarka, che adesso grida a orecchie che non sentiranno.

ENGLISH VERSION:

The bomber pilot didn’t know. His commanders who gave him the orders also didn’t know. The defense minister and the commander in chief didn’t know. Nor did the commander of the air force. The intelligence officers who aimed at the target didn’t know. The army spokesman who lied without a qualm also didn’t know.

None of our heroes knew. The ones who always know everything suddenly didn’t know. The ones who can track down the son of a wanted man in a Damascus suburb didn’t know that sleeping inside their miserable hovel in Dir al-Balah was an impoverished family.

Sorgente: No one in Israel knew they were committing a massacre, and they didn’t care – Opinion – Israel News | Haaretz.com

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